Cinque individui diretti a Red Rock si incontrano lungo il tragitto durante una bufera di neve. C'è il maggiore Warren, ex ufficiale nordista, un cacciatore di taglie che scorta una donna ammanettata, il cocchiere O.B. e il presunto nuovo sceriffo. Si rifugiano presso l'Emporio di Minnie dove soggiornano altri quattro uomini. Isolati per via della neve, i nove (o otto) iniziano un intenso gioco delle parti, in cui ognuno dubita dell'identità dell'altro.
L'ottavo film di Tarantino riprende il tratto western dell'ottimo Django, miscelato con l'intensità del dramma frontale de Le Iene. The Hateful può quindi vantare un doppio mordente: quello teatrale, fatto di lunghi dialoghi tra personaggi fortemente caratterizzati, e quello estetico, con la bellissima fotografia e un altrettanto efficace sonoro. Il ritmo è scandito dalla suddivisione in capitoli e dalla continua alternanza sonora e visiva tra l'esterno innevato e l'interno accogliente. Con svolgimento quasi giallistico, sul filo di molti lavori di Agatha Christie. Di Trappola per Topi il film condivide la presentazione dei personaggi apparentemente separati, la progressiva scoperta dei legami reciproci, l'isolamento per via della neve. Ma gli omaggi sono soprattutto cinematografici, da Whiteout- Incubo bianco al più noto La Cosa con tanto di integrazioni della colonna sonora di Morricone.
Come in ogni film di Tarantino lo spettatore ha l’impressione di un cinema totalizzante, che vanta citazioni infinite, confezionate con una regia intensa e mai banale. The Hateful Eight non fa certo eccezione, anzi supera i predecessori: la fotografia è diretta Robert Richardson, lo stesso di Kill Bill, e soprattutto le riprese serrate (distribuite anche in una versione con pellicola da 70 millimetri) garantiscono una qualità eccelsa. Se con Django Tarantino aveva preferito il contenuto alla forma, con una vicenda toccante - meno hard boiled e chiassosa di Kill Bill, tanto per intendersi - e diversi spunti politici, The Hateful vorrebbe essere la perfetta sintesi di cappa e spada, un manifesto del duello cerebrale che vada sostituire uno splatter che ormai non sbalordisce più. Tarantino vorrebbe, insomma, maturare. E le premesse ci sono tutte, perché i mezzi non mancano e il cast offre garanzie di alto livello. Va detto, però, che i 167 minuti non sono sostenuti da una costruzione narrativa sufficientemente ingegnosa da legittimarne la durata. La trama di fatto si smarrisce quando le carte vengono scoperte, in modo brusco e per giunta rivelando l'esattezza del sospetto iniziale. The Hateful perde di fascino quando l’unico colpo di scena -che non vuole essere il punto forte del film perché un regista del calibro di Tarantino non ne ha certo bisogno – ne esclude altri. Di fatto, però, la scoperta di un intrigo tutt’altro che imprevedibile scarnifica l'interesse per un finale che si trascina in modo piuttosto snervante. Almeno per chi è avvezzo ai romanzi della Christie, la trama denota più di una debolezza.
Altro difetto è una certa disparità nella caratterizzazione dei personaggi: Jackson è quasi perfetto (anche se il suo Steven in Django per me resta imbattuto) ed ottimo è anche Tim Roth, elegante e ironico. L'espressività di Kurt Russel è invece penalizzata dai baffoni e dal tenore delle sue battute, che spesso si riducono a minacce di violenza fisica alla brava Jason Leigh, ottima antieroina dai tratti indemoniati e masochistici. Piuttosto anonimo Madsen, sul cui personaggio si ricama ben poco, e troppo caricaturale Goggins. Ben poco resta in mente di O.B. e del messicano, decisamente in secondo piano.
Resta la cornice, certamente impeccabile. Restano dialoghi in cui l’intensità teatrale prevale sul contenuto: dei monologhi tanto reclamizzati sulle labbra di Jackson se ne ricorda in particolare uno di dubbio gusto. Tarantino è sicuramente maturato, meno ruffiano e mille volte più onesto verso lo spettatore. La solita spietatezza narrativa però, entra presto in conflitto con la trama troppo classica del dramma indoor, dove un tantino di eleganza espressiva british in più (e non a caso Tim Roth sembra quello più a suo agio) non avrebbe certo guastato.
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