sergio dal maso
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venerdì 8 gennaio 2021
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il nuovo odio
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"Smettetela di chiamarli giovani, sono della feccia, delle canaglie. Ribadisco e lo firmo."
Nicolas Sarkozy, ministro dell’Interno durante la rivolta delle banlieue nel 2005
Una folla colorata e straripante si riversa sulle Champs-Élysées.
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"Smettetela di chiamarli giovani, sono della feccia, delle canaglie. Ribadisco e lo firmo."
Nicolas Sarkozy, ministro dell’Interno durante la rivolta delle banlieue nel 2005
Una folla colorata e straripante si riversa sulle Champs-Élysées. È un fiume in piena. Sciami di ragazzini di tutte le etnie festeggiano euforici sventolando i colori nazionali e cantando La Marsigliese. La Francia ha vinto i mondiali.
Stacco. Titolo di testa.
L’azione si sposta nella degradata periferia parigina, trascinando lo spettatore nella dura quotidianità delle banlieue che circondano la capitale francese. Dell’iniziale sentimento popolare di fratellanza non è rimasto nulla.
Una squadra di tre poliziotti speciali delle BAC (Brigade Anti-Criminalitè) pattuglia il quartiere di Montfermeil. È una polveriera a cielo aperto, fatta di enormi palazzoni fatiscenti, in cui convivono da decenni comunità di arabi magrebini e neri subsahariani, in un equilibrio sempre precario, reso possibile dalla silente collaborazione della gendarmeria con discutibili organizzazioni musulmane e gruppi malavitosi, tutti interessati a mantenere una parvenza di pace sociale.
La maggior parte dei ragazzini cresce nell’emarginazione, tra spaccio e prostituzione, senza prospettive, spesso senza frequentare la scuola. Tra questi i due piccoli protagonisti della storia: Issa, ribelle e ladruncolo, e l’occhialuto Buzz, che con il suo drone osserva dall’alto la vita del quartiere.
Tra gli agenti in perlustrazione c’è un nuovo arrivato, Stephane, il cui sguardo, scosso e turbato, accompagnerà lo spettatore per tutto il film. Il caposquadra Chris è un bianco, razzista e prepotente; il suo braccio destro è invece il silenzioso Gwada, nero e cresciuto nelle banlieue.
Il primo giorno di lavoro di Stephane è choccante, una sorta di rito di iniziazione in cui, oltre alla violenza e alla miseria del quartiere, ne conoscerà i vari microcosmi: dal proselitismo dei Fratelli Musulmani, guidati dall’ex jihadista Salah, ora kebabbaro, ai traffici della banda del sedicente “sindaco”, passando per gli irascibili rom del Circo Zeffirelli.
La tensione che cova sotterranea fin dalle prime scene aumenta progressivamente, fino ad esplodere nel durissimo e cruento finale. Se la prima parte è più conoscitiva, dai toni quasi documentaristici, due eventi spiazzanti e imprevedibili fanno “precipitare” la storia in un thriller adrenalinico, in una corsa contro il tempo per evitare la catastrofe.
La disperata ricerca del leoncino rubato dal circo e della scheda del drone che ha ripreso gli scontri sono solo i detonatori di un disagio sociale che ribolle già nelle generazioni più giovani. Il controcanto allo sguardo smarrito di Stephane è infatti quello dei ragazzini, fatto di rabbia e di odio. Non c’è innocenza nello sguardo di Issa e dei suoi compagni. La loro è un’infanzia tradita, violata in modo irrimediabile. Colpisce più di tutto l’assenza degli adulti, oltre che delle istituzioni, preoccupate solo di reprimere e controllare la rabbia delle periferie.
A venticinque anni dall’uscita de L’odio di Mathieu Kassovitz, film che ha segnato un’epoca, I miserabili riprende e aggiorna le stesse tematiche. Ma se allora i protagonisti erano giovani-adulti, oggi sono ragazzini, poco più che bambini. Una generazione dopo, l’incendio dell’odio non solo è divampato ancora di più, adesso inizia già dai giovanissimi.
Il capolavoro di Ladj Ly, giovane regista originario del Mali ma cresciuto proprio a Montfermeil, è un pugno nello stomaco per la verità che trasuda, per l’urgenza di raccontare vita vissuta. L’impatto visivo ed emotivo è enorme. Il montaggio serrato e le riprese palpitanti con la macchina da presa a spalla, sempre dentro l’azione, tallonando i personaggi, restituiscono immagini vive, pulsanti, perfettamente complementari a quelle asettiche del drone, il cui occhio riprende dall’alto gli eventi come se il quartiere fosse una prigione all’aperto, dalla quale non si può scappare.
I personaggi sono ben definiti anche dal punto di vista psicologico, i protagonisti acquistano spessore col passare del tempo. Ladj Ly è molto attento a raccontare la complessità delle banlieue, senza giudicare nessuno: non ci sono buoni né cattivi, nemmeno tra i poliziotti. Il confine tra vittime e carnefici è molto labile.
Miserabili non sono i personaggi ma la quotidianità in cui sono costretti a vivere, una miserabilità quotidiana che parte dalla mancanza di prospettive, dal fallimento di un sistema sociale che non permette l’integrazione degli immigrati, neanche di quelli di terza o quarta generazione.
Una società che rinuncia all’integrazione e crea ghetti come Montfermeil è destinata alla decadenza, non ha futuro. E l’amarezza maggiore è che l’inclusione sociale non è un’utopia, è sempre possibile, perché come ricorda il monito finale di Victor Hugo “non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”.
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ashtray_bliss
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domenica 10 maggio 2020
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la rabbia dei miserabili in rivolta.
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Risuonano oggi più che mai attuali le parole espresse da Victor Hugo che chiudono questo bellissimo ma dolente e realistico lungometraggio: Non ci sono ne' uomini ne' erbe cattive, soltanto cattivi coltivatori. Un messaggio talmente essenziale e semplice che racchiude il significato del film girato dal regista Ladj Ly, anch'egli proveniente da una delle tante banlieue parigine, che tornano a far parlare di sè quando esplode la rabbia, la violenza, le sommosse. Uno stato dentro lo stato fatto di regole proprie, usi e costumi intrinsecamente legati coi paesi d'origine dei suoi abitanti, unificati dalla religione comune (l'Islam) e fomentati dal disagio nel quale versano.
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Risuonano oggi più che mai attuali le parole espresse da Victor Hugo che chiudono questo bellissimo ma dolente e realistico lungometraggio: Non ci sono ne' uomini ne' erbe cattive, soltanto cattivi coltivatori. Un messaggio talmente essenziale e semplice che racchiude il significato del film girato dal regista Ladj Ly, anch'egli proveniente da una delle tante banlieue parigine, che tornano a far parlare di sè quando esplode la rabbia, la violenza, le sommosse. Uno stato dentro lo stato fatto di regole proprie, usi e costumi intrinsecamente legati coi paesi d'origine dei suoi abitanti, unificati dalla religione comune (l'Islam) e fomentati dal disagio nel quale versano. Ecco allora che ispirandosi alle vere rivolte nate dalle banlieues nel 2005 (ma in realtà non ne abbiamo mai smesso di parlare) il regista francese originario del Mali fotografa con amaro e vivido realismo uno spaccato di vita di Montfermeil, il quartiere povero e degradato nel quale si svolge l'azione della sua prima pellicola.
La storia ruota attorno ad un esiguo gruppo di poliziotti, incluso il neofito Stephane, col compito di pattugliare il quartiere in questione e tutto sembra procedere "normalmente" sin quando una progressiva escalation di tensione e violenza si verrà a instaurare a causa di un leoncino rubato da un circo ambulante di Rom. Evento che porta la polizia sulle traccie dei giovani abitanti del quartiere, incluso il piccolo Issa, l'autore del singolare furto. Ma l'episodio darà presto origine ad una tensione, crescente e già palpabile, tra abitanti e forze dell'ordine che sfocerà nella mezz'ora finale in una vera e propria esplosione di violenza e rabbia che sigilla l'amaro epilogo di questo crudo, realistico e teso thriller urbano.
Il regista mette così in evidenza e in discussione, senza prese di posizione scontate o schieramenti ideologici prevedibili, le ripercussioni e conseguenze dell'emarginazione sociale, del disagio, del senso d'ingiustizia subita da parte della popolazione di uno dei quartieri più violenti della capitale francese. Attraverso il registro asciutto e schietto che assume la pellicola, Ly, ci catapulta nel vivo di una realtà parallela, sporca, tesa, sorretta da scambi illegali, micro e macrocriminalità che godono del tacito appoggio della polizia locale in uno schema che sembra destinato a ripetersi ad oltranza, senza offrire una concreta via d'uscita dalla condizione di degrado che si traduce in forma mentale prima che materiale (difatti, gli abitanti non vengono mai esplicitamente descritti come poveri). La loro gabbia è in primis di natura mentale e sociale; un gruppo eterogeneo di ragazzi che cresce privo di aspirazioni e speranze, privo di valori sociali, orientamenti e guide, con gli adulti che sono i grandi assenti dall'educazione impartita loro. In questa giungla che nutre il senso di esclusione dal tessuto sociale francese alimentando risentimento e rabbia i ragazzi si sentono intrappolati all'interno di una sistema dal quale pare impossibile fuggire. Un mondo regolato dalle proprie regole dove ogni situazione nuova è potenzialmente pericolosa o esplosiva, specialmente quando la polizia si trova a dover pattugliare la zona giorno e notte.
Armato di coraggio e grande senso narrativo, mescolando egregiamente gli elementi a sua disposizione, inclusa una necessaria dose di ironia e humor specialmente nella prima parte del lungometraggio, Ly, cambia rapidamente registro enfatizzando il dramma sociale che sfocia in un vero e proprio thriller poliziesco, colmo di tensione e suspense negli ultimi minuti che precedono il finale. Un finale che benchè sia stato appositamente lasciato alla libera interpretazione non lascia grandi spiragli di speranza accesi negli spettatori. In fondo, tutto ciò che precede la chiusura era un lungo, lento, ma implacabile rito di iniziazione non esclusivamente alla violenza quanto alla ribellione, in un tentativo estremo e ingiusto di far sentire la propria voce e rivendicare i propri diritti quando tutti gli altri canali per farlo sembrano esauriti.
Ly, realizza così con taglio semi documentaristico un film di denuncia sociale che solleva riflessioni più che mai attuali su come il nascere, crescere e vivere in quartieri degradati e poveri promuova e inculchi un certo tipo di mentalità, specialmente nei più piccoli e giovani, i quali si sentono intrappolati in un mondo tanto vicino quanto distante e diverso da quello che la società impone e promuove. La violenza, la mancanza di aspettative, di fiducia nel futuro, di educazione rigenerano generazione dopo generazione gli stessi comportamenti sociali, gli stessi stereotipi, danneggiando irreparabilmente il loro futuro.
Il taglio realistico e duro dona verosimiglianza, nonostante venga scandito da passaggi che alleggeriscono il tono disilluso del racconto e garantisce il fluire della trama all'interno di questo universo tetro dove la tensione aumenta gradualmente sino a sfociare nel caos incontrollabile e implacabile del finale. Ancorato strettamente alla difficile realtà dei luoghi che egli stesso conosce bene, Ly, ci regala un dramma urbano serrato, violento e ancora più disperato, dove la disperazione si traduce nell'impossibilità di cambiare situazioni e schemi destinati a ripetersi.
Intenso e memorabile, supportato da una straordinaria fotografia e regia, ruvida, verosimile e concreta e coadiuvato da interpretazioni intense. Da vedere e riflettere; 4/5.
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albert
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lunedì 27 gennaio 2025
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chi sono i violenti?
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ll primo lungometraggio di Ly colpisce nel segno. Siamo in una delle tante banlieue parigine dove la violenza è di casa. L'esordiente regista ci mostra inizialmente i festeggiamenti per la vittoria dei mondiali, dove i francesi per una volta si sono sentiti un unico popolo. È un inizio illusorio, poiché dopo ci vengono mostrati tre poliziotti, uno alle prime armi, uno dai metodi decisi, quasi brutali e il terzo accondiscendente verso il comportamento di quest'ultimo. Sembra che si possa delineare un film sulla violenza di questi ultimi due contrastata dal buon senso del neopoliziotto, invece no. Tutto si ribalta, a partire dal furto di un leocino, appartenente al più influente tra gli zingari, da parte di Issa, un bambino di colore.
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ll primo lungometraggio di Ly colpisce nel segno. Siamo in una delle tante banlieue parigine dove la violenza è di casa. L'esordiente regista ci mostra inizialmente i festeggiamenti per la vittoria dei mondiali, dove i francesi per una volta si sono sentiti un unico popolo. È un inizio illusorio, poiché dopo ci vengono mostrati tre poliziotti, uno alle prime armi, uno dai metodi decisi, quasi brutali e il terzo accondiscendente verso il comportamento di quest'ultimo. Sembra che si possa delineare un film sulla violenza di questi ultimi due contrastata dal buon senso del neopoliziotto, invece no. Tutto si ribalta, a partire dal furto di un leocino, appartenente al più influente tra gli zingari, da parte di Issa, un bambino di colore. Da qui in poi è un divampare di violenza che vede coinvolti gli zingari, adulti di colore, i poliziotti, filmati da un drone di un ragazzino, e i ragazzini di colore. Quando i poliziotti vogliono catturare Issa, lui fa di tutto per scappare aizzando gli altri ragazzini alla rivolta, finché Gwenda, frustrato e stressato spara un proiettile di gomma in faccia a Issa, filmato dal drone. Per recuperare il filmato, i poliziotti si rivolgono al "sindaco", un boss della zona, e a Salah, un capo religioso. Ottenuto il filmato, verso la fine i poliziotti vengono brutalmente attaccati da bambini e adolescenti di colore, aizzati da Issa, che riempiono di botte persino il sindaco, feriscono gravemente Chris, distruggono la macchina dei poliziotti giunti in soccorso con una violenza inarrestabile. Issa è come una divinità vendicatrice con un viso che esprime odio totale, tanto che anche Ruiz dovrà ricredersi rispetto ai propri metodi morbidi. Il film è quindi sempre un crescendo fino a che non compare una frase di Hugo a commento finale. La violenza genera violenza e se non interviene l'educazione o l'insegnamento degli adulti, le nuove generazioni saranno violente come non mai. A parte qualche parte più convenzionale, il film è girato molto bene con movimenti della mdp studiati e accurati. Anche le scene più concitate risultano verosimili e per questo va fatto un plauso al regista. Il cast è totalmente adeguato ai ruoli che deve svolgere.
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angelo umana
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mercoledì 24 giugno 2020
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siamo piccoli e miserabili
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Sulle note di “marchons” dell'inno nazionale francese ballano e si divertono tutti sullo sfondo dell'Arco di trionfo di Parigi, bianchi neri gialli e rossi. Uniti e festanti celebrano la vittoria dei bleux al campionato del mondo, il calcio unisce dappertutto... unisce? E' chiaro dalle prime battute di vita quotidiana successiva al tifo che così non dura, la normalità di tutti i giorni riporta gli immigrati, e i loro figli nati in Francia, nel quartiere periferico e degradato di Montfermeil al loro posto, una varia umanità più o meno malavitosa: bambini perdigiorno per strada, prostituzione praticata a buoni prezzi nei palazzoni che ricordano le Vele di Scampia (tutte le periferie si assomigliano), gruppuscoli che cercano di affermare la propria supremazia o potere di persuasione su altri gruppi.
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Sulle note di “marchons” dell'inno nazionale francese ballano e si divertono tutti sullo sfondo dell'Arco di trionfo di Parigi, bianchi neri gialli e rossi. Uniti e festanti celebrano la vittoria dei bleux al campionato del mondo, il calcio unisce dappertutto... unisce? E' chiaro dalle prime battute di vita quotidiana successiva al tifo che così non dura, la normalità di tutti i giorni riporta gli immigrati, e i loro figli nati in Francia, nel quartiere periferico e degradato di Montfermeil al loro posto, una varia umanità più o meno malavitosa: bambini perdigiorno per strada, prostituzione praticata a buoni prezzi nei palazzoni che ricordano le Vele di Scampia (tutte le periferie si assomigliano), gruppuscoli che cercano di affermare la propria supremazia o potere di persuasione su altri gruppi. C'è poi il trio di agenti di polizia mandati nel quartiere ogni giorno a far rispettare la legge, e lo fanno un po' suadenti, quasi a scendere a patti, e un po' violenti, a seconda della forza dei gruppi interlocutori. Sono io la legge! dice quello dei tre che vuole apparire più duro, l'autoritario e violento Chris, ma è evidente che il loro non è che uno dei poteri presenti sul campo.
Il quieto vivere non dura, il regista Ladj Ly rappresenta una realtà che conosce bene per aver vissuto proprio a Montfermeil, gli basta mostrarci un paio di giorni di tensione palpabile, con equilibri e conflitti latenti destinati a esplodere alla minima miccia. Pare di vedere un altro film segreto nel film stesso: è quello di un ragazzino solitudinario che con un drone riprende tante piccole realtà, pure una azione violenta compromettente dei poliziotti, che se venisse diffusa scatenerebbe la collera dei residenti di colore. E i fatti comunque la scateneranno, saranno i ragazzini a mettere il trio di agenti sotto scacco.
“Ho visto uomini piccoli ammazzare, piccoli disperati e nudi”, cit. Roberto Vecchioni in una sua canzone: in realtà sono I Miserabili, che è il titolo del film opera prima di Ladj Ly. Persone qualsiasi a cui non basta dire “siamo francesi, accettalo!” per essere considerati. Storie minime, di periferia appunto, gente della quale non frega niente a nessuno, e i poliziotti della squadra a rischiare ad ogni passo. La sera a casa poi, soli o in famiglia, con le loro paure e scene della giornata ancora nella testa. Solo il nuovo arrivato tra i tre dimostra un modo diverso di trattare, il solo tra loro che cerca di colloquiare coi residenti, è lui a dire agli altri Non ci scusiamo mai...!? E' l'unico a cui attribuire la qualifica del buon coltivatore, dalla frase di Victor Hugo nella sua opera I Miserabili, citata in chiusura di pellicola: “Non ci sono cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”.
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felicity
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mercoledì 24 giugno 2020
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un film meraviglioso in cui tutti sono vittime
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La bellezza del film è di non cadere nel trabocchetto del manicheismo, evitando di distinguere i personaggi in buoni e cattivi, ma raccontando invece, senza alcun pregiudizio, degli esseri umani, con le loro debolezze, le loro frustrazioni, i loro demoni.
Il quartiere è una polveriera in cui convivono caratteri diversi, clan e piccole bande molto diverse tra loro, costrette a convivere gomito a gomito, sempre sul chi va là, dove basta una piccola scintilla per far esplodere il lato più oscuro di ognuno.
Il titolo, preso ovviamente a prestito dal capolavoro di Hugo, non è casuale: al di là dell’ambientazione condivisa, è un racconto di persone che vivono in condizione di miseria, che siano sbirri o delinquenti, che siano onesti cittadini o semplici bambini, sono tutti personaggi costretti quotidianamente ad una vita di compromessi, piccolo traffici, ad arrangiarsi per sopravvivere.
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La bellezza del film è di non cadere nel trabocchetto del manicheismo, evitando di distinguere i personaggi in buoni e cattivi, ma raccontando invece, senza alcun pregiudizio, degli esseri umani, con le loro debolezze, le loro frustrazioni, i loro demoni.
Il quartiere è una polveriera in cui convivono caratteri diversi, clan e piccole bande molto diverse tra loro, costrette a convivere gomito a gomito, sempre sul chi va là, dove basta una piccola scintilla per far esplodere il lato più oscuro di ognuno.
Il titolo, preso ovviamente a prestito dal capolavoro di Hugo, non è casuale: al di là dell’ambientazione condivisa, è un racconto di persone che vivono in condizione di miseria, che siano sbirri o delinquenti, che siano onesti cittadini o semplici bambini, sono tutti personaggi costretti quotidianamente ad una vita di compromessi, piccolo traffici, ad arrangiarsi per sopravvivere.
Non è un film sorprendente, questo di Ladj Ly, ancorato ad una tradizione filmica che da L'odio in poi ha saputo raccontare le banlieue parigine con vigore e in maniera a volte anche accorata.
Ha dalla sua, Les misérables, l'indubbio crescendo di una tensione che scorre sottotraccia in parte per le intemperanze di uno dei tre poliziotti, soliti modi da sbruffone che sfociano spesso in abuso di potere, in parte per la notevole caratterizzazione dei miserabili che danno il titolo stesso al film.
Lo sviluppo, dunque, è abbastanza canonico. Fino alla svolta dell'assedio finale dentro uno dei palazzoni fatiscenti: ecco, in quel momento il film riesce ad esplodere tutta la sua rabbia e la tensione accumulata, conducendo ad un finale di grande impatto. Ad una resa dei conti inevitabile, che resta però giustamente sospesa.
Un film meraviglioso in cui tutti sono vittime: di una società che non li considera, di una vita che per loro non ha mai sorriso.
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sacnito
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mercoledì 27 maggio 2020
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miserabili del terzo millennio
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Qualcuno lo ha definito il degno erede di "La haine" (1995) - altro capolavoro - col quale sicuramente condivide la medesima ambientazione: i quartieri parigini periferici, le cd. Banlieue. In realtà quei grandi palazzi fatiscenti non sono poi così tanto diversi da quelli che troviamo, ad esempio, a Scampia: si tratta di una storia che potrebbe ambientarsi in qualsiasi periferia del mondo.
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Il richiamo al romanzo di Victor Hugo (sia nel titolo che nella citazione finale) rappresenta l'espediente per raccontare la storia dei nuovi miserabili, i poveracci del terzo millennio.
"I miserabili" è un film politico, pur non parlando mai di politica.
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Qualcuno lo ha definito il degno erede di "La haine" (1995) - altro capolavoro - col quale sicuramente condivide la medesima ambientazione: i quartieri parigini periferici, le cd. Banlieue. In realtà quei grandi palazzi fatiscenti non sono poi così tanto diversi da quelli che troviamo, ad esempio, a Scampia: si tratta di una storia che potrebbe ambientarsi in qualsiasi periferia del mondo.
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Il richiamo al romanzo di Victor Hugo (sia nel titolo che nella citazione finale) rappresenta l'espediente per raccontare la storia dei nuovi miserabili, i poveracci del terzo millennio.
"I miserabili" è un film politico, pur non parlando mai di politica. È un film sull'ingiustizia sociale e sull'immobilismo sociale. Ci è stato già detto da altre opere anche cinematografiche (o dalla stessa cronaca quotidiana) che chi nasce in questi posti è quasi destinato dalla nascita ad una vita misera; questo film però va oltre e ci costringe a guardare e a riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni.
L'abuso di potere, i continui soprusi e ingiustizie non fanno altro che incattivere chi li subisce: odio, violenza e consecutiva delinquenza.È un circolo vizioso da cui sembra non esserci via di scampo. E anche quel poliziotto nuovo nel quale noi spettatori riponiamo inconsciamente le nostre speranze sembra farsi travolgere.Questo è sicuramente un altro tema, la frustrazione delle forze dell'ordine e gli episodi di abuso di cui si sono ahimé resi protagonisti, facendo emergere un problema che tuttavia non si è ancora voluto affrontare a livello politico e strutturale.
Alla fine tutti ne escono sconfitti, e io credo che miserabili per il regista siano anche quei tre poliziotti. Loro come quei ragazzini sono prodotti di una società malata e fortemente ingiusta. E in questo senso interpreto la citazione finale, "non c'è erba cattiva nè uomini cattivi, ci sono solo cattivi educatori". Anche i poliziotti hanno avuto cattivi educatori.La linea di confine tra buoni e cattivi appare sbiadita e noi spettatori assistiamo al finale non più sicuri sul da che parte stare.
Il mondo è ancora diviso tra uomini che hanno una scelta e uomini che non ce l'hanno.
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jonnylogan
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giovedì 28 maggio 2020
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il ritorno dell'odio
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L’agente Stéphane Ruiz, appena arrivato nella Brigata anti-criminalità di Montfermeil, viene affiancato a Chris e Gwada, agenti esperti che pattugliano da molti anni le strade del quartiere. Da subito Ruiz s’accorge che le tensioni fra le varie minoranze e la polizia potrebbero facilmente sfociare in violenza.
A oltre vent’anni da L’odio il cinema d’oltralpe fornisce una nuova perla che attraversa le banlieue della metropoli fermandosi per in un piccolo sobborgo di una capitale in festa per i mondiali appena vinti, unica fonte d’unione per una nazione divisa in quartieri borghesi e dormitorio, e luogo letterario narrato da Victor Hugo nel suo romanzo più celebre.
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L’agente Stéphane Ruiz, appena arrivato nella Brigata anti-criminalità di Montfermeil, viene affiancato a Chris e Gwada, agenti esperti che pattugliano da molti anni le strade del quartiere. Da subito Ruiz s’accorge che le tensioni fra le varie minoranze e la polizia potrebbero facilmente sfociare in violenza.
A oltre vent’anni da L’odio il cinema d’oltralpe fornisce una nuova perla che attraversa le banlieue della metropoli fermandosi per in un piccolo sobborgo di una capitale in festa per i mondiali appena vinti, unica fonte d’unione per una nazione divisa in quartieri borghesi e dormitorio, e luogo letterario narrato da Victor Hugo nel suo romanzo più celebre. Lo sceneggiatore Ladj Ly, nato e cresciuto da genitori originari del Mali, proprio a Montfermeil e che quindi ben conosce le tensioni presenti nel territorio, trae spunto da un suo cortometraggio del 2017 per narrare eventi normali per chi vive la periferia di Parigi, ma riuscendo comunque a mantenere sempre molto alte la tensione e l’attenzione di chi osserva pur stereotipando personaggi che vanno dal poliziotto sbruffone a quello di colore in cerca del dialogo con le bande del luogo, dall’ultimo arrivato, inevitabilmente vittima dei colleghi più esperti, fino agli abitanti del quartiere che cercano di accettare la coesistenza con altre minoranze e con una polizia sgradita e sempre troppo dedita a soprusi necessari per il mantenimento dell’ordine. Rispetto all’opera di Kassovitz il primo lungometraggio di Ly si differenzia sia per presentare tutti i punti di vista presenti e perché risulta una via di mezzo fra un mockumentary e il cinema noerealista in cui non si riesce a trovare un protagonista univoco, anche se l’ottimo Damien Bonnard si staglia fra colleghi avvezzi alla violenza e autoctoni poco disponibili, in cui gli eventi degenerano in scontri di piazza causati da una normale routine e dove, a visione ultimata, si fanno sempre più vere le parole tratte dal romanzo di Hugo: “non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”.
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ghisi grütter
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lunedì 1 giugno 2020
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aree metropolitane
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In questi giorni stiamo seguendo l’ennesima violenza della polizia americana su un afroamericano a Minneapolis e le reazioni a catena che tale atto sta producendo. George Floyd, così si chiamava l’uomo, è stato bloccato con un ginocchio sul collo, quindi soffocato, mentre affermava di non poter respirare. I quattro poliziotti che lo avevano fermato sono stati licenziati ma poi, dopo varie manifestazioni e petizioni internazionali, sono stati arrestati.
Ed è proprio questo il forte clima di violenza che si respira nel film “I miserabili”.
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In questi giorni stiamo seguendo l’ennesima violenza della polizia americana su un afroamericano a Minneapolis e le reazioni a catena che tale atto sta producendo. George Floyd, così si chiamava l’uomo, è stato bloccato con un ginocchio sul collo, quindi soffocato, mentre affermava di non poter respirare. I quattro poliziotti che lo avevano fermato sono stati licenziati ma poi, dopo varie manifestazioni e petizioni internazionali, sono stati arrestati.
Ed è proprio questo il forte clima di violenza che si respira nel film “I miserabili”. Mi si è attorcigliato lo stomaco per un’ora e tre quarti, durante tutta la proiezione del film.
Siamo nei grand ensembles di Montfermeil, un comune francese di 25.000 abitanti all’estrema periferia orientale parigina nel dipartimento della Senna-Saint-Denis nella regione dell'Île-de-France.
È proprio lo stesso luogo dove Victor Hugo ha ambientato il suo famoso romanzo Les Misérables del 1862. I suoi personaggi appartenevano agli strati più bassi della società francese dell'Ottocento, i cosiddetti "miserabili" - persone cadute in miseria, ex forzati, prostitute, monelli di strada, studenti in povertà - la cui condizione non era mutata né con la Rivoluzione né con Napoleone, né con Luigi XVIII.
E come gli abitanti di allora, anche oggi in questa zona povera si trovano gli attuali” miserabili”: c’è lo spaccio di droga, ci sono i furti, qui vivono immigrati di varie generazioni e gli zingari, c’è il Sindaco nero, ci sono i Fratelli mussulmani. E soprattutto c’è l’eccesso di violenza messo in atto dalla polizia.
Nel 2017 Ladj Ly, regista parigino quarantenne originario del Mali, aveva già girato un corto sullo stesso tema, in seguito ha scritto la sceneggiatura del lungometraggio con Giordano Gederlini e il coprotagonista Alexis Manenti.
Il film si apre con una scena del mondiale vinto dalla Francia del 1998, dove tutti cantano la Marseillaise. Molti tifosi sono neri, quasi tutti, e riempiono come un fiume in piena les Champs-Élysées con i volti pieni di gioia gridando “vive la France”. Ma l’apparente unità nazionale nel film viene subito frantumata dai contrasti tra i vari gruppi etnici che si fronteggiano, una volta rientrati nel quartiere.
Il regista riesce a costruire una tensione altissima per tutto il film, grazie anche alla bravura di tutti gli attori (di cui solo alcuni professionisti), e guida lo spettatore all’interno di una tremenda rivolta ispirata a quella parigina del 2005.
Ladj Ly, che ha iniziato a filmare proprio durante le rivolte di quell’anno, tallona i personaggi con la macchina a mano e ogni tanto, per aumentare la tensione, aggiunge alle immagini una musica cavernosa di sottofondo.
Stéphane Ruiz (Damien Bonnard) è un poliziotto divorziato che, per seguire il figlio affidato alla madre, si è trasferito a Parigi venendo da Cherbourg, una piccola cittadina sulla Manica. Entra così a far parte della Brigata anti-criminalità di Montfermeil, e conosce i suoi nuovi compagni di squadra l’impulsivo Chris (Alexis Manenti) e il più introverso Gwada (Djibril Zonga). Il regista, attraverso lo sguardo di Stéphane nel suo primo giorno di pattugliamento, svela in crescendo le ostilità tra i vari gruppi presenti del distretto.
Con lo sguardo essenziale del documentarista, Ladj Ly mostra l’habitat di bande e di gruppi criminali e il degrado urbano dei palazzoni dei grand ensembles costruiti tra gli anni ‘60 e ‘80. Molti di questi grossi interventi di edilizia economica e popolare - o come li chiamano i francesi “logements sociaux”- è previsto che vengano demoliti negli attuali programmi di rinnovo urbano.
Un giorno di ordinaria amministrazione viene rapito un leoncino dal circo equestre di passaggio e i tre poliziotti scoprono che lo aveva preso il giovane Issa. L’agente Chris che comanda la squadra non è tipo da andare per il sottile e in una zona così difficile usa spesso la violenza per farsi “rispettare”. Gwada lo segue, nato e cresciuto in quel quartiere, pensa che non ci siano alternative a quel modo brutale di comportarsi. In un momento di trambusto Gwada ferisce gravemente Issa, mentre il drone di Buzz - esplicita metafora del cinema - un altro ragazzino nero del quartiere, riprende tutta la scena.
Inizia in tal modo la caccia al video che può compromettere la vita e la carriera dei poliziotti. E così, in un crescendo, il regista guida lo spettatore nei meandri della conflittualità tra i vari gruppi e nella violenza della guerriglia urbana, gestita per di più da ragazzini arrabbiati (casseurs?).
Nel finale è citata la frase di Victor Hugo: “Amici miei, tenete a mente questo: non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”, come per ristabilire una distanza dalla violenza dei poliziotti, sottolineando un punto di vista da documentarista più che da attivista militante, a differenza da altri film recenti come ad esempio “En guerre” di Stéphane Brizè del 2018.
“I miserabili” - premio della giuria alla 72ma edizione del Festival di Cannes -è un film molto duro, ma molto bello, e fornisce notevoli spunti per una riflessione.
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ennio
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mercoledì 10 giugno 2020
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iperrealismo nel ghetto multietnico parigino
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"I miserabili" è un film molto ben fatto. Volti, espressioni, inquadrature, ambiente urbano, risultano quanto mai adatti alle vicende di degrado e difficile convivenza interetnica che tratta il film. Ognuno è libero di trarre una morale dal comportamento dei poliziotti, come crede anche di fare il neo-poliziotto protagonista che, aggregatosi a una pattuglia in lotta quotidiana contro la malavita della banlieu, si fa prendere da scrupoli di coscienza per i metodi sbrigativi dei più esperti colleghi. Scrupoli che già dopo le prime 24 ore di lavoro appaiono mal riposti e si ritorcono contro lo stesso malcapitato e ingenuo poliziotto.
Comunque, "I miserabili" è un bell'affresco parigino del 21° secolo, la cui Parigi attuale avrebbe forse fatto inorridire persino Victor Hugo.
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fabiofeli
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giovedì 25 giugno 2020
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seduti su una polveriera
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Issa (Issa Perica), da soprannominare “lui ne combina sempre una”, è un ragazzo sui 14 anni che vive in un non-luogo alla periferia est di Parigi, con meno di 30.000 abitanti. Issa apre il film rivestito del tricolore francese il 15 luglio del 2018: va a Parigi, ai Campi Elisi a tifare la Francia del calcio nella folla multicolore e multietnica, pazza per Mbappé e compagni che conquistano il titolo mondiale in Russia. Due giorni consecutivi di festa nei quali tutti insieme mimano la marcia, affratellati dalla Marsigliese: poveri e meno poveri, con documenti o sans-papiers, immigrati o rimpatriati o nuovi francesi per ius soli.
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Issa (Issa Perica), da soprannominare “lui ne combina sempre una”, è un ragazzo sui 14 anni che vive in un non-luogo alla periferia est di Parigi, con meno di 30.000 abitanti. Issa apre il film rivestito del tricolore francese il 15 luglio del 2018: va a Parigi, ai Campi Elisi a tifare la Francia del calcio nella folla multicolore e multietnica, pazza per Mbappé e compagni che conquistano il titolo mondiale in Russia. Due giorni consecutivi di festa nei quali tutti insieme mimano la marcia, affratellati dalla Marsigliese: poveri e meno poveri, con documenti o sans-papiers, immigrati o rimpatriati o nuovi francesi per ius soli. Ma il giorno dopo per il poliziotto appena arrivato Stéphane Ruiz (Damien Bonnard) è subito un giorno di scuola e conflitto con i colleghi Chris (Alexis Manenti) e Gwada (Djibril Zonga): deve conoscere il Sindaco, che traffica e spaccia, ma fornisce informazioni sulla malavita; e poi c’è l’Imam, un uomo che sa adoperare la logica e le parole; c’è da affrontare il guaio del leoncino degli Zeffirelli (giostrai circensi) rapito da Issa. Quasi dal niente monta un conflitto sull’orlo dell’esplosione, perché un ragazzino, Buzz (Al-Hassan Ly) ha filmato parte dello scontro tra polizia e ragazzi con il suo drone. A questo punto sono tutti contro tutti, perché le cose stanno come stanno, ammonisce l’Imam … Il titolo del film è mutuato da Vichor Hugo e trova fondamento nella Locanda Thénardier che si trova in quel piccolo comune ai limiti della Banlieu parigina. Sono presenti tutti quelli che contano poco, i nuovi miserabili compresi i poliziotti, ma l’assenza dei ricchi è pesante e immanente, come un macigno che resta lì immutato perché non si scalfisce. E Stéphane non può permettere l’illegalità di Chris e Gwada, ma neanche quella di Issa e di Buzz. Il regista Ladj Ly racconta con un montaggio serrato: la pioggia di sassi e bottiglie che piovono sui poliziotti non giustifica un proiettile di gomma sparato in pieno viso a un bambino. Ad un certo punto sembra di vedere uno dei video che circolano in rete nel quale la fuga acrobatica negli ostacoli urbani, tra scalinate e cancelli chiusi da scavalcare, arresti improvvisi e giravolte, assomiglia più ad un balletto acrobatico da applaudire che ad una caccia senza quartiere. E basta aprire uno spiraglio sulle vite private dei poliziotti per capire chi è più vicino ad un equilibrio e chi opera le scelte migliori anche quando è messo alle strette. L’interrogativo che ci poniamo è: le cose stanno come stanno, ma cosa bisogna fare perché non stiano più così? La stessa cosa che ci stiamo chiedendo in tempi di Covid-19: cosa fare per rimediare ad un mondo sempre più spaccato tra chi ha tanto, troppo e la grandissima parte dell’umanità che non ha di che vivere? Un buon film da non mancare. Valutazione **** FabioFeli
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