Il maratoneta

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Un film di John Schlesinger. Con Marthe Keller, Dustin Hoffman, Laurence Olivier, Roy Scheider, William Devane.
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Titolo originale Marathon Man. Drammatico, durata 125 min. - USA 1976. MYMONETRO Il maratoneta * * * - - valutazione media: 3,35 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Tutti, quando cambia la prospettiva, sono nemici Valutazione 4 stelle su cinque

di Gianni Lucini


Feedback: 29149 | altri commenti e recensioni di Gianni Lucini
lunedì 26 settembre 2011

Tratto dall’omonimo romanzo di William Goldman, che firma anche la sceneggiatura, Il maratoneta trasporta sullo schermo una trama estremamente complicata, ricca di colpi di scena e di capovolgimenti di logica che se non opportunamente sorretti potrebbero far perdere allo spettatore il filo del racconto. Il regista John Schlesinger evita questi rischi mantenendo alto il ritmo e puntando su uno stile narrativo incalzante e teso nonostante l’utilizzo di vari flashback, utili a ricostruire il passato del protagonista e del fratello. Questi inserimenti regalano alla pellicola un gusto vagamente retrò che, soprattutto nella seconda parte, ben si sposa con le atmosfere notturne da film noir in cui si muove un sempre più determinato e incattivito Babe dopo essere sfuggito alle torture del criminale nazista Szell. A tener desta l’attenzione degli spettatori nonostante la complicazione degli eventi narrati, oltre alla superlativa interpretazione di Dustin Hoffman e di un Laurence Olivier all’altezza dei suoi momenti migliori, c’è una narrazione filmica articolata e di grande dinamicità. Nonostante la scelta di fare dell’azione e della tensione interna degli eventi l’asse portante del film il regista John Schlesinger non rinuncia a introdurre elementi e caratterizzazioni destinati ad approfondire il carattere dei personaggi e i contesti storici dai quali ciascuno proviene. Impietosa appare la critica del maccartismo sviluppata da Babe nella discussione sulla sua tesi, così come dolorosi sono i vari momenti nei quali gli ex deportati riconoscono il loro aguzzino nelle vie di una New York indifferente e lontana. La realtà disegnata dal film non è mai netta come accade nei film d’azione e neppure lineare nelle sue contraddizioni come avviene nei film di spionaggio classici alla James Bond. In Il maratoneta il nemico, il traditore e anche il sicario non sono esterni al mondo del protagonista, ma sono dentro la stessa cerchia degli affetti. Il fratello, gli amici del fratello, la ragazza che ama, tutti, quando cambia la prospettiva, diventano nemici, persecutori e freddi assassini. La belva dell’intolleranza è nascosta ogni uomo e ogni donna e l’indifferenza della gente di New York è complice della momentanea salvezza del criminale nazista. Non c’è salvezza senza capacità di reagire e quando inizia la resa dei conti non può esserci pietà per nessuno. Babe resta vivo in un mondo di morti in quello che appare come un “triste y solitario final” per parafrasare Osvaldo Soriano.
Una delle tante leggende di Hollywood racconta che Dustin Hoffman, fedele alla regola del metodo Stanislavkij imparata all’Actor’s Studio che prevede la completa identificazione psicologica tra attore e personaggio, prima di iniziare a girare questo film si sia rifugiato per settimane in assoluto isolamento in una stanza ermeticamente chiusa cibandosi solo di solo fette biscottate e acqua. Molto orgoglioso dei suoi metodi si sarebbe presentato carico di tensione sul set dove l’anziano ed esperto Laurence Olivier gli avrebbe detto: «Scusa, ma perché fai tutta questa fatica? Non potresti provare semplicemente a recitare?». Vera o falsa che sia la storia definisce in modo molto divertente l’incontro tra due scuole molto diverse e lontanissime tra loro. Dalla parte di sir Olivier c’è la tradizione classica del teatro inglese, misurata soprattutto nelle espressioni corporali e algida nella separazione tra interprete e interpretazione, mentre Hoffman è un esempio paradigmatico di una corrente rivoluzionaria del Novecento che prevede l’immedesimazione totale, psicologica e fisica, dell’attore nel personaggio. Nonostante le differenze l’integrazione tra i due è perfetta e Dustin Hoffman, stimolato dal confronto con un “mostro sacro”, regala al pubblico una delle sue migliori performance.

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