cesare premi
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mercoledì 5 agosto 2015
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amy: il diagramma di una vita bruciata
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Visto in anteprima a Dublino in lingua originale. Il film è un documentario musicale che narra la rapida ascesa e caduta di Amy Winehouse utilizzando immagini reali tratte da situazioni pubbliche e private. Il film è il risultato di questo montaggio, intercalato dai brani di maggiore successo della cantante. Dalla narrazione emergono potentemente il talento e la vitalità di Amy, ma anche le sue fragilità umane, le sue insicurezze che il "travolgente" successo metterà a nudo ed esacerberà. A dispetto della tematica non si tratta di un film triste. Le scene più toccanti sono senza dubbio quella del concerto a Belgrado, poco prima della fine, con Amy alterata saltellante per il palco e incapace di qualsiasi performance, e quella finale, col corpo di Amy portato fuori dalla sua casa londinese su una barella coperta da un drappo violaceo alla presenza dei fan increduli.
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Visto in anteprima a Dublino in lingua originale. Il film è un documentario musicale che narra la rapida ascesa e caduta di Amy Winehouse utilizzando immagini reali tratte da situazioni pubbliche e private. Il film è il risultato di questo montaggio, intercalato dai brani di maggiore successo della cantante. Dalla narrazione emergono potentemente il talento e la vitalità di Amy, ma anche le sue fragilità umane, le sue insicurezze che il "travolgente" successo metterà a nudo ed esacerberà. A dispetto della tematica non si tratta di un film triste. Le scene più toccanti sono senza dubbio quella del concerto a Belgrado, poco prima della fine, con Amy alterata saltellante per il palco e incapace di qualsiasi performance, e quella finale, col corpo di Amy portato fuori dalla sua casa londinese su una barella coperta da un drappo violaceo alla presenza dei fan increduli. Tutte scene reali, perché di fiction in questo film non c'è nulla. Amy Winehouse interpreta se stessa, ma non si tratta di un'interpretazione filmica: quelli che vediamo sono spezzoni autentici di vita che scorre, riorganizzati e montati a posteriori a costruire una vicenda.
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giurg 63
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domenica 13 dicembre 2015
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amy, star controvoglia, rimasta fragile ragazza.
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Credo che sia il grande Tony Bennett, idolo di Amy, con cui ella, incredula, ha avuto l'onore di duettare, a sintetizzare la tragica e breve parabola esistenziale di quell'esile ragazza di origini ebraiche, che aveva troppa paura di diventare famosa e lo era diventata per davvero:"Amy era una pura cantante di Jazz," dice Bennett nel film e, aggiunge, "le/i cantanti di Jazz non amano il grande pubblico."
Chissà, se Amy, in fondo "vittima" della sua stessa, unica e bellissima voce,avesse continuato ad esibirsi nei soli clubs e non fosse stata acclamata da stadi e platee, finendo nello spietato tritacarne mediatico, inseguita dai paparazzi, usata e sfruttata proprio da quelle persone in cui ella cercava solamente amore ed affetto, forse non avrebbe terminato così presto la sua non voluta corsa terrena.
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Credo che sia il grande Tony Bennett, idolo di Amy, con cui ella, incredula, ha avuto l'onore di duettare, a sintetizzare la tragica e breve parabola esistenziale di quell'esile ragazza di origini ebraiche, che aveva troppa paura di diventare famosa e lo era diventata per davvero:"Amy era una pura cantante di Jazz," dice Bennett nel film e, aggiunge, "le/i cantanti di Jazz non amano il grande pubblico."
Chissà, se Amy, in fondo "vittima" della sua stessa, unica e bellissima voce,avesse continuato ad esibirsi nei soli clubs e non fosse stata acclamata da stadi e platee, finendo nello spietato tritacarne mediatico, inseguita dai paparazzi, usata e sfruttata proprio da quelle persone in cui ella cercava solamente amore ed affetto, forse non avrebbe terminato così presto la sua non voluta corsa terrena.
E' ancora Tony Bennett che ci fa riflettere con queste altre sue parole su Amy: "Se fosse ancora viva, le direi: rallenta, rallenta! E' la vita stessa che ti insegna a vivere, se riesci a vivere abbastanza a lungo."
Amy Winehouse, ragazza troppo fragile, avrebbe probabilmente voluto rallentare, ma la giostra del successo su cui era, suo malgrado, salita, e di cui non aveva il comando, girava per lei, ormai, così veloce da farle perdere ogni orientamento.
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ile97
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venerdì 18 settembre 2015
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amy,un talento spento dalla sua fragilità.
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Si tratta di un documentario sulla vita di Amy Winehouse,l'artista jazz morta nel luglio 2011 alla giovane età di 27 anni.
Pur non avendo seguito molto bene la sua carriera,ero curiosa di capire come il regista Asif Kapadia avesse impostato il suo ritratto.
Il film punta essenzialmente a delineare il percorso di Amy dalle origini di una passione che prograssivamente diventa la sua unica valvola di sfogo in una vita che pullula di dipendenze,disturbi e conflitti interiori.
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Si tratta di un documentario sulla vita di Amy Winehouse,l'artista jazz morta nel luglio 2011 alla giovane età di 27 anni.
Pur non avendo seguito molto bene la sua carriera,ero curiosa di capire come il regista Asif Kapadia avesse impostato il suo ritratto.
Il film punta essenzialmente a delineare il percorso di Amy dalle origini di una passione che prograssivamente diventa la sua unica valvola di sfogo in una vita che pullula di dipendenze,disturbi e conflitti interiori.
Lo schema dei personaggi prevede che nei ''cattivi'' rientrino l'ex marito Blake,principale complice del suo coinvolgemento nel consumo di droghe, e in buona parte anche il padre Mitch che fin dall'infanzia sembra non curarsi del bene di sua figlia;nei ''buoni'' figurano invece le amiche di una vita e il primo manager.
E' possibile conoscere tutti questi dettagli grazie alla struttura del film,un insieme di filmini (privati e non) della cantante e testimonianze dei vari personaggi;colpisce la colonna sonora,un richiamo alla carriera musicale di Amy,le cui grandi capacità riuscivano ad emergere già dall'adolescenza.
Se la prima parte scorre piacevolmente e viene resa in modo interessante,la seconda è forse un po' troppo improntata ad impressionare lo spettatore più che ad emozionarlo rendendo un po' pesante il tutto attraverso immagini che la ritraggono nei periodi peggiori e continue riprese di lei attaccata e derisa dai media.
Ad ogni modo "Amy" rende bene l'idea che molto spesso dietro ad una grande carriera e ad un enorme talento si nasconda una grande umiltà e soprattutto un cuore fragile pronto a spezzarsi alle prime difficoltà
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aristoteles
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sabato 23 luglio 2016
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amy e gli sciacalli
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Un documentario è ben diverso da un film e credo che in questa occasione si sia fatto un ottimo lavoro.
Tralasciando facili ipocrisie,perché di colpe per distruggersi fisicamente ne ha anche la diretta responsabile,mi sembra che la bella e brava Amy abbia avuto la grande sfortuna di avere un padre che l'ha amata davvero poco e capita ancora meno.
Anche il maritino,se così possiamo definirlo, mi è sembrato un grandissimo approfittatore.
Credo che questa pellicola andrebbe fatta vedere ai più giovani per svariati motivi: a cosa porta l'abuso di alcool e droghe,quanto è importante non pensare solo "al Business" e cercare di capire che l'amore non è doverosamente cieco,ogni tanto bisogna aprire gli occhi.
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Un documentario è ben diverso da un film e credo che in questa occasione si sia fatto un ottimo lavoro.
Tralasciando facili ipocrisie,perché di colpe per distruggersi fisicamente ne ha anche la diretta responsabile,mi sembra che la bella e brava Amy abbia avuto la grande sfortuna di avere un padre che l'ha amata davvero poco e capita ancora meno.
Anche il maritino,se così possiamo definirlo, mi è sembrato un grandissimo approfittatore.
Credo che questa pellicola andrebbe fatta vedere ai più giovani per svariati motivi: a cosa porta l'abuso di alcool e droghe,quanto è importante non pensare solo "al Business" e cercare di capire che l'amore non è doverosamente cieco,ogni tanto bisogna aprire gli occhi.
Fa molta rabbia percepire che era una tragedia annunciata ed evitabile e che una ragazza di soli 27 anni è volata via portando con sé un dono immenso.
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iuriv
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mercoledì 27 luglio 2016
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interessante, ma fino ad un certo punto.
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Vado un po' controtendenza, ma non sono un grande amante dei lavori di Kapadia. Quando uscì il documentario su Senna lo trovai mistificatorio, teso a costruire una figura angelica attorno al pilota brasiliano e a trasformare Alan Prost in una sorta di principe del male. Inoltre fu un lavoro poco approfondito, che non rivelò nulla di davvero interessante sulla figura di Ayrton. Il mio atteggiamento di fronte a Amy, quindi, partiva da una posizione prevenuta.
Effettivamente anche qui il regista si preoccupa di costruire un personaggio positivo, piuttosto che documentare la realtà dei fatti. Whinehouse non sembra mai davvero responsabile dei propri errori, quanto vittima di un entourage parassitario che tenta di succhiarne il fluido vitale per trasformarlo in denaro contante.
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Vado un po' controtendenza, ma non sono un grande amante dei lavori di Kapadia. Quando uscì il documentario su Senna lo trovai mistificatorio, teso a costruire una figura angelica attorno al pilota brasiliano e a trasformare Alan Prost in una sorta di principe del male. Inoltre fu un lavoro poco approfondito, che non rivelò nulla di davvero interessante sulla figura di Ayrton. Il mio atteggiamento di fronte a Amy, quindi, partiva da una posizione prevenuta.
Effettivamente anche qui il regista si preoccupa di costruire un personaggio positivo, piuttosto che documentare la realtà dei fatti. Whinehouse non sembra mai davvero responsabile dei propri errori, quanto vittima di un entourage parassitario che tenta di succhiarne il fluido vitale per trasformarlo in denaro contante. C'è sicuramente del vero in questa rappresentazione, ma rimane il dubbio di trovarsi di fronte a un fiction piuttosto che a una rappresentazione realistica dei fatti.
Ad ogni modo, per affrontare questa storia Kapadia rinuncia alla narrazione esterna di raccordo e si lancia completamente nel found footage, andando a pescare filmati editi e inediti della cantante e miscelandoli insieme per raccontarne la breve esistenza.
Un'operazione simile crea un certo effetto e da l'impressione di avere la protagonista letteralmente a due centimetri, quasi che basti allungare una mano per toccarla e portarla via dalla rutilante sequela di avvenimenti destinati ad ucciderla.
Oltre a una straordinaria empatia, il regista è capace di offrire una sensazione di realismo tangibile alla sua pellicola. Ogni cosa che accade sullo schermo sembra pura verità, ogni frammento che il film regala allo spettatore pare una parte autentica della vita di Amy.
Eppure la mano di Kapadia si nota: è il regista a scegliere cosa mostrarci e cosa no ed è sempre lui a selezionare con cura la sequenza degli avvenimenti per ottenere la Amy Winehouse che vuole.
Pur non conoscendo troppo a fondo le vicissitudini della cantante inglese, questa attitudine a sbilanciare il racconto si nota piuttosto chiaramente.
Mi ha fatto pensare ad un'opera destinata esclusivamente ai fan più appassionati di Amy Whinehouse. Interessante, ma fino ad un certo punto.
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flyanto
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mercoledì 16 settembre 2015
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la figura di una donna altamente fragile e priva
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In occasione del 32esimo anniversario dalla sua nascita, esce nella sale cinematografiche il documentario di Asif Kapadia al fine di commemorare la cantante Amy Winehouse, purtroppo tragicamente e prematuramente scomparsa il 23 Luglio del 2010. Esso si compone di reali pezzi e filmati della popstar che Kapadia assembla per ricostruirne la breve e tormentata esistenza.
Nata in un sobborgo londinese da una famiglia di origine ebrea, Amy ancora bambina soffre moltissimo quando il padre abbandona la famiglia facendo sì che proprio da questo momento per lei iniziasse un'esistenza fortemente marcata e caratterizzata dalla mancanza di punti fermi dal punti di vista sentimentale e dalla continua ricerca di affetti stabili e sinceri.
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In occasione del 32esimo anniversario dalla sua nascita, esce nella sale cinematografiche il documentario di Asif Kapadia al fine di commemorare la cantante Amy Winehouse, purtroppo tragicamente e prematuramente scomparsa il 23 Luglio del 2010. Esso si compone di reali pezzi e filmati della popstar che Kapadia assembla per ricostruirne la breve e tormentata esistenza.
Nata in un sobborgo londinese da una famiglia di origine ebrea, Amy ancora bambina soffre moltissimo quando il padre abbandona la famiglia facendo sì che proprio da questo momento per lei iniziasse un'esistenza fortemente marcata e caratterizzata dalla mancanza di punti fermi dal punti di vista sentimentale e dalla continua ricerca di affetti stabili e sinceri. Crescendo, intorno all'età della sua adolescenza, esattamente intorno ai suoi quattordici anni, ella comincia a rivelare una passione, ma soprattutto un talento straordinario, per il canto e la musica, con una netta propensione per il genere jazz. Inizia così a scrivere testi di canzoni e musiche che ben presto vengono notate da personaggi dell'ambiente musicale e delle case discografiche e che nel corso degli anni le chiederanno di collaborare e lavorare per loro. Inizia così la rapida ascesa della cantante che nel frattempo, in disaccordo con la propria madre, va a vivere da sola con delle amiche in un piccolo appartamento. L'amore sempre eccessivo e poco controllato che Amy poi sempre proverà per alcuni ragazzi e soprattutto per quel giovane sbandato, anch'egli segnato da un'infanzia poco serena, e che diverrà in seguito anche suo marito per poi finire addirittura un periodo in carcere, la porterà, insieme al successo repentino, troppo grande ed ingestibile per lei, ed alle oppressioni continue dello star system, sostenute peraltro fortemente dalla figura paterna nel frattempo rifattosi vivo con la figlia, a fare uso pesante di droghe di vario genere (pastiglie, marijuana, hascisc, eroina ed abbondanti dosi d'alcool), mettendo più volte e fortemente a rischio la propria vita, sino all'estremo giorno, quel famoso, appunto, 23 Luglio del 2010, in cui il cuore della cantante non è riuscito più a reggere.
Da tutto il materiale che Kapadia ha raccolto e sapientemente riunito, Amy, la ragazza "maledetta", fuori dagli schemi, dal trucco pesante e dai capelli accotonati ed avvezza ad un continuo uso di sostanze stupefacenti ed alcool congiunte a crisi di vera e propria natura bulimica, si rivela, invece, essere una persona alquanto fragile, una vera vittima in quanto psicologicamente assai debole ed instabile. Troppo sensibile e colpita nella sua infanzia dalla mancanza di solidi ed importanti affetti familiari a cui poter fare riferimento e dotata di un talento canoro e musicale fuori dal comune, Amy si dirigerà vorticosamente verso un'annunciata ed inevitabile tragica rovina divenendo, purtroppo per lei, solo uno strumento nelle mani di coloro che per questioni prettamente economiche saranno incuranti ed insensibili alle sue reali esigenze, contribuendo così alla sua prematura fine.Primo e più deplorevole fra tutti risulta la figura del padre della popstar, che dimostrò di essere uno dei più grossi sostenitori di sempre più lauti compensi e che sfruttò la propria figlia (abbandonata egoisticamente anni prima per poi ricomparire una volta divenuta quest'ultima una sicura fonte di guadagno) sino al punto tale di non correre in suo aiuto inducendola ad intraprendere un programma serio di disintossicazione per liberarla dalle droghe, dall'alcool e dalle abitudini alimentari sbagliate.
Di lei, pertanto ci restano ormai solo così i suoi favolosi albums, la sua indimenticabile ed ineguagliabile voce e questo documentario profondamente toccante testimonianza più o meno diretta di un'esistenza bruciata troppo in fretta. Alquanto interessante.
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tmpsvita
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mercoledì 16 agosto 2017
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una fragile vita stroncata dal successo
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Uno splendido documentario che, attraverso un vastissimo numero di fotografie, video, concerti, interviste e immagini di repertorio, ripercorre la breve vita artistica di una delle più potenti cantanti jazz che il mondo ha potuto ascoltare.
Con una visione di notevole oggettività affrontiamo la sua carriera non tanto dal punto di vista dell'artista in sé ma della persona fragile, insicura e avvelenata dal successo e dalle persone a lei care, che era dietro quel nome Amy Winehouse.
Incredibile il lavoro svolto dal regista che riesce, come ho detto prima, ad affrontare il tutto in maniera estremamente oggettiva, senza giudicare, senza puntare il dito.
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Uno splendido documentario che, attraverso un vastissimo numero di fotografie, video, concerti, interviste e immagini di repertorio, ripercorre la breve vita artistica di una delle più potenti cantanti jazz che il mondo ha potuto ascoltare.
Con una visione di notevole oggettività affrontiamo la sua carriera non tanto dal punto di vista dell'artista in sé ma della persona fragile, insicura e avvelenata dal successo e dalle persone a lei care, che era dietro quel nome Amy Winehouse.
Incredibile il lavoro svolto dal regista che riesce, come ho detto prima, ad affrontare il tutto in maniera estremamente oggettiva, senza giudicare, senza puntare il dito.
Un documentario ricchissimo di contenuti inediti e non, particolarmente lungo ma molto coinvolgente e tosto.
Un finale straziante che fa riflettere e commuovere.
VOTO : 8,5/10
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catcarlo
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venerdì 18 settembre 2015
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amy
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Il Club dei 27 esercita il suo fascino ambiguo su chiunque e quest’anno ha colpito in special modo i documentaristi spingendoli a realizzare tre film biografici che si sono fatti largo fino ai cartelloni dei maggior festival: a Cannes è stato presentato questo lavoro dedicato all’ultima iscritta (avendo gli altri due al centro le figure di Kurt Cobain e Janis Joplin) che è uscito in Italia per soli tre giorni come evento speciale che lo Spaziocinema di Cremona si è fatto pagare profumatamente. Il britannico Kapadia – autore dell’osannato ‘Senna’ – segue la parabola triste della vita di Amy Jade Winehouse assemblando filmini casalinghi, spezzoni di esibizioni, squarci di lavorazione in studio e, con l’avvicinarsi del baratro, materiale giornalistico e fotografico spesso estorto a forza: il tutto accompagnato dalle testimonianze di chi è entrato in qualche modo in contatto con la cantante – amici, colleghi, medici – puntando a ricostruirne la personalità.
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Il Club dei 27 esercita il suo fascino ambiguo su chiunque e quest’anno ha colpito in special modo i documentaristi spingendoli a realizzare tre film biografici che si sono fatti largo fino ai cartelloni dei maggior festival: a Cannes è stato presentato questo lavoro dedicato all’ultima iscritta (avendo gli altri due al centro le figure di Kurt Cobain e Janis Joplin) che è uscito in Italia per soli tre giorni come evento speciale che lo Spaziocinema di Cremona si è fatto pagare profumatamente. Il britannico Kapadia – autore dell’osannato ‘Senna’ – segue la parabola triste della vita di Amy Jade Winehouse assemblando filmini casalinghi, spezzoni di esibizioni, squarci di lavorazione in studio e, con l’avvicinarsi del baratro, materiale giornalistico e fotografico spesso estorto a forza: il tutto accompagnato dalle testimonianze di chi è entrato in qualche modo in contatto con la cantante – amici, colleghi, medici – puntando a ricostruirne la personalità. Al racconto partecipano anche quelli che si delineano come i ‘cattivi’ della vicenda, ovvero il manager dai pochi scrupoli Raye Cosbert e, soprattutto, il padre Mitch (che abbandonò presto la famiglia, ma si gettò al timone della carriera della figlia non appena si dimostrò remunerativa) assieme all’ex marito Blake Fielder, maestro e compagno di droghe e abiezioni. Se quest’ultimo non ha dato segni di fastidio apparente per l’essere segnato a dito – estrema strafottenza o accenno di rimorso? – il padre e il resto della famiglia hanno preso cappello una volta che il film è stato completato, ma a quel punto il regista aveva già raggiunto lo scopo che si era prefisso. In ogni caso, la narrazione punta essenzialmente al cuore dello spettatore tanto che la musica viene lasciata parlare da sola senza che nessuno la dissezioni dal punto di vista tecnico: nei brani del primo periodo, quello più legato al jazz e culminato nell’album ‘Frank’, la voce di Amy – da sola o accompagnata da pochi strumenti – riesce a comunicare emozioni profonde grazie a un’intensità e un fraseggio sorprendenti per una ragazzina attorno ai vent’anni. Come in tante vicende simili, l’artista è in balia della propria anima tormentata, tendenzialmente depressa e autodistruttiva – da cui la bulimia accompagnata all’abuso di alcool – che viene tenuta a bada solo fra le note, in cui tutte le insicurezze vengono riversate scrivendo testi che sono confessioni senza remore. Diventa quasi doloroso ascoltare ‘Rehab’ nel suo gioioso procedere sapendo che il punto di svolta sta proprio, con ogni probabilità, nella scelta di proseguire con ‘Back to black’ anziché andare in riabilitazione come suggerito dal primo manager – e amico – Nick Shymansky. Il successo del secondo album con il suo appeal pop di ascendenza Motown getta Amy nel vortice della popolarità dal quale cerca di proteggersi fra le braccia e nella farmacia di Blake: è l’inizio della fine, accelerata dalla cecità del management (ovvero Raye e Mitch) desideroso solo di massimizzare i guadagni anche con punte di puro sadismo, come il tragico concerto di Belgrado. Negli anni perduti tra il disco e la morte, Amy e la musica si allontanano sempre più, tanto che, con la vistosa eccezione del duetto con l’idolo Tony Bennet, la seconda ora del film è accompagnata quasi solo dalla partitura originale del brasiliano Antonio Pinto in una scelta coerente con la materia trattata, ma poco efficace dal punto di vista stilistico. Laddove nella prima metà del lavoro l’alternanza fra parte musicale e racconto, soprattutto incentrato su famiglia e amicizie giovanili, funziona tenendo desta l’attenzione, il susseguirsi di situazioni scabrose e immagini scioccanti della seconda parte finisce per essere ripetitiva oltre a suscitare un (ingiustificato, direi) sospetto di voyeurismo. Tra una sventagliata di flash e l’altra si arriva alla considerazione che una decisa asciugata avrebbe giovato, anche perché l’eccesso di informazioni ha come conseguenza un notevole raffreddamento della temperatura emotiva già non altissima: nel corso degli oltre centoventi minuti, ci si emoziona davvero solo quando Amy canta.
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