luca scial�
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martedì 17 gennaio 2012
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una grande follia firmata herzog
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Brian Sweeney Fitzgerald, barone irlandese che gestisce la produzione di caucciù, vuole costruire nel cuore dell'Amazzonia peruviana, il più grande teatro d'opera di tutti i tempi dove si terrebbero le opere del suo lirico preferito: Enrico Caruso. Troverà negli indigeni della zona un insperato aiuto, sebbene alquanto ambiguo e sempre sospetto.
Questo film rappresenta forse il più folle di Herzog, sia per la trama che per la produzione. E' di fatti costato 8 miliardi, più tutti gli averi del regista, perfino due morti, parecchi feriti e ben tre anni di lavorazione.
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Brian Sweeney Fitzgerald, barone irlandese che gestisce la produzione di caucciù, vuole costruire nel cuore dell'Amazzonia peruviana, il più grande teatro d'opera di tutti i tempi dove si terrebbero le opere del suo lirico preferito: Enrico Caruso. Troverà negli indigeni della zona un insperato aiuto, sebbene alquanto ambiguo e sempre sospetto.
Questo film rappresenta forse il più folle di Herzog, sia per la trama che per la produzione. E' di fatti costato 8 miliardi, più tutti gli averi del regista, perfino due morti, parecchi feriti e ben tre anni di lavorazione. Il risultato finale è una pellicola di grande impatto emotivo, che trasuda di realismo estremo. Un inno alla natura selvaggia, agli indigeni e alla voce di Enrico Caruso. Se fosse stata prosciugata di una mezz'ora, sarebbe molto più godibile e ancor più apprezzabile. Ma a Herzog si sa, piace esagerare.
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jacopo b98
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venerdì 8 maggio 2015
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un rivoluzionario capolavoro iperrealista
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L’impresario Brian Sweeny Fitzgerald (Kinski), detto Fitzcarraldo, ha un sogno: costruire il più grande Teatro dell’Opera del mondo nel mezzo della foresta amazzonica, a Iquitos, e farlo inaugurare dal suo tenore preferito, Caruso, che ha visto una sola esibirsi a Manaus. Non ha tuttavia il denaro necessario per effettuare un’opera del genere e decide perciò di arricchirsi tramite il redditizio commercio di caucciù. Acquista perciò terre nella foresta e si trova a dover risolvere un altro problema: le rapide del fiume non consentono alle navi di giungere in quella zona. Vede però che in un certo punto il fiume quasi sfiora un altro fiume, divisi da un sottile tratto di terra.
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L’impresario Brian Sweeny Fitzgerald (Kinski), detto Fitzcarraldo, ha un sogno: costruire il più grande Teatro dell’Opera del mondo nel mezzo della foresta amazzonica, a Iquitos, e farlo inaugurare dal suo tenore preferito, Caruso, che ha visto una sola esibirsi a Manaus. Non ha tuttavia il denaro necessario per effettuare un’opera del genere e decide perciò di arricchirsi tramite il redditizio commercio di caucciù. Acquista perciò terre nella foresta e si trova a dover risolvere un altro problema: le rapide del fiume non consentono alle navi di giungere in quella zona. Vede però che in un certo punto il fiume quasi sfiora un altro fiume, divisi da un sottile tratto di terra. Con una nave si dirige perciò lì, deforesta il terreno e con l’aiuto degli indios tenta un’impresa folle: trascinare la nave su per la montagna per gettarla nel fiume contiguo. Alla fine la sua nave rimarrà comunque distrutta nelle rapide, il sogno di Fitzcarraldo non si realizzerà, ma l’uomo si accontenterà comunque di invitare Caruso a cantare per lui in mezzo alla foresta. Fitzcarraldo non è un film nel senso proprio del termine, in quanto è un’opera impossibile da apprezzare e comprendere se non se ne conosce la storia realizzativa. Infatti quella del film è stata una delle più travagliate lavorazioni della storia del cinema: oltre due anni di riprese, una “falsa partenza” (con protagonista Jason Robards), una lavorazione avvenuta in uno dei luoghi più ostili della Terra, la foresta pluviale amazzonica, i continui litigi Kinski-Herzog, e soprattutto il desiderio di Herzog di realizzare per davvero tutto ciò che avveniva nel film. Di conseguenza quello che si vede nel film è a tutti gli effetti “vero”. Non ci sono trucchi, né set. Nulla. La foresta è vera, gli indigeni sono veri membri di tribù indios della zona, i battelli sono veri, le sequenze in cui la nave si inerpica per la montagna sono vere, le scene nelle rapide sono vere (e sono anche costate un dito al direttore della fotografia Thomas Mauch), e soprattutto gli incidenti di percorso sono veri: la nave che crolla al primo tentativo di trascinarla su (il crollo infatti non era previsto). Insomma: Fitzcarraldo è un caso più unico che raro nella storia del cinema in cui la finzione cinematografica è rotta, in nome di un realismo assoluto, spesso involontario. E anche Fitzcarraldo, il protagonista, incarnazione del sognatore folle, si fatica a capire se sia solo un personaggio o quasi, dopo questa apocalittica lavorazione, un alter-ego dello stesso Herzog, che disse infatti:“Se io abbandonassi questo progetto sarei un uomo senza sogni, e non voglio vivere in quel modo. Vivo o muoio con questo progetto.” Quindi il film ha sì la propria importanza come opera cinematografica, ma è soprattutto il grandioso, indimenticabile manifesto di quel cinema in cui il prodotto finale è legato in modo indissolubile alla propria lavorazione. Un cinema capace di assecondare fino in fondo, a qualsiasi costo, i folli sogni dei propri autori. Kinski inoltre ci lascia la sua più grande interpretazione, punto massimo del sodalizio artistico con il grande regista bavarese. Premio per la regia al Festival di Cannes.
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mondolariano
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sabato 23 luglio 2011
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genio e follia
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Si tratta di uno dei più arditi prodotti cinematografici e uno dei migliori film d’avventura in assoluto. Malgrado il suo esotismo è di pura marca tedesca, confermando la fantasia di un popolo ingiustamente considerato asettico e freddo. Tutto, in Fitzcarraldo, combacia con la cultura nazionale, quella Germania titanica e romantica che all’epoca costituiva anche il cuore della cultura europea. Lo stesso Klaus Kinski sembra un personaggio a mezza strada tra genio e follia, malgrado il regista gli avesse preferito Jason Robards (ammalatosi gravemente all’inizio delle riprese), spalleggiato da una Claudia Cardinale un po’ sotto tono. Werner Herzog diede tutto se stesso in quest’impresa, di cui fu produttore oltre che regista, soggettista e sceneggiatore.
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Si tratta di uno dei più arditi prodotti cinematografici e uno dei migliori film d’avventura in assoluto. Malgrado il suo esotismo è di pura marca tedesca, confermando la fantasia di un popolo ingiustamente considerato asettico e freddo. Tutto, in Fitzcarraldo, combacia con la cultura nazionale, quella Germania titanica e romantica che all’epoca costituiva anche il cuore della cultura europea. Lo stesso Klaus Kinski sembra un personaggio a mezza strada tra genio e follia, malgrado il regista gli avesse preferito Jason Robards (ammalatosi gravemente all’inizio delle riprese), spalleggiato da una Claudia Cardinale un po’ sotto tono. Werner Herzog diede tutto se stesso in quest’impresa, di cui fu produttore oltre che regista, soggettista e sceneggiatore. Un’impresa costata quattro anni di lavoro e costellata di imprevisti a non finire ma forte di un’ambientazione assolutamente verosimile. Le riprese furono girate nella foresta peruviana suscitando la rabbia degli indigeni, mentre la nave (che non era un modellino) fu trascinata sulla collina con l’ausilio di un ingegnere brasiliano. Qui, purtroppo, sta anche il punto debole del film: com’è possibile che un appassionato di musica possa realizzare una simile opera d’ingegneria? Tuttavia, certe atmosfere piene di fascino, la notte amazzonica, la musica lirica diffusa nella selva da bordo della nave, la nave stessa che funge da protagonista, tutto questo rappresenta qualcosa di unico nel panorama cinematografico di sempre.
Accanto ai brani lirici c’è anche una citazione presa da “Morte e trasfigurazione”, di Richard Strauss.
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vecchiomio
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venerdì 27 giugno 2014
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"fitzcarraldo sono io"
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In una intervista rilasciata una ventina d'anni dopo l'uscita del film, Herzog non nasconde che Fitzcarraldo è la rappresentazione di sé stesso, tanto che ha trasformato il sogno del protagonista nel proprio sogno e confessa che se Kinski avesse rifiutato la parte, piuttosto che rinunciare al film avrebbe interpretato lui stesso quel ruolo. Se ne potrebbe concludere che per sopravvivere all'insensatezza della vita occorre crearsi degli obiettivi altrettanto e ancor più assurdi? Forse in questo non siamo per niente superiori agli indios, i quali, per quanto ci è dato sapere, non sono condannati a sfide impossibili e sogni stravaganti per sentirsi realizzati.
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In una intervista rilasciata una ventina d'anni dopo l'uscita del film, Herzog non nasconde che Fitzcarraldo è la rappresentazione di sé stesso, tanto che ha trasformato il sogno del protagonista nel proprio sogno e confessa che se Kinski avesse rifiutato la parte, piuttosto che rinunciare al film avrebbe interpretato lui stesso quel ruolo. Se ne potrebbe concludere che per sopravvivere all'insensatezza della vita occorre crearsi degli obiettivi altrettanto e ancor più assurdi? Forse in questo non siamo per niente superiori agli indios, i quali, per quanto ci è dato sapere, non sono condannati a sfide impossibili e sogni stravaganti per sentirsi realizzati. Forse è questo il prezzo giusto da pagare per aver barattato la natura con la conoscenza, la cultura e l'arte, per aver generato Rossini, Bellini, Caruso, la cui musica accompagna le scene del film. Ma è una musica che Herzog non usa come colonna sonora, ossia come semplice sottofondo per enfatizzare le scene e la grandiosità del paesaggio (a parte le brevi parti eseguite dai Popol Vuh), ma come vero e proprio elemento narrativo. Anche nell'ultima scena la musica è protagonista: il film si conclude infatti con una grande orchestra, ingaggiata dall'irriducibile Fitzcarraldo, che sulla nave, suonerà per lui, per gli indios e per tutti quelli che vorranno ascoltare, mentre lui finalmente sorride per essere riuscito, anche senza aver costruito il teatro, a portare quella musica sul Rio delle Amazzoni.
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