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lunedì 2 giugno 2008
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inchino a sorrentino
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Che dire? una parola forse...Capolavoro. Sorrentino dimostra coraggio e talento innato, vuoi perchè portare Andreotti e quel periodo sul grande schermo è impresa non da poco, vuoi perchè lo fa con umorismo, creatività, intelligenza, la giusta dose di cattiveria, ma anche umanità...vuoi perchè, e scusate se è poco, sublima l'immagine rendendola arte.
"il divo" farà storcere il naso a chi vorrà vederci per forza un giudizio politico e storico...ma per carità, almeno per una volta cerchiamo di dare " a ciascuno il suo"... facciamo fare al regista il regista (e Sorrentino lo sa fare eccome!), allo storico lo storico, al politico il politico. E forse è proprio qui che esce l'ennesima bizzarra ambiguità di questo bizzarro e grottesco paese, ( così come bizzarra e grottesca è la rappresentazione del suo potere nel film) : l'impossibilità di fornire una versione ufficiale di quella storia "oscura" è delegata da noi alla fantasia di un regista che storia non può fare.
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Che dire? una parola forse...Capolavoro. Sorrentino dimostra coraggio e talento innato, vuoi perchè portare Andreotti e quel periodo sul grande schermo è impresa non da poco, vuoi perchè lo fa con umorismo, creatività, intelligenza, la giusta dose di cattiveria, ma anche umanità...vuoi perchè, e scusate se è poco, sublima l'immagine rendendola arte.
"il divo" farà storcere il naso a chi vorrà vederci per forza un giudizio politico e storico...ma per carità, almeno per una volta cerchiamo di dare " a ciascuno il suo"... facciamo fare al regista il regista (e Sorrentino lo sa fare eccome!), allo storico lo storico, al politico il politico. E forse è proprio qui che esce l'ennesima bizzarra ambiguità di questo bizzarro e grottesco paese, ( così come bizzarra e grottesca è la rappresentazione del suo potere nel film) : l'impossibilità di fornire una versione ufficiale di quella storia "oscura" è delegata da noi alla fantasia di un regista che storia non può fare. E "l'ambiguità" è summa della vicenda Andreottiana così presentata da Sorrentino. Così ci sono le accuse e le teorie, i morti ammazzati e gli intrighi, ma alla fine scorrono i titoli di coda e le assoluzioni ai processi...c'è la "denuncia" del politico machiavellicamente cinico e spericolato (quanto forse non lo sapremo mai) ma anche l'uomo che vive un rapporto di coppia (quasi) normale e l'omaggio allo statista (ma il divo si sarebbe arrabbiato a chiamarlo così) che si odia con Nenni pur avendone infinita stima...c'è l'accusa delle conoscenze mafiose ma c'è lo stesso impacciatissimo in quel ruolo dove l'immaginario collettivo proprio non lo riesce a collocare...c'è un potente imputato davanti ad un tribunale e i "non ricordo" ...forse l'unico momento di verità è il monologo...ma forse, invece, l'unica vera grande verità è quando confessa che il suo unico segreto è l'inconfessabile innamoramento verso un'altra donna.... non un ritratto "vero" ma uno "reale"...e in questo paese, si sa, non sempre le due cose coincidono. Resta la certezza che di film così, ce ne vorrebbero di più.
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fabrizio dividi
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giovedì 29 maggio 2008
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fenomenologia di giulio andreotti
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La storia di un decennio attraverso la lente distorta del feroce sarcasmo di Sorrentino colpisce nel segno e riporta ai fasti il cinema italiano. Più Petri che Rosi, più grottesco che realista, il regista racconta una figura storica contemporanea più simbolica che reale. Andreotti è l'idea della politica italiana, del potere e degli intrighi degni di un Machiavelli moderno tanto da superare la persona reale. Peraltro la sintesi storica è appropriata e difficilmente contestabile visto che la gran parte della sceneggiatura è composta da frasi, assiomi pensieri che il nostro "grande vecchio" ha espresso in interviste, libri e aule processuali.
E' paradossale, ma Andreotti stesso dovrebbe riconoscersi nella figura che egli stesso ha contribuito a creare: cinico, calcolatore, freddamente ironico.
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La storia di un decennio attraverso la lente distorta del feroce sarcasmo di Sorrentino colpisce nel segno e riporta ai fasti il cinema italiano. Più Petri che Rosi, più grottesco che realista, il regista racconta una figura storica contemporanea più simbolica che reale. Andreotti è l'idea della politica italiana, del potere e degli intrighi degni di un Machiavelli moderno tanto da superare la persona reale. Peraltro la sintesi storica è appropriata e difficilmente contestabile visto che la gran parte della sceneggiatura è composta da frasi, assiomi pensieri che il nostro "grande vecchio" ha espresso in interviste, libri e aule processuali.
E' paradossale, ma Andreotti stesso dovrebbe riconoscersi nella figura che egli stesso ha contribuito a creare: cinico, calcolatore, freddamente ironico. Non tanto divo quanto mito vivente, nel senso più stretto del termine, il film lo descrive come il motore immobile della politica italiana, stella (o buco nero) intorno al quale si sono succeduti la gran parte dei movimenti politico-economici del nostro Paese.
Il film si impreziosisce nella fotografia barocca che ricorda il terzo Padrino di Coppola. Sorrentino indugia sui visi, sui solchi del potere che rigano le maschere della prima repubblica e colpisce per l'iper-realismo con cui li dipinge. Quasi un'opera verdiana, tragicomica visionaria rievocazione di un decennio, attraverso i balli e i discorsi di nani e ballerine, filmati talvolta con morbidi pianosequenze, altre con montaggio serrato, tecniche entrambe figlie di Scorsese, e in generale con una potenza narrativa rara nel cinema italiano.
Fabrizio Dividi
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venerdì 6 giugno 2008
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quel diavolo di un divo
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Il divo ovvero il ritratto dell'uomo politico che ha fatto il bello e il cattivo tempo nell'Italia della Prima Repubblica. La tematica era molto pericolosa, il rischio era quello di scivolare nella parodia alla Bagaglino o in una faziosità di parte invece Sorrentino ha fatto l'unica cosa possibile: Cinema!
Con Il Divo Paolo Sorrentino si è laureato in regia con 110 e lode, basta guardare la rappresentazione dei cadaveri eccellenti iniziali per capire quello che dico. Il regista sparge citazioni cinematografiche a go-go: la corrente andreottiana stile Mucchio Selvaggio introdotta da un fischiettio stile Kill Bill, la riunione nella toilette di Andreotti ispirata a Gli intoccabili e soprattuto quel modo di muoversi che ricorda il Dracula di Coppola.
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Il divo ovvero il ritratto dell'uomo politico che ha fatto il bello e il cattivo tempo nell'Italia della Prima Repubblica. La tematica era molto pericolosa, il rischio era quello di scivolare nella parodia alla Bagaglino o in una faziosità di parte invece Sorrentino ha fatto l'unica cosa possibile: Cinema!
Con Il Divo Paolo Sorrentino si è laureato in regia con 110 e lode, basta guardare la rappresentazione dei cadaveri eccellenti iniziali per capire quello che dico. Il regista sparge citazioni cinematografiche a go-go: la corrente andreottiana stile Mucchio Selvaggio introdotta da un fischiettio stile Kill Bill, la riunione nella toilette di Andreotti ispirata a Gli intoccabili e soprattuto quel modo di muoversi che ricorda il Dracula di Coppola. Il pregio del film è che rappresenta e descrive il personaggio Andreotti tramite gli aforismi e le battute che lo hanno reso famoso oppure mediante gli atti di ufficio del processo a suo carico così facendo il regista non prende una posizione precisa ma si limita alla messa in scena e di questa scelta ne giova il film. La scelta degli attori è stata precisa e mirata, Toni Servillo da al suo Divo un non so che di mefistofelico con una spruzzata di umanità come nella famosa scena del concerto di Renato Zero visto con la moglie alla TV. Carlo Buccirosso è perfetto nel suo Cirino Pomicino trafficone e puttaniere, sono da premiare gli occhi malinconici di Piera degli Esposti fedele segretaria mentre è assorta nei suoi pensieri sul bus che la porta da casa a lavoro.
Un film emozionante, massimo dei voti con lode.
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loladarlyn
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giovedì 29 maggio 2008
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il divo, pop-requiem all'italiana
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Battiato cantava: "Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere, di gente infame che non sa cos'è il pudore, si credono potenti e gli va bene...". Al divo Giulio è andata bene sicuramente, l'impunità è l'ennesimo bottino di una guerra durata una vita, una guerra condotta a testa bassa ma con la pacata sfrontatezza di chi non ci pensa proprio a mollare. Scandali, polveroni,accuse tutto ha sopportato e tutto ha sostenuto, come se quella buffa gobba fosse servita a distogliere l'attenzione da due braccia poderose quanto quelle di Atlante. Ma si sa, se i giganti non sempre sono cattivi, è consigliabile riservare una giusta dose di sospetto all'ometto di media statura che non alza mai lo sguardo.
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Battiato cantava: "Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere, di gente infame che non sa cos'è il pudore, si credono potenti e gli va bene...". Al divo Giulio è andata bene sicuramente, l'impunità è l'ennesimo bottino di una guerra durata una vita, una guerra condotta a testa bassa ma con la pacata sfrontatezza di chi non ci pensa proprio a mollare. Scandali, polveroni,accuse tutto ha sopportato e tutto ha sostenuto, come se quella buffa gobba fosse servita a distogliere l'attenzione da due braccia poderose quanto quelle di Atlante. Ma si sa, se i giganti non sempre sono cattivi, è consigliabile riservare una giusta dose di sospetto all'ometto di media statura che non alza mai lo sguardo. Non c'è una sola immagine, scena o sequenza in cui il divo Servillo non tenga gli occhi bassi, quasi raso terra. Gli basta questo (e basta solo a un grande interprete come lui) a restituire il lato sinistro e inquietante di un personaggio tanto noto quanto indecifrabile. Le inquadrature opprimenti di Sorrentino relegano un incuravato corpo in vestaglia (di cashmere)nello stretto rettangolo di un elegante corridoio, contrappasso che mima (indegnamente)l'angoscia di Aldo Moro, stipato tra quattro anguste pareti dall'indifferenza del Potere. Potere di cui Andreotti è stato simbolo, oltre che sintomo dello sfacelo morale del Belpaese.
Stupisce e atterrisce l'ascesa da fermo di questo abile regista della danza macabra del potere proprio perchè, mentre gli altri lestofanti inquilini dei Palazzi si agitano inscenando danze ardite e ridicole (memorabile la scena del party con uno scatenato Buccirosso alias Cirino Pomicino)lui, con una discrezione olimpica, osserva (e calcola) in silenzio.
E alla fine degli altri non rimane traccia, se non l'onta delle loro magagne, mentre lui (ugualmente colpevole) si reifica, diventa immagine sineddochica dello Stato, del Potere che incute soggezione, non perchè sia giusto, ma perchè risulta imperituro e irremovibile.
Questa consapevolezza avrebbe potuto generare un film cupo,tragico, ciò che Sorrentino evita accuratamente. Non che la tragedia sia assente, ma in modo più brillante si sviluppa al ritmo della musica pop, di sintetizzatori isterici e chitarre rock. E' la musica il valore aggiunto di questo film,capace di restituire il grottesco e il ridicolo quando riff poderosi e ritornelli all'acqua di rose abbracciano immagini al cui cospetto ci si aspetterebbe di udire le note del Requiem di Mozart. Il moralismo non appartiene a Sorrentino (bontà sua!) che è in possesso di una qualità assai preziosa: trascendere i fatti e svelarne il meccanismo alla base, in questo caso la comicità e la sgradevole mediocrità di un paese allo sfacelo.
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antonello villani
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mercoledì 18 giugno 2008
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una presenza strisciante tra le stanze del potere
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Fa discutere il ritratto sul delfino di De Gasperi, eppure “Il Divo” conquista a Cannes il prestigioso Premio della Giuria. Aneddoti e veleni sull’eminenza grigia che ha rivestito tutte le cariche politiche tranne quella di Presidente della Repubblica, il burattinaio accusato di connivenza con la mafia, per alcuni il responsabile dell’omicidio Moro e per altri l’incarnazione del potere nella sua accezione peggiore. Del Divo Giulio, appellativo datogli dal giornalista Pecorelli, restano le sue battute irriverenti ed i troppi misteri non ancora svelati. Paolo Sorrentino riassume un periodo denso di avvenimenti, il settimo Governo Andreotti nelle rievocazioni –il caso Moro, il delitto Dalla Chiesa, l’omicidio di Salvo Lima- che suscitano qualche perplessità.
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Fa discutere il ritratto sul delfino di De Gasperi, eppure “Il Divo” conquista a Cannes il prestigioso Premio della Giuria. Aneddoti e veleni sull’eminenza grigia che ha rivestito tutte le cariche politiche tranne quella di Presidente della Repubblica, il burattinaio accusato di connivenza con la mafia, per alcuni il responsabile dell’omicidio Moro e per altri l’incarnazione del potere nella sua accezione peggiore. Del Divo Giulio, appellativo datogli dal giornalista Pecorelli, restano le sue battute irriverenti ed i troppi misteri non ancora svelati. Paolo Sorrentino riassume un periodo denso di avvenimenti, il settimo Governo Andreotti nelle rievocazioni –il caso Moro, il delitto Dalla Chiesa, l’omicidio di Salvo Lima- che suscitano qualche perplessità. Perché la visione della cosa pubblica si riflette sulla fotografia cupa di Luca Bigazzi, giochi di potere nella stanza dei bottoni, patti scellerati per indebolire avversari e gettare un’ombra sinistra su quarant’anni di politica. Toni Servillo, impenetrabile nel suo trucco da Bagaglino, presta il volto ad un Presidente del Consiglio colpito da improvvise emicranie e sensi di colpa; Anna Bonaiuto è la moglie Livia, mentre Carlo Buccirosso interpreta magnificamente Cirino Pomicino. Il regista napoletano allude fin troppo ma sospende ogni giudizio: il segreto di Stato è un ostacolo difficile da superare. Onnipresente, come il “divo” di Palazzo Chigi.
Antonello Villani
(Salerno)
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lemillebolleblu
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mercoledì 28 maggio 2008
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convince e colpisce “il divo” di sorrentino
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di Marianna Sansone
Giulio Andreotti è l’asse gravitazionale della vita politica italiana. Era presente all’Assemblea Costituente, a cui partecipò a soli 29 anni. Classe 1919, Andreotti, ha ricoperto decine di volte la carica di Ministro (Interni, Esteri, Tesoro) e ben sette volte la carica di Presidente del Consiglio, fino a diventare Senatore a vita nel 1991. Una figura misteriosa e imperturbabile che il regista de “Il Divo” Paolo Sorrentino ha voluto rappresentare in 110 minuti di film maestosamente diretto che gli è valso il premio della giuria all’ultimo Festival di Cannes.
L’attore protagonista è lo straordinario Toni Servillo, di cui si riconoscono a stento gli occhi sotto la trasformazione operata per renderlo Guilio Andreotti.
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di Marianna Sansone
Giulio Andreotti è l’asse gravitazionale della vita politica italiana. Era presente all’Assemblea Costituente, a cui partecipò a soli 29 anni. Classe 1919, Andreotti, ha ricoperto decine di volte la carica di Ministro (Interni, Esteri, Tesoro) e ben sette volte la carica di Presidente del Consiglio, fino a diventare Senatore a vita nel 1991. Una figura misteriosa e imperturbabile che il regista de “Il Divo” Paolo Sorrentino ha voluto rappresentare in 110 minuti di film maestosamente diretto che gli è valso il premio della giuria all’ultimo Festival di Cannes.
L’attore protagonista è lo straordinario Toni Servillo, di cui si riconoscono a stento gli occhi sotto la trasformazione operata per renderlo Guilio Andreotti. Quasi tutto il tempo la telecamera è schiacciata su quei tratti riconoscibilissimi, e quanto più preme sul personaggio più lui rimane immobile, perennemente pacato, come se tutto gli scivolasse addosso come la lunga sequela di omicidi e di suicidi che la regia non lascia intendere ma mostra nella sua crudezza.
Il film inizia con un glossario: Brigate Rosse, Democrazia Cristiana, Loggia P2, Moro Aldo e ripercorre i fatti della storia italiana degli ultimi quarant’anni attraverso Andreotti che tiene le fila direttamente o indirettamente di tutto quello che nel paese accade. Accanto a lui Paolo Cirino Pomicino (interpretato da un convincente Carlo Buccirosso), Aldo Moro, Totò Riina, Giuseppe Ciarrapico, ma anche la moglie Livia e la storica segretaria Enea, due figure femminili chiave nella vita del vero statista.
Il ritratto di questo uomo politico è tratteggiato attraverso gesti metodici e reiterati, l’aspirina per il perenne mal di testa, i movimenti delle mani, i passi lenti, le battute ironiche. Solo sulla fine del film emerge l’uomo Andreotti, con un lungo monologo in cui – sconcertante per la figura curva che conosciamo – usa dei toni accesi. “Le reazioni incontrollate ci imbarazzano ma ci confortano perché ci ricordano che siamo umani” questa è la frase emblematica della figura di Andreotti tratteggiata da Sorrentino.
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xavor
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venerdì 6 giugno 2008
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che ognuno faccia quel che deve
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Che ognuno faccia quel che deve. Che la vita continui normalmente. Sono le parole che l’Imperatore del Giappone rivolse al suo popolo al volgere del conflitto con la Russia del 1904. Che ognuno faccia quel che deve. Che la vita continui normalmente. Anche dopo una strage, anche dopo una morte eccellente, voluta dal potente. Soprattutto se voluta dal potente. Parole sante anche per lui, che ne ha fatto filosofia di vita, assieme al principio delle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo… Anche se so. E si che lo so.
Del resto se non lo sa lui? Sette volte presidente del consiglio, una carriera infinita da De Gasperi al Berlusconi terzo. Passando per il sessantotto, per le stragi di Stato ben orchestrate, e poi su con le “ scale mobili ” fino alle stragi attuali, con le partite in differita…
Andreotti: uno sempre al proprio posto, il primo posto.
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Che ognuno faccia quel che deve. Che la vita continui normalmente. Sono le parole che l’Imperatore del Giappone rivolse al suo popolo al volgere del conflitto con la Russia del 1904. Che ognuno faccia quel che deve. Che la vita continui normalmente. Anche dopo una strage, anche dopo una morte eccellente, voluta dal potente. Soprattutto se voluta dal potente. Parole sante anche per lui, che ne ha fatto filosofia di vita, assieme al principio delle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo… Anche se so. E si che lo so.
Del resto se non lo sa lui? Sette volte presidente del consiglio, una carriera infinita da De Gasperi al Berlusconi terzo. Passando per il sessantotto, per le stragi di Stato ben orchestrate, e poi su con le “ scale mobili ” fino alle stragi attuali, con le partite in differita…
Andreotti: uno sempre al proprio posto, il primo posto. Capace di influenzare, deliberare, comandare, far eseguire. E difficilmente di non far punire. Questo il ritratto che esce dal film di Sorrentino. Un ritratto impietoso quanto disarmante. Perché quanto c’è stato, in questo Stato, non è frutto di fantasia. Le morti, le stragi, le vittime innocenti e i grilli parlanti messi a tacere per paura che facciano sapere. Le collusioni con le delinquenze nazionali, le finte lotte nei loro confronti, la corruzione, la “ compravendita “ dello Stato da parte dei ricchi mercanti… Tutto è verità, tutto è film dossier, ma senza i dossier, che restano nel fantomatico archivio segreto del Divo.
Un divo che non crede al caso, ma al volere di Dio. Che in un’insospettabile monologo in mezzo al film rivela come alla fine anche lui sa che quel che fa non è giusto. Ma che lo deve fare, che lo doveva fare, perché c’era da mandare avanti un paese… E perché… Non si può fare del bene senza fare anche del male da qualche altra parte. E poi, non si può godere appieno del bene, se si mostra al contempo anche quanto male è stato fatto, per realizzarlo. Per questo il male va protetto da occhi indiscreti. E quasi ti fa pena. Ma poi vedi la scena in cui bacia Totò Riina. E ti sale la voglia di condannarlo senza attenuanti, senza giudici, né presenti, in un processo sommario, con militari armati e pronti.
Il film analizza gli anni che vanno dal 1991 circa, anno del suo settimo, breve insediamento, fino alla fine del processo per mafia, di qualche anno fa. Ma non è solo una rivisitazione circostanziata di fatti accaduti o esponenti suppergiù dimenticati… E’ anche un’immersione, goliardica e grottesca, nella vita di un uomo combattuto che chiede spazio nel cielo adducendo la tesi del volere divino, che lo voleva perseguire il male per amore del benessere sociale. E’ un’immersione nell’universo di un uomo, un vincente, vinto, alla fine dalle sue azioni. Sopraffatto dalle sue stesse non ammissioni.
Straordinari gli attori, Tony Servillo è magistrale, non carica il personaggio di tic e mosse alla bagaglino, ma lo interpreta, freddo e distaccato come del resto è quello vero, e poi è impressionante Riina. Davvero bravi in questo i truccatori: molti politici e i personaggi con cui si intrecciano si riconoscono indipendentemente dalla (utile) didascalia. L’unica pecca: le musiche utilizzate, salvo alcune (come la scena dei coniugi Andreotti che guardano Renato Zero in TV, fra rimpianti e complicità disattese). Il Divo è un film da vedere per poi, una volta uscito in dvd, andare a comprare e rivedere, rivedere, rivedere. Il neorealismo italiano è risorto. Finalmente.
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kobayashi
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domenica 22 giugno 2008
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a me pare un film spettacolare
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non solo per il tema, ma anche perchè la vita di Andreotti è realmente spettacolare, dove per tale si intende rilevante e non bella. Essere immuni dalla sofferenza, tranne che con il "fatto" Moro, dopo essere passato attraverso 50 anni lotte senguinose, essere stato tacciato di qualsiasi nefandezza o crimine, essere stato nel bene o nel male protagonista contraddittorio e sintesi fra menzogna e verità di un intero paese è una cosa spettacolare. Non vuol dire che sia bella, certo, ma è avvincente. Io l'avrei sottotitolato: cosa è capace di fare un uomo dall'aspetto dimesso? oppure: la forza della negazione! ancora: la volontà di esserci a ogni costo. Sono stato felice che Sorrentino non abbia tratto conclusioni, ma si sia limitato ad un affresco delle contraddizioni insite al politico lasciando il dubbio sul fatto che sia vittima o carnefice: se abbia dovuto giocare partite sporche per restare il numero uno o solo per una sua fame criminale.
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non solo per il tema, ma anche perchè la vita di Andreotti è realmente spettacolare, dove per tale si intende rilevante e non bella. Essere immuni dalla sofferenza, tranne che con il "fatto" Moro, dopo essere passato attraverso 50 anni lotte senguinose, essere stato tacciato di qualsiasi nefandezza o crimine, essere stato nel bene o nel male protagonista contraddittorio e sintesi fra menzogna e verità di un intero paese è una cosa spettacolare. Non vuol dire che sia bella, certo, ma è avvincente. Io l'avrei sottotitolato: cosa è capace di fare un uomo dall'aspetto dimesso? oppure: la forza della negazione! ancora: la volontà di esserci a ogni costo. Sono stato felice che Sorrentino non abbia tratto conclusioni, ma si sia limitato ad un affresco delle contraddizioni insite al politico lasciando il dubbio sul fatto che sia vittima o carnefice: se abbia dovuto giocare partite sporche per restare il numero uno o solo per una sua fame criminale. Io sono arrivato alla conclusione che realmente i politici dc, con il loro modo paternalistico di gestire il potere, credessero realmente di fare il bene del paese anche quando commettevano crimini, incassavano tangenti oppure sintetizzavano interessi contrastanti.
Andreotti non aveva la forza di distruggere cosa nostra? Ne ha assecondato gli istinti.
Non trovo caricaturale l'interpretazione di Toni Servillo, anzi. La sua recitazione minimale, che aveva già realizzato per il personaggio di Titta di Girolamo (le conseguenze dell'amore) è servita allo scopo che l'attore si era prefisso prima di girare il film: non dare di andreotti l'immagine della macchietta da Bagaglinoù. Non per altro, sarebbe stato riduttivo. Quella del gobbo gesticolante e buffo è l'immagine idiota che piace al becero popolino, che si accontenta delle immagini e non vuole vedere nulla dietro gli uomini di potere.
Questo film mette l'accento sulla contraddizione, sulla strumentalità della religione cattolica e sulla forza di un uomo piccolo piccolo in una italietta ancora più piccola.
A tratti, a me, ha messo la pelle d'oca, come nel discorso fatto ad alta voce a giustificazione del suo modo di gestire il potere e rivolto alla moglie Livia. "Livia tu non capisci, ogni tanto serve fare il male per ottenere il bene".
Fate attenzione a non minimizzare certi lavori, fa parte del senso di responsabilità di chi guarda enfatizzare i film ben riusciti. Parlare dell'Italia, purtroppo, è complicato e certi contenuti non sono accessibili a tutti. Questo non è un film per tutti, può essere interpretato al meglio solo da chi ha idea di quella che sia stata la storia italiana dal dopoguerra a tangentopoli, cosa rappresentassero la dc e il psi e cosa abbiano fatto della nostra bella penisola.
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filippo catani
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martedì 6 marzo 2012
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gli intrighi del potere in italia (e non solo...)
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Il film cerca di ricostruire le Mosse politiche e private di Giulio Andreotti a partire dalla formazione del suo ultimo governo e andando a ritroso nel tempo.
Molto efficace la costruzione del film da parte di Sorrentino che si è trovato ad affrontare non poche difficoltà. Intanto cercare di ricostruire numerosi fatti all'interno della ragionevole durata che deve avere un film e poi creare una sceneggiatura tale da non renderlo una sorta di documentario. Ed è così che lo spettatore verrà portato avanti e indietro lungo i tanti eventi di cui lo stesso Andreotti (per stessa ammissione del protagonista del film) è stato accusato durante la sua lunga militanza politica: omicidio Dalla Chiesa, Sindona, Calvi, rapporti con la mafia, Pecorelli e ovviamente la gestione del caso Moro.
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Il film cerca di ricostruire le Mosse politiche e private di Giulio Andreotti a partire dalla formazione del suo ultimo governo e andando a ritroso nel tempo.
Molto efficace la costruzione del film da parte di Sorrentino che si è trovato ad affrontare non poche difficoltà. Intanto cercare di ricostruire numerosi fatti all'interno della ragionevole durata che deve avere un film e poi creare una sceneggiatura tale da non renderlo una sorta di documentario. Ed è così che lo spettatore verrà portato avanti e indietro lungo i tanti eventi di cui lo stesso Andreotti (per stessa ammissione del protagonista del film) è stato accusato durante la sua lunga militanza politica: omicidio Dalla Chiesa, Sindona, Calvi, rapporti con la mafia, Pecorelli e ovviamente la gestione del caso Moro. Molto suggestive le battute che vengono messe in bocca ad Andreotti e molto tosta e l'intervista che viene presentata ad opera di Eugenio Scalfari. E così un uomo abile a muoversi tra diversi intrighi e correnti finisce per essere la perfetta metafora di un certo uomo di potere che deve fare i conti anche con zone buie. Infine un encomio speciale allo straordinario Toni Servillo che in questa opera ci e si regala la sua migliore interpretazione della carriera. Azzeccata anche la scelta delle musiche che compongono la colonna sonora.
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dario
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mercoledì 2 febbraio 2011
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impalpabile
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La messinscena è buona, ma manca sostanza, si gira intorno al personaggio, un Andreotti caricaturale (troppo rigido Servillo), e si blatera troppo. Molto bravi gli attori di contorno (specialmente Bosetti) e robusto l'impianto generale. Troppo difficile il tema per il giovane Sorrentino che è comunque fra i pochi registi italiani di oggi a cavarsela, esprimendo con sicurezza un buon linguaggio cinematografico.
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