La classe operaia va in paradiso |
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Un film di Elio Petri.
Con Gian Maria Volonté, Mariangela Melato, Flavio Bucci, Luigi Diberti, Salvo Randone.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 125 min.
- Italia 1972.
MYMONETRO
La classe operaia va in paradiso
valutazione media:
3,44
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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A Lulù piacciono poco gli intellettualidi Gianni LuciniFeedback: 29144 | altri commenti e recensioni di Gianni Lucini |
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venerdì 14 ottobre 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nome cognome e provenienza? «Massa Ludovico, detto Lulù, Lombardia, quasi svizzera....» Così si presenta ai due giovani meridionali cui dovrebbe insegnare il lavoro Lulù, il protagonista del viaggio cinematografico di Elio Petri nel tunnel dell’alienazione e delle lotte dei primi anni Settanta per migliorare la condizione operaia. Non è un eroe Lulù, anzi è un fragile ingranaggio di una macchina che rischia a ogni passo di stritolarlo. Nella sua camera da letto, sopra la sveglia del comodino c’è lo scudetto del Milan. Il primo giornale che legge mentre fa colazione è il “Tuttosport” e la discussione con il figlio di Lidia che apre la giornata riguarda la campagna acquisti delle squadre di calcio. Non ha certezze su niente e quando comincia a cercarne (un po’ perchè capisce che la realtà è da cambiare e un po’ perché si sente obbligato ad averne) si mette nei guai. Le sue contraddizioni non lo abbandonano mai. Quando la storia sembra farsi epica con l’esplodere del conflitto in fabbrica lui da un lato è un trascinatore degli operai e dall’altro si comporta da superficiale egoista nel fugace rapporto sessuale con la giovane operaia Adalgisa. Per questa ragione nell’Italia fortemente politicizzata del 1971 una parte della critica e un nutrito gruppo di intellettuali storcono il naso di fronte al film ritenendo il personaggio interpretato da Volonté troppo ambiguo per rappresentare davvero le punte avanzate della conflittualità operaia. Non la pensa così il pubblico, che affolla le sale e decreta il successo del film dimostrando che forse chi la vita di fabbrica la vive davvero tende a identificarsi più nella fragilità di Lulù che nella sicurezza degli studenti o degli attivisti sindacali. Anche la sua progressiva presa di coscienza non procede per astrazioni ma si nutre di fatti e osservazioni della realtà. Parte dalla perdita di un dito, viaggia attraverso la consapevolezza che la sua condizione è uno specchio della società in cui vive («sembrate piccoli operai» dice al figlio quando lo vede uscire dalla scuola) e si conclude con una impietosa analisi del consumismo che lui concretizza dando un valore in ore di lavoro a ogni oggetto della sua casa.
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