Una conversazione con Davide Ferrario

Perchè il carcere?
Ho cominciato a frequentare il carcere nove anni fa, in modo abbastanza casuale. Mi fu chiesto di fare due lezioni di montaggio a un corso di formazione professionale per video-editor e operatori che si teneva a San Vittore. Doveva essere una cosa una tantum, ma l'impatto con il gruppo dei detenuti che frequentava quel corso fu così forte che chiesi un permesso da volontario e da allora continuo a lavorare "dentro".


Cosa significa "lavorare dentro"?
Beh, formalmente è una specie di laboratorio di audiovisivi, che in certi casi ha portato anche alla realizzazione di lavori importanti, come Fine amore: mai, un documentario sulla sessualità in carcere del 2002, che ha girato anche per i festival. Altre volte produce piccole cose, cortometraggi o documentari, a "uso interno". Qualche volta abbiamo anche scritto delle sceneggiature. Ma soprattutto per me questo lavoro ha un significato umano. Credo che noi liberi viviamo in un mondo di plastica e di finta autodeterminazione. La brutalità della galera, invece, ti pone in una situazione limite in cui un uomo deve fare i conti con se stesso (tanto è vero che qualcuno non ce la fa e si suicida: sono circa cinquanta all'anno, in Italia). Da questa condizione nasce un'energia talvolta negativa, ma affascinante, se sai riconoscerla. E se vai dentro con onestà, non per fare il missionario o per salvare qualcuno, impari tante cose quante ne lasci lì. Alla fine il complimento più bello che puoi sentirti fare è che "sei uno di loro", come spesso mi hanno detto, anche se so benissimo che siamo profondamente diversi. Sostanzialmente, la galera può essere una grande scuola di umanità, nel bene e nel male, fuori da ogni romanticismo. A un certo punto dicevo apertamente che San Vittore era il miglior posto che si potesse frequentare a Milano...


TUTTA COLPA DI GIUDA, però, è girato a Torino...
Sì, perchè nel 2004, per una serie di ragioni, ho smesso di andare a San Vittore e ho cominciato a frequentare le Vallette di Torino, la mia città, dove vado tuttora. La situazione però qui è molto diversa. A Milano stavo al Penale, e cioé a contatto di condannati a pene molto lunghe, ergastolani, rapinatori, omicidi, anche alcuni BR mai pentiti; alle Vallette frequento la sezione Prometeo, una sezione sperimentale che è come la descrive don Iridio nel film: delinquenti di piccolo calibro, quasi tutti con problemi di droga - anche se in sezione ci sono alcuni condannati per reati più importanti e anche un ergastolano. Tanto è vero che nel 2006 eravamo già pronti a girare, ma poi arrivò l'indulto e quell'agosto ci ritrovammo in sezione solo io e l'ergastolano... Ci è voluto un altro anno per ricostruire un gruppo.


Qual è stata la sua relazione con i detenuti-attori?
Innanzitutto devo dire che per anni ci siamo frequentati nei termini che dicevo sopra. Non si parlava certo di fare un film "vero". Questo tempo insieme ci è servito per costruire un rapporto di fiducia, così quando abbiamo girato non si è trattato della classica operazione da cinema "mordi e fuggi", ma il film si è inserito in una relazione personale di lunga data, anche con il personale penitenziario e con la direzione. Anzi, vorrei aggiungere che una delle scoperte di questi anni sono stati i direttori di carcere e - spesso - i loro agenti. Fuori dal luogo comune del "carceriere", i direttori sono intellettuali che gestiscono situazioni sempre al limite del collasso con un'intelligenza e una capacità degne di ammirazione assoluta. Insomma, quando abbiamo girato c'era una condizione generale di grande positività da parte di tutti e anche la contaminazione tra la troupe (pressoché nessuno era mai stato dentro) e i detenuti ha funzionato da stimolo per tutti.


Il film, però, non è "sul" carcere.
No, infatti, semmai è "nel" carcere. Ammesso che i film debbano essere per forza "su" qualcosa, TUTTA COLPA DI GIUDA parla della religione. Non mi sarebbe mai interessato un film "sul problema carcere". Quel tipo di lavoro lo faccio in altro modo e ne ho anche una forma di pudore. Ma quando ho pensato alla storia del film mi è subito parso evidente che il carcere sarebbe stato un formidabile catalizzatore per trasformare una storia "intellettual-filosofica" in una vicenda realistica con delle grandi potenzialità di commedia.


Vale a dire?
Prima di tutto, lasciatemi dire che sono un ateo convinto e sereno. Dio (o il suo silenzio) è un problema che non mi angoscia minimamente. Ma capisco il senso della religione come risposta alle grandi domande della vita, anche se sono totalmente contrario a qualsiasi forma di religione organizzata e, in generale, a chiunque decide di parlare, senza controprova, a nome di Dio. Mi sembra che nei miti religiosi (e anche quello cristiano lo è) ci siano delle prospettive affascinanti sul senso dell'esistenza. Per esempio, mi son sempre chiesto cosa sarebbe successo se Giuda, invece di cedere al famoso bacio, si fosse semplicemente rifiutato di collaborare all'autodistruzione di Gesù. Ci saremmo trovati di fronte al paradosso di un piano divino messo in mora dalla ribellione di un uomo. Se Gesù non fosse stato tradito e condannato, se non fosse morto e risorto - insomma, se non avesse potuto salvare il mondo, come credono i cristiani, che cosa sarebbe successo? Ripeto, tutto questo è pensiero, non storia. Ma all'improvviso mi è balenato in mente un luogo in cui nessuno farebbe il Giuda (in pubblico, naturalmente - perchè poi dentro gli infami ci sono, eccome): il carcere. E in particolare la recita di una Passione in cui nessuno vuole fare quel ruolo. Ho provato a pensare a cosa avrebbe fatto il regista... E da lì si è messo in moto tutto.


E' vero che ha girato il film senza sceneggiatura?
Beh, venivo da un'esperienza come DOPO MEZZANOTTE, premiato in importanti consessi per una sceneggiatura che non avevo mai scritto... Il fatto è che io credo che il cinema sia molto più ripresa e montaggio, che scrittura. In particolare, lavorando con venti detenuti veri, dentro dei tempi dettati dalla vita del carcere e, come avremmo scoperto poi, in condizioni atmosferiche sempre imprevedibili - insomma, non sarebbero stati attori credibili se non avessero interpretato se stessi. C'era cioé una parte di imponderabile che non si sarebbe risolta nelle battute scritte bene, ma piuttosto nel creare un clima in cui le cose accadevano e noi fossimo lì pronti a riprenderle. Un'esperienza quasi documentaria: e io, che il documentario lo amo più di tutto, non ero certo intimorito. Anzi, penso proprio che il continuo scambio tra piano documentario e fiction sia una delle forze trainanti del film, fino al finale a sorpresa...


L'aspetto realistico è molto forte, ma è contraddetto dal musical.
Esatto. Questa era un'altra sfida apparentemente folle, ma se uno non osa, non resta che fare i film di genere. Che ho anche fatto, nella mia carriera, ma proprio perchè poi uno si cimenta in cose del tutto nuove. Ho ripetuto spesso che considero la "coerenza stilistica" un difetto, non un pregio. Il che non significa non pensarci, allo stile, ma reinventarlo a seconda del progetto... Già l'idea di un musical in carcere era ardita, e in più qui c'era il tema religioso, che si portava dietro mille riferimenti, dai musical vaticanisti tipo Maria di Nazareth a Jesus Christ Superstar... Ma il vero problema, per me, era che non avevo a disposizione dei professionisti, ma dei detenuti che, quando ho buttato lì l'idea che avrebbero dovuto ballare, come prima reazione dicevano: "Ma non è che poi sembriamo dei froci?" Con questo materiale umano ci voleva un approccio tutto particolare e devo dire grazie a Laura Mazza, la coreografa. Le coreografie del film non sono tecnicamente impeccabili, ma le definirei profondamente sincere, a mezza via tra Pina Bausch e Don Lurio, se Laura non si arrabbia... E tutta la preparazione della parte musicale, canzoni comprese, è stata quella in cui i detenuti si sono più appassionati. Forse perchè da lì veniva fuori una corporalità che in carcere è semplicemente obliata.


Ci parli della scelta degli attori.
Kasia Smutniak era una delle attrici che seguivo da tempo. Oltre ad avere un volto straordinario da riprendere, mi sembrava dotata di qualità poco sfruttate. In TUTTA COLPA DI GIUDA mi serviva un'attrice che fosse fortemente femminile, ma anche una combattente, una specie di Davide che combatte contro Golia incommensurabili, quali l'Istituzione e Dio stesso. Ma sempre con leggerezza e un'incoscienza quasi infantile. Sono felicissimo del risultato. E tenete conto che un mese prima del film non sapeva né ballare né suonare la fisarmonica. Fabio Troiano è ovviamente un attore che mi è molto caro, ma volevo che facesse qualcosa di diverso dai ruoli in cui è stato costretto dai tempi di DOPO MEZZANOTTE. Qui deve fare un uomo dotato di autorevolezza, anche se maldestro nella vita privata. E poi c'è stata l'idea di farlo parlare in napoletano (la sua famiglia è di Castellamare), come in effetti fa Luigi Pagano, l'ex-direttore di San Vittore. Li ho fatti incontrare e così Fabio ha potuto costruire il personaggio su un modello reale. Gianluca Gobbi è, dai tempi di TUTTI GIU' PER TERRA, uno dei miei attori favoriti. E' un uomo da missioni impossibili, un attore che riesce a costruire personaggi-limite senza mai cadere nel tipico o nel grottesco. Don Iridio è per certi versi il "nemico" di Irena, ma non volevo che fosse un personaggio negativo. E' solo uno che ha trovato nell'obbedienza religiosa un modo di vivere. Anche per il personaggio del fidanzato di Irena cercavo qualcuno che fosse "negativo" ma non nella maniera in cui di solito si vede. E' così che ho pensato a Cristiano Godano, il leader dei Marlene Kuntz, una rockstar. Credo che Cristiano si sia divertito molto a rifarsi il verso, a prendere in giro le idiosincrasie delle primedonne, fino a diventare, come gli chiedevo, "ineffabilmente insopportabile". E infine c'è Luciana, intesa come Littizzetto. Luciana era già venuta in carcere con me privatamente, in altre occasioni, a dare una mano. Quando le ho proposto un cameo nel film ha cominciato a chiedermi: "Cosa devo fare? L'educatrice? La dottoressa? L'agente?..." Io continuavo a rispondere "No". Poi al telefono c'è stata una breve pausa e ho sentito il suo tono di voce cambiare: "Non vorrai mica farmi fare la suora?". E naturalmente era così. Personalmente, trovo che non ci stia male, nell'abito...


Questo film segna anche un'altra tappa nella sua ricerca sul cinema digitale...
Sì, ho ricostituito in Giuda la squadra di Dopo mezzanotte, a partire da Dante Cecchin, il direttore di fotografia. Io non sono un partigiano del digitale per principio, ma certamente ci sono situazioni in cui la tecnologia, oltre a risolvere dei problemi, apre delle possibilità espressive inconsuete. Innanzitutto girare in un carcere ti costringe a non essere padrone del set, ma semplicemente il suo ospite. Perciò mi era chiaro fin dall'inizio che solo il digitale ci avrebbe permesso velocità e qualità insieme, consentendomi, come amo fare, di improvvisare, anche seguendo le variazioni atmosferiche (e durante le riprese ne abbiamo avute di incredibili, come si vede nella scena della danza di Kasia Smutniak, che davvero è cominciata con un sole splendente e si è chiusa sotto il diluvio). Nella mia esperienza precedente, avevo anche imparato i limiti del sistema digitale CineAlta, ottimo per interni e notturni, ma molto deficitario in esterni e interni contrastati. La soluzione scovata da Dante è stata la Genesis Panavision, che è stata usata per la prima volta in Italia in questo film. E' la macchina con cui, per intenderci, sono stati girati Apocalypto e Onora il padre.
E poi nel film è molto importante l'interazione tra immagine "di finzione" e materiale documentario, rubato con una normale telecamerina durante le riprese ma anche prima, quando ancora non pensavo di fare il film.



A PROPOSITO DELLA MUSICA
La musica ha sempre avuto un ruolo fondamentale nel mio cinema. Da un certo punto di vista, era probabilmente inevitabile che prima o poi finissi per fare una specie di musical, anche se dubito che Tutta colpa di Giuda si possa iscrivere a questo genere in senso stretto. Qui il film non si ferma mai per "far cantare la gente" quando arriva il numero musical-coreografico. Piuttosto è la musica che diventa storia, più dei dialoghi e della sceneggiatura. Certamente per me la musica non ha mai avuto un ruolo di commento, ma si è sempre integrata nel senso profondo dei film che ho fatto. Quando parlo di musica, poi, non intendo un tipo specifico di genere musicale, ma suggestioni di ogni tipo. Basta dare un'occhiata alle colonne sonore dei miei film per rendersene conto. Tutta colpa di Giuda presenta così una varietà di contributi che è un po' una summa di molte influenze e suggestioni. Spero di essere riuscito a far convivere il rock dei Marlene Kuntz con le ballate di Cecco Signa, la fisarmonica romantica di Fabio Barovero con il beat di Gianni Maroccolo, il rumorismo di Paolo Ciarchi con l'orchestra sinfonica di Forti e De Luca. Con un ringraziamento particolare a Laura Mazza, coreografa, che è riuscita a far ballare una banda di detenuti come se fosse la cosa più naturale del mondo.


Davide Ferrario