franco_passante
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mercoledì 3 ottobre 2012
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reality: il cinema italiano di dieci anni fa.
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il cinema di matteo garrone è cinema, e questo è già un bel vantaggio su molte cose che passano nelle sale italiane e che fanno gridare al nuovo cinema italiano da tanta buona stampa magnanima e bonaria. e lo si capisce dalla prima inquadratura: lunga, sospesa, infinita. dall'alto a scendere dentro, nella storia. una storia che da subiro si rivela un palcoscenco forzato e finto, e nulla di meglio poteva essere usato se non un matrimonio napoletano, nella sua farzosità e nel suo voler apparire a tutti i costi.
con una premessa così ci si aspetta davvero tanto, forse troppo. e tutta la prima parte del film regge benissimo, si entra nella storia ben guidati.
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il cinema di matteo garrone è cinema, e questo è già un bel vantaggio su molte cose che passano nelle sale italiane e che fanno gridare al nuovo cinema italiano da tanta buona stampa magnanima e bonaria. e lo si capisce dalla prima inquadratura: lunga, sospesa, infinita. dall'alto a scendere dentro, nella storia. una storia che da subiro si rivela un palcoscenco forzato e finto, e nulla di meglio poteva essere usato se non un matrimonio napoletano, nella sua farzosità e nel suo voler apparire a tutti i costi.
con una premessa così ci si aspetta davvero tanto, forse troppo. e tutta la prima parte del film regge benissimo, si entra nella storia ben guidati. i personaggi sono interessanti, raccontati bene, interpretati bene. e fa niente se c'è questa rappresentazione un pò troppo colorata di napoli che vive di escamotage e vende pesce in una piazza bellissima, che gli americani (e non solo) pagherebbero oro pur di averci un monolocale. i primi 80 minuti sono davvero perfetti. e sono cinema che si muove bene, che stringe sui volti, che racconta il padre attravreso i figli.
e insomma, te ne stai seduto in poltrona e ti ripeti in testa che stai vedendo proprio un bel film, e ti sembra che questo sia.
poi però il pescivendolo inizia a diventare ossessivo. e vende la pescheria. e regala tutto ai poveri. e pensa di essere spiato. e perde la testa. e si intrufola negli studi del grande fratello. ancora grande movimento di camera, stavolta a uscire, fino a una ripresa da google maps. fine.
peccato, davvero.
quello che sembra un grande film si rivela alla fine debole, e senza la forza di portare avanti le (belle) premesse (e promesse) della prima parte.
tutto si risolve in un racconto un pò moralista, un pò fine a sè stesso, che ha i tempi e i modi di un cortometraggio, ma ha i costi e i tempi di un lungometraggio.
uscendo dalla sala mi son domandato cosa manca a questo cinema italiano e penso sia il coraggio. si fanno film in ritardo di almeno dieci anni.
vicari racconta diaz dieci anni dopo. garrone racconta il grande fratello dieci anni dopo. qualcuno racconterà le banche e l'europa che brucia tra dieci anni.
e si griderà al cinema capolavoro di impegno civile. .
e magari se avrà un giurato amico (della produzione) si porterà a casa anche un bel premio in un festival importante, cannes possibilmente che venezia è tropop scontato.
queste sono le premesse per lanciare il nuovo cinema italiano, per lasciarlo libero a vibrare nuovi colpi mortali all'immaginario collettivo di questo bel paese che un tempo, troppo lontano, era raccontato da petri e zavattini.
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gabriella
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venerdì 14 dicembre 2012
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tragedia del ridicolo
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Sicuramente si poteva fare di meglio e di più e onestamente devo ammettere che il film mi ha delusa , non tanto per l’idea che era buona e poteva essere trattata con una forma più fluida, quanto per l’eccessiva lunghezza e una noiosa quanto prolissa messa in scena e se in “Gomorra” i sottotitoli erano d’obbligo, qui francamente li avrei evitati, situazioni al limite dell’assurdo come in questo caso si possono riscontrare ovunque, non solo nel napoletano. Siamo consapevoli che la febbre dei reality può far andare fuori di testa tanto da confondere le idee e non distinguere più la finzione con la realtà, ma qui la storia è dilatata allo spasimo, si finisce in overdose di sovraesposizione a una napoletanità che diventa irritante e urticante, nonché indigesta, si pensi alla scena in chiesa tra Luciano e l’anziana signora che finge di non aver ricevuto il robottino, tra un intercalare di litanie e discussioni.
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Sicuramente si poteva fare di meglio e di più e onestamente devo ammettere che il film mi ha delusa , non tanto per l’idea che era buona e poteva essere trattata con una forma più fluida, quanto per l’eccessiva lunghezza e una noiosa quanto prolissa messa in scena e se in “Gomorra” i sottotitoli erano d’obbligo, qui francamente li avrei evitati, situazioni al limite dell’assurdo come in questo caso si possono riscontrare ovunque, non solo nel napoletano. Siamo consapevoli che la febbre dei reality può far andare fuori di testa tanto da confondere le idee e non distinguere più la finzione con la realtà, ma qui la storia è dilatata allo spasimo, si finisce in overdose di sovraesposizione a una napoletanità che diventa irritante e urticante, nonché indigesta, si pensi alla scena in chiesa tra Luciano e l’anziana signora che finge di non aver ricevuto il robottino, tra un intercalare di litanie e discussioni. Non capisco come si possa definire capolavoro un film di questo genere, forse non sono riuscita a calarmi nel racconto fino in fondo ( ma come avrei potuto, i miei vicini di poltrona dormivano, e non sto scherzando), forse di Grandi fratelli e affini se ne hanno le scatole piene, anche per chi non li ha mai guardati e trova sconvolgente e incomprensibile il dilagare di questo fenomeno. Capisco l’intento del regista, avrei preferito una maggiore onestà, invece si perde in un surrealismo esagerato e grottesco, insistente, rincorre Fellini ma senza possederne l’anima, l’illusione, il sogno, l’effimera speranza di una vita sotto i riflettori, il desiderio di cambiare la propria esistenza tuffandosi in una spirale di vuoto e follia, Garrone arriva in ritardo, impiega troppo tempo, non si accorge che il sipario è calato e forse gli Italiani hanno altri problemi in questo momento.
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(di nipporampante)
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(di beppe baiocchi)
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(di no_data)
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paolo pasetti
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giovedì 4 ottobre 2012
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visti da vicino
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Matteo Garrone ha fatto centro ancora una volta, confermando il suo mostruoso talento di cineasta (credo che, oggi, siano pochi NEL MONDO i registi capaci di una tale padronanza del linguaggio cinematografico). Come già il precedente "Gomorra", "Reality" non è un film di denuncia (d’altra parte, anche se volesse esserlo, mancherebbero gli interlocutori: a chi la faccio, la “denuncia”, se non c’è nessuno che ascolta la mia denuncia?). Dunque, cos’è "Reality"? Volendo per forza trovare un genere, potrebbe appartenere – come del resto tutti i film di Garrone – al genere della “fiaba nera”.
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Matteo Garrone ha fatto centro ancora una volta, confermando il suo mostruoso talento di cineasta (credo che, oggi, siano pochi NEL MONDO i registi capaci di una tale padronanza del linguaggio cinematografico). Come già il precedente "Gomorra", "Reality" non è un film di denuncia (d’altra parte, anche se volesse esserlo, mancherebbero gli interlocutori: a chi la faccio, la “denuncia”, se non c’è nessuno che ascolta la mia denuncia?). Dunque, cos’è "Reality"? Volendo per forza trovare un genere, potrebbe appartenere – come del resto tutti i film di Garrone – al genere della “fiaba nera”. Non è certamente un film sulla noiosissima questione essere-apparire (è Garrone stesso, nel film, a giocare con questi luoghi comuni privi di significato); non è nemmeno un “affresco sociale” (come si diceva un tempo) sui quartieri degradati di Napoli: i protagonisti di Reality non sono nemmeno gli “ultimi”, casomai i penultimi (Garrone ci mostra un magnifico carrello della spesa pieno…). Certo, il linguaggio narrativo di Garrone ci rimanda un po’ a Eduardo, un po’ alla grande tradizione neo-realistica (ancora la realtà! Ma non sarà un’ossessione!?), e l’interpretazione, al limite del sovrumano, fornita dall’intero cast fa completamente dimenticare allo spettatore il meccanismo della finzione: uscendo dalla sala non ho avuto l’impressione (normalmente presente, anche se spesso “sospesa”) di vedere degli attori che recitavano in un film, ma di vedere uomini e donne che stavano REALMENTE (a ridajje!!) vivendo ciò che accadeva sullo schermo.
"Reality", il cui schema fiabesco-narrativo richiama evidentemente a Pinocchio (come dichiarato dallo stesso Garrone), non racconta una storia di “alienazione sociale” (che l’Italia sia ormai terzo mondo è dato per assodato) ma è, più semplicemente, la storia di una discesa agli inferi. Il protagonista, Luciano (“che porta luce”, sarà un caso?), rivive nella sua vera vita proprio quel “big brother” che non ha in realtà niente a che vedere col “reality” televisivo, sviluppando, alternandoli, mostruosi deliri di persecuzione (mi osservano!) e di onnipotenza (lo vedi, quel passo l’ho inventato io, me l’hanno copiato!). Per un beffardo paradosso, Luciano vive sulla sua pelle il “fratello maggiore” (corretta traduzione di “big brother”) proprio perché lui, in realtà, non è ancora giunto “all’ultimo stadio”, quello della completa nullificazione propria invece dei veri “ospiti della casa” ma è, anzi, ancora un “uomo” nel senso sociale del termine: quando serve è un attore (della naturale attorialità dei napoletani) e sa divertire, è immerso in modo tutto sommato armonico nel suo contesto, è amato dalla sua famiglia, benvoluto, aperto, e quando vuole sa anche farsi rispettare. Ma, come Pinocchio, vorrebbe di più: è attratto fatalmente dal paese dei balocchi. Il meccanismo patologico agisce adesso: proprio perché Luciano è un uomo reale, viene aggredito dalle sue ossessioni, si sente perennemente inadeguato perché, “da un momento all’altro potrebbero chiamarmi!”. Dopo avere assistito distrattamente alla Via Crucis attorno al Colosseo (la più colossale messa in scena di tutti i tempi, un successo bimillenario!), Luciano finalmente reagisce: decide di andare direttamente sul set (è un set, mica una casa!) del Grande Fratello, per VEDERLI DA VICINO. Da vicino, spogliati della mediazione narrativo-televisiva, quei miserabili corpi immersi nell’acquario che tanto aveva invidiato gli appaiono finalmente per quello che sono: niente.
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[+] finale
(di cava6)
[ - ] finale
[+] finale corretto
(di marezia)
[ - ] finale corretto
[+] scusa però...
(di beppe baiocchi)
[ - ] scusa però...
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filippo catani
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lunedì 1 ottobre 2012
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vittima di se stesso
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Un pescivendolo napoletano divide la sua vita tra il suo bancone, qualche piccola truffa per arrotondare e la numerosa famiglia allargata. Un giorno l'uomo, spinto in particolare dalla figlioletta, decide di partecipare a un casting per il Grande Fratello. Da quel momento in poi la sua vita non sarà più la stessa a causa della continua ossessione che l'uomo ha che la televisione mandi personaggi in incognito per studiarne le mosse e vedere se sia o no meritevole di entrare nella casa.
Il film dell'ottimo Garrone riflette in maniera tragicomica sul fenomeno dei reality show e del meccanismo perverso che possono innescare nella mente dei partecipanti. Purtroppo da una decina di anni a questa parte, grazie alla creazione di questi format, si è alimentata ancora di più nella gente la speranza di poter diventare qualcuno e sfondare nel mondo dello spettacolo e della televisione in particolare.
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Un pescivendolo napoletano divide la sua vita tra il suo bancone, qualche piccola truffa per arrotondare e la numerosa famiglia allargata. Un giorno l'uomo, spinto in particolare dalla figlioletta, decide di partecipare a un casting per il Grande Fratello. Da quel momento in poi la sua vita non sarà più la stessa a causa della continua ossessione che l'uomo ha che la televisione mandi personaggi in incognito per studiarne le mosse e vedere se sia o no meritevole di entrare nella casa.
Il film dell'ottimo Garrone riflette in maniera tragicomica sul fenomeno dei reality show e del meccanismo perverso che possono innescare nella mente dei partecipanti. Purtroppo da una decina di anni a questa parte, grazie alla creazione di questi format, si è alimentata ancora di più nella gente la speranza di poter diventare qualcuno e sfondare nel mondo dello spettacolo e della televisione in particolare. Ed è emblematico il personaggio del film che è rimasto per 120 giorni dentro la casa del Grande Fratello ed è trattato come una vera e propria star tra ospitate in discoteca e nei matrimoni con spostamenti a bordo di un elicottero. Peccato che nessuno mostri mai non solo che questa fama è assai effimera e di breve durata e che può portare a delle nevrosi ma che soprattutto la speranza di farcela per l'uomo o la donna qualunque è praticamente infinitesimale. Nonostante questo a moltissime persone è capitato di osservare in prima persona le immense file di persone che cercano di mettersi in mostra nei casting dei vari reality in qualsiasi modo pur di ottenere l'agognato trionfo. Ed è proprio così che si comincia a perdere la percezione della realtà e che nel caso più grave, come mostrato nel film, porta il protagonista alla completa alienazione da se stesso e dagli altri vittima lui stesso del grande fratello orwelliano capace di controllare tutto e tutti tanto da arrivare al vertice del suo delirio costruendosi un confessionale su misura e gettando i suoi averi ai poveri in stile San Francesco convinto che quelle persone siano state mandate dalla televisione per metterlo alla prova. Un film che suscita nello spettatore quel riso amaro che spunta davanti alle storture di una società che porta a far cullare alle persone sogni obbiettivamente irrealizzabili salvo poi lasciarli soli nell'abisso della disperazione se non della depressione quando invece per vivere bene si avrebbe tutto a portata di mano (il protagonista ha infatti il suo lavoro, la sua casa e una famiglia che gli vuole bene). Molto bene anche la prova del cast e speriamo che un risveglio delle coscienze e la ripetitività di questi format porti a confermare il trend di crisi d'ascolto che speriamo potrebbe togliere una volta per tutte questi diabolici sistemi di impoverimento delle menti.
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goldy
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lunedì 1 ottobre 2012
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la gomorra dell'anima
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Finalmente un linguaggio capace di parlare a tutti, non solo ai soliti di nicchia. L'ambientazione è Napoli (dove se nò?) ma tutti sono coinvolti e invitati a comprendere dove la parte migliore di ognuno di noi sta andando.
L'inizio è da antologia e il trash delle feste di matrimonio è devastante.
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linus2k
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domenica 30 settembre 2012
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...in italia i film si sanno ancora fare...
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Reality è un film in bilico, tra finzione e realtà, tra citazionismo e nuovo cinema: un film "religioso", "sociale", "favolistico", "grottesco";fondamentalmente la storia di un uomo, un uomo fragile davanti al miraggio del successo e la sua progressiva perdita di contatto con la realtà.
Tutta la storia viene narrata con piglio quasi fiabesco, con un inizio e fine tanto simili quanto paradossalmente opposti, dallo zoom in pieno giorno su una carrozza quasi da Cenerentola che entra in una realtà, quella kitch, chiassosa e calorosa del protagonista e del suo mondo, all'allontamento dello zoom sul finale in notturna, dove tutto è certamente più reale ma più paradossale e algido.
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Reality è un film in bilico, tra finzione e realtà, tra citazionismo e nuovo cinema: un film "religioso", "sociale", "favolistico", "grottesco";fondamentalmente la storia di un uomo, un uomo fragile davanti al miraggio del successo e la sua progressiva perdita di contatto con la realtà.
Tutta la storia viene narrata con piglio quasi fiabesco, con un inizio e fine tanto simili quanto paradossalmente opposti, dallo zoom in pieno giorno su una carrozza quasi da Cenerentola che entra in una realtà, quella kitch, chiassosa e calorosa del protagonista e del suo mondo, all'allontamento dello zoom sul finale in notturna, dove tutto è certamente più reale ma più paradossale e algido.
E', appunto, un film dai contrasti elevati: quelli cromatici, di una fotgrafia accesa ed a tratti eccessiva; dei luoghi, passando da una Napoli secentesca e con meravigliosi scorci quasi da interno di presepe, alla Napoli algida di centri commerciali; quella dei corpi, enormi, pacchiani, o perfetti, scultorei, inarrivabili; è un film in cui, con un meccanismo narrativo preciso, lento e progressivo, attraverso la mente debole e malata di Luciano, il protagonista, la realtà cortocircuita se stessa, proponendoci una visione distaccata della nostra società, dell'illusione del successo facile, della fragilità davanti alla pressione mediatica, ma anche lo spunto di riflessione su una certa morale, anche religiosa.
E la religione è presente, presentissima nel film: nella forma più canonica, nelle immagini sacre, nella Chiesa come luogo di recupero e salvifico, ma soprattutto c'è una rivisitazione quasi paradossale del gesto caritatevole verso il povero, visto come atto mai fine a se stesso, ma rivolto all'acquisizione di un privilegio... il Regno eterno... o l'accesso alla casa del Grande Fratello.
Luciano in tutto questo passa spesso da un laico e folle San Franceso ad un ingenuo e fragile Pinocchio, accecato dal miraggio di questo "Paese dei Balocchi" televisivo, tentato e supportato da personaggi grotteschi ed assurdi come Enzo, quasi un Lucignolo versione adulta.
...e rimanendo sul piano narrativo lettario, non credo si faccia un grosso errore a notare nella sua figura, un personaggio in alcuni momenti quasi tratto da una storia di Eduardo De Filippo, nella sua fragilità davanti al mondo e la sua inadeguatezza e reggere le pressioni.
Reality è anche un enorme omaggio al grande Cinema italiano, alla nostra cultura, al Mestiere di fare cinema che ci ha resi famosi nel Mondo in passato, e passando da "Bellissima" di Luchino Visconti, a "Lo sceicco bianco" di Federico Fellini, si inserisce in un filone neorealista rivisto e corretto dall'ottica grottesca di Garrone.
Nota a margine: da segnalare la meravislioa colonna sonora di Alexandre Desplat, plurinominato compositore agli Oscar e vincitore di un Golden Globe per "Il velo dipinto"
...che dire... ogni tanto è piacevole ricordare che in Italia sappiamo ancora fare grandi film!
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tristano
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lunedì 1 ottobre 2012
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una mattonata alla testa
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Più che una commedia sembra a tratti una sceneggiata napoletana e ad altri un documentario sulla vita di una famiglia stile mtv.
All'inizio parte anche abbastanza bene (per questo la stellina)se non consideriamo la trama; Col passare dei minuti ci si comincia a chiedere di che cosa parli questa pellicola e che cosa vogliano dirci con questa esasperazione a livello psichiatrico. Il finale e' degno di un film privo di senso , basato su un concetto gia' trattato da anni dai media. Insomma minestrone di teorie di niente ed ovvieta' buttate li' per far giudicare piu' che riflettere.
VOTO 1 per la simpatia del protagonista.
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diomede917
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giovedì 4 ottobre 2012
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never give up!!!!
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Dopo un successo della portata di Gomorra, Matteo Garrone si è trovato nella non piacevole posizione di dire e ora cosa racconto…..tra voglia di commedia e desiderio di rappresentare la vita di Corona alla fine ha scelto quello che è più vicino alle proprie corde……ossia raccontare i nuovi mostri della nostra società.
Così dopo il nano imbalsamatore, il collezionista di anoressiche e la nuova Camorra tammarra decide di rappresentare cosa la voglia di protagonismo estremo di questi tempi.
Una premessa è d’obbligo Reality non vuole criticare i mass media e il loro quinto potere ma alzare il tiro nei confronti della massa media come si può evincere fin dalla prima scena con questa inquadratura dall’alto di una carrozza da favola che accompagna gli sposi in un castello da favola tipico esempio di matrimonio pacchiano dei nostri giorni con tanto di ospite d’onore proveniente dalla casa del Grande Fratello che al grido di Never give up augura un felice futuro alla giovane coppia.
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Dopo un successo della portata di Gomorra, Matteo Garrone si è trovato nella non piacevole posizione di dire e ora cosa racconto…..tra voglia di commedia e desiderio di rappresentare la vita di Corona alla fine ha scelto quello che è più vicino alle proprie corde……ossia raccontare i nuovi mostri della nostra società.
Così dopo il nano imbalsamatore, il collezionista di anoressiche e la nuova Camorra tammarra decide di rappresentare cosa la voglia di protagonismo estremo di questi tempi.
Una premessa è d’obbligo Reality non vuole criticare i mass media e il loro quinto potere ma alzare il tiro nei confronti della massa media come si può evincere fin dalla prima scena con questa inquadratura dall’alto di una carrozza da favola che accompagna gli sposi in un castello da favola tipico esempio di matrimonio pacchiano dei nostri giorni con tanto di ospite d’onore proveniente dalla casa del Grande Fratello che al grido di Never give up augura un felice futuro alla giovane coppia.
In questo contesto si colloca la storia di Luciano Ciotola, pescivendolo con una bella famiglia alle spalle che è considerato da tutto ‘o personaggio…..lui ci crede così tanto che alla fine viene convinto a partecipare alla selezione del Grande Fratello…..basta un le faremo sapere che per il nostro protagonista inizia un viaggio delirante nella sindrome del successo a ogni costo.
E’ in questa situazione kafkiana che esplode il talento visivo di Matteo Garrone che insegue gli occhi stralunati del bravissimo Aniello Arena con una telecamera incollata su di lui lasciando la realtà del titolo fuori fuoco sullo sfondo, mescolando il sacro e il profano pur di salvare dalla sua follia il malcapitato regalando un delirante happy end? Ritornando ad una visione dall’alto come in apertura…
Reality è un film che shocka nella sua rappresentazione dell’effimero e onestamente schocka di più sapere che l’episodio narrato è realmente accaduto nella periferia campana.
Voto 8 alla regia, 8 al protagonista e per il resto potete dire la vosta con un sms……NEVER GIVE UP!!!!!
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fabrizio dividi
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domenica 30 settembre 2012
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ad ognuno il suo tempio
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Tra i tanti approcci critici possibili all'ultima fatica di Matteo Garrone scegliamo a modello arredi e spazi fisici, vere e proprie chiavi d'accesso simboliche a una lettura che apre a significati molto più profondi di una semplice critica al mondo della tv che "Reality" affronta in maniera lucida e spietata ma non esclusiva.
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Tra i tanti approcci critici possibili all'ultima fatica di Matteo Garrone scegliamo a modello arredi e spazi fisici, vere e proprie chiavi d'accesso simboliche a una lettura che apre a significati molto più profondi di una semplice critica al mondo della tv che "Reality" affronta in maniera lucida e spietata ma non esclusiva.
La piazza del mercato, cuore pulsante della comunità in cui il protagonista Luciano agisce principalmente, è dominata dalla statua di un Cristo e le immagini sacre -tra icone di santi, madonne, papi ed ex voto- imperversano nelle abitazioni dei compaesani. I luoghi della rappresentazione rituale non mancano, e in tutti va in onda una funzione (o meglio finzione) che genera dipendenza. Negli outlet (incastonati in strutture simili a moderni templi) si realizzano i sogni materiali, meglio se dopo una predica dell'abile venditrice. La chiesa è il luogo dell'anima, con prediche suadenti e automatiche che promettono vite migliori in cambio di bontà e devozione. E poi la grande Casa del Grande Fratello, paradiso laico dei nostri tempi, ben noto luogo di elezione, che fa sognare un riscatto sociale a generazioni perdute. Luciano è uno di questi e la sua dedizione sarà totalizzante, paranoica e premiante al di là dei suoi sogni.
Il modello del film d'altronde è esplicitato fin dalla prima sequenza, come spesso accade ai capolavori allegorici del cinema. Una lunga inquadratura dall'alto ci precipita nel mezzo di un matrimonio principesco, sperpero kitsch a meta tra il sacro e il profano, con il deus ex machina simbolico Enzo, l'eroe del grande fratello che arriva dal cielo a bordo di un elicottero; sacerdote/medium tra il mondo terreno e quello dell'etere, suggella il matrimonio (dopo il prete) con il suo motto "don't give up" non arrenderti, incompreso ai più ma ripetuto a gran voce, quasi come in un rosario di penitenti. Luciano ne rimane abbagliato e comincia il suo percorso da predestinato. Poco tempo dopo infatti, in seguito ad un provino per il GF (che si svolge in un supermercato), comincia un suo intimo percorso di crescita che profuma tanto di santità. Nella sua personalissima "passio" infatti, Luciano intraprende una vita di sacrifici con la spogliazione dei suoi beni (vende la pescheria, offre pasti ai mendicanti e comincia a regalare gli oggetti di casa ad una pletora di disperati) e con una serie di visioni 'mistiche' di fantomatici funzionari del GF che lo spierebbero
per valutarne l'attitudine e che lo guidano in paranoiche interpretazioni delle sue azioni, alla stregua di ogni buon santo che si rispetti, perennemente osservato dal suo dio personale.
Luciano (che porta il nome di un santo eretico) insegue il suo sogno umiliandosi, inseguendo l'Enzo nazionale nelle discoteche più squallide dove si esibisce (non a caso) sospeso in aria, e lo pedina fino ai camerini attraverso i condotti fognari e parlandogli solo attraverso una spessa grata che ricorda un confessionale e che lo separa fisicamente nella sua siderale distanza. Infine, durante la via crucis papale, estrema forma di realtà rappresentata, capisce di essere veramente degno del suo "tempio" che, alla stregua di novello Truman, riesce a conquistare ben oltre il popolo eletto dei partecipanti. Lo farà in forma estatica da vero e proprio "Dio", facendosi Occhio dopo esserne stato controllato e dominato. Dopo averne resistito le tentazioni e disvelandone il disegno originale avrà accesso al luogo più nascosto, più esclusivo e meritorio per un fedele: la testa vuota del Mago di Oz.
Reality non lascia speranze alla libertà intellettuale dell'individuo e il libero arbitrio ne esce fortemente ridimensionato: non ci resta che scegliere il nostro tempio, sembra dire il regista: chi ne sta fuori sarà pure un eroe, ma, in fondo, non esiste. Fabrizio Dividi.
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[+] wow
(di glenn_glee)
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[+] complimenti!
(di giovanna33)
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flyanto
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martedì 2 ottobre 2012
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quando la brama della fama e della ricchezza fa pe
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Film tragico sulla rovina economica e psicologica di un pescivendolo napoletano che ambisce, senza ovviamente riuscirci, ad entrare a far parte del programma TV "Il Grande Fratello". Ancora una volta Matteo Garrone denuncia una realtà negativa del nostro paese, spostando l'ambiente da quello della malavita partenopea (in "Gomporra") a quella del ceto proletario che si arrabatta tra lavoretti e truffe varie. Uno specchio amaro, purtroppo, di una larga parte di società contemporanea, dove l'apparenza, il desiderio di notorietà, quasi sempre effimera, ed i lfacile guadagno fa perdere di vista e di considerazione i veri valori morali e non.
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Film tragico sulla rovina economica e psicologica di un pescivendolo napoletano che ambisce, senza ovviamente riuscirci, ad entrare a far parte del programma TV "Il Grande Fratello". Ancora una volta Matteo Garrone denuncia una realtà negativa del nostro paese, spostando l'ambiente da quello della malavita partenopea (in "Gomporra") a quella del ceto proletario che si arrabatta tra lavoretti e truffe varie. Uno specchio amaro, purtroppo, di una larga parte di società contemporanea, dove l'apparenza, il desiderio di notorietà, quasi sempre effimera, ed i lfacile guadagno fa perdere di vista e di considerazione i veri valori morali e non. Personalmente questa pellicola mi ha ricordato le tragicommedie di Edoardo De Filippo dove dietro le battute o le situazioni divertenti dei personaggi (maschere, in verità) si svelano esasperate e altamente drammatiche realtà. Ma la si potrebbe accomunare anche ad un 'opera di Pirandello per il suo confine labile tra ragione e follia su cui poggia il protagonista per tutta la vicenda. Bravissimi ed intensi i due attori protagonisti che impersonano marito e moglie, completamente sconosciuti in quanto scelti dalla strada o direttamente dal carcere. Ancora una volta Matteo Garrone si dimostra un valido regista. A questo punto una domanda mi viene spontanea: è proprio necessaria l' esistenza di certi programmi "trash" cinematografici, ma soprattutto televisivi che, per la ricerca spasmodica di un' ampia audience e di un ovviamente susseguente assicurato guadagno, risultano essere altamente nocivi per quegli individui nei quali, per ignoranza, attecchiscono e non più un puro divertissement?
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