Darren Aronofsky, come solo i più grandi registi possono fare, si impegna in un nuovo genere per lui (ma comune nella storia del cinema) e non fallisce. Non abbiamo più il delirio visionario de "Il Teorema del Delirio"; né la pluralità di temi espressi alla perfezione dalla tecnica cinematorafica di "Requiem for a dream" (a mio avviso uno dei più bei film in assoluto); e nemmeno la riflessione metafisica de "L'albero della vita". Abbiamo un realismo classico, da alcuni definito comune, he nulla pretende in più di quanto vuole dare. Una storia (avvincente o meno non importa, anche se si trtta di un tipo di spaccato di vita che seppur in profumo di "americanata" non può non prendere), una buona interpretazione, una buona fotografia e un montaggio azzeccato (in cui non mancano delle genialate tipiche del regista, come per esempio il sottofondo del pubblico che acclama The Ram, durante il percorso verso il bancone del supermercato). Unica nota stonata, il discorso fatto da Randy sul ring prima dell'ultimo incontro; quello sì, banale e scontato, troppo da Rocky Balboa. Comunque, per concludere, Aronofsky ha dimostrato di saperci fare in qualunque cosa si metta a fare. Aspettiamo nuove sperimentaioni, Zio Darren.
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