raffa s.
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domenica 26 febbraio 2006
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saga familiare tinta di giallo,
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“La terra” è un ulteriore omaggio che il regista di Grumo (Bari), romano d’adozione, rende alla sua terra, e, in generale, alla “memoria” d’ognuno. Cose e paesaggi sono un tripudio di pugliesità (uliveti sterminati, masserie, mare cristallino, mandorle e primitivo), ma quella che Rubini racconta è una storia universale, o, perlomeno, molto italiana.
Stazione di Mesagne, Brindisi. È pieno giorno, eppure non c’è un’anima. Un treno si ferma. Scende un uomo. Entrambi pare abbiano fretta di ripartire: il treno lo farà subito, l’altro dovrà attendere. Più del previsto.
L’uomo in questione è il professore di filosofia Luigi Di Santo (un Fabrizio Bentivoglio, che, come ne L’amore ritorna, veste benissimo i panni del “pugliese di ritorno”), originario di quei luoghi, emigrato a Milano.
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“La terra” è un ulteriore omaggio che il regista di Grumo (Bari), romano d’adozione, rende alla sua terra, e, in generale, alla “memoria” d’ognuno. Cose e paesaggi sono un tripudio di pugliesità (uliveti sterminati, masserie, mare cristallino, mandorle e primitivo), ma quella che Rubini racconta è una storia universale, o, perlomeno, molto italiana.
Stazione di Mesagne, Brindisi. È pieno giorno, eppure non c’è un’anima. Un treno si ferma. Scende un uomo. Entrambi pare abbiano fretta di ripartire: il treno lo farà subito, l’altro dovrà attendere. Più del previsto.
L’uomo in questione è il professore di filosofia Luigi Di Santo (un Fabrizio Bentivoglio, che, come ne L’amore ritorna, veste benissimo i panni del “pugliese di ritorno”), originario di quei luoghi, emigrato a Milano. Dopo anni, torna in paese per una questione d’eredità. Roba di pochi giorni, pensa. Invece, si troverà a compiere un viaggio più lungo e complesso, in luoghi dove neppure l’amorevole compagna (una Claudia Gerini tutta longuette e camicette di seta) riuscirà a seguirlo. Un viaggio nella memoria, attraverso quei sentimenti primordiali che scaturiranno dai rapporti conflittuali coi fratelli: Michele (Emilio Solfrizzi), parvenu sommerso di debiti con la fissa per la politica, Mario (Paolo Briguglia), sensibile e generoso, assorbito dal volontariato, e Aldo (Massimo Venturiello), rude e lavativo, attratto da donne e alcool. Figure, perlopiù maschere, che perdono rigidità grazie alla bravura degli attori, tutti eccezionali. Perfetto (ma irriconoscibile) è poi Rubini nel ruolo di Tonino, sordido usuraio, con cui ogni fratello avrà a che fare. E che, per un motivo o per un altro, ciascuno di loro odierà, tanto che quando questi verrà ucciso, i fratelli si sospetteranno a vicenda. Toccherà a Luigi dipanare la matassa, scendendo anche a compromessi. Con se stesso, innanzitutto. Un giallo, quindi, dove certo non mancano richiami verghiani alla “roba”, ma dove altrettanto cruciale è il tema della famiglia: valore a volte privo di valori, con ragioni che è difficile, se non impossibile, indagare. Ma con cui tutti, almeno secondo il film, prima o poi siamo chiamati a fare i conti.
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davide di finizio
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lunedì 28 dicembre 2009
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rubini e la dostoevskijana terra
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Sarebbe davvero interessante chiedere a S. Rubini se teneva presente I fratelli Karamazov quando si avventurò nella regia di questo film, che mostra diversi punti di contatto col capolavoro di Dostoevskij: tre fratelli, un fratellastro, un uomo morto, un dramma familiare che si tinge di giallo, ma con più vaste ambizioni. Peraltro Luigi, il professore di filosofia che arriva da Milano per vendere la tenuta di famiglia può essere suggestivamente associato ad Ivan, per l'appunto il "filosofo". Curiose anche le analogie tra Mario e Alesa, nella loro controversa religiosità, e tra Aldo e Dmitrij, temperamenti passionali che contendono entrambi una donna all' "antipatico" di turno: nel romanzo era Fedor, il padre dissoluto, cui l'autore russo prestava il suo nome; qui è Tonino, un losco individuo estraneo alla famiglia, cui il regista italiano presta invece il suo volto.
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Sarebbe davvero interessante chiedere a S. Rubini se teneva presente I fratelli Karamazov quando si avventurò nella regia di questo film, che mostra diversi punti di contatto col capolavoro di Dostoevskij: tre fratelli, un fratellastro, un uomo morto, un dramma familiare che si tinge di giallo, ma con più vaste ambizioni. Peraltro Luigi, il professore di filosofia che arriva da Milano per vendere la tenuta di famiglia può essere suggestivamente associato ad Ivan, per l'appunto il "filosofo". Curiose anche le analogie tra Mario e Alesa, nella loro controversa religiosità, e tra Aldo e Dmitrij, temperamenti passionali che contendono entrambi una donna all' "antipatico" di turno: nel romanzo era Fedor, il padre dissoluto, cui l'autore russo prestava il suo nome; qui è Tonino, un losco individuo estraneo alla famiglia, cui il regista italiano presta invece il suo volto.
Ma La Terra, come si accennava, non è (o non solo) un film di genere: nell'involucro del "giallo" si nasconde la tormentata ricerca di una verità, che non è semplicemente lo smascheramento di un assassino. Anzi, da questo punto di vista, le aspettative comuni vengono sostanzialmente deluse, il che è senz'altro una prova della cifra stilistica del suo autore. Ma la verità di questo film (se di verità si può in fin dei conti parlare) è nella riscoperta della famiglia, delle radici, del passato, valori con cui Luigi, antieroe inquieto e passionale (e quindi tipicamente dostoevskijano) sarà costretto, come ognuno di noi, a fare i conti.
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[+] chapeau al recensore, ma anche a rubini.
(di virea)
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giux scorpio
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giovedì 25 gennaio 2007
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un capolavoro per un pubblico esperto!
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Come sempre il nostro Rubini non si smentisce mai, ogni film che tocca si trasforma in una apoteosi di verità, avvolte cruda e spicciola ma assolutamente non esecrabile. Il film si rivela scena per scena ritraendo con minuziosità una famiglia e i suoi personaggi, nel dettaglio assoluto, la regia è impeccabile e la trama è affascinante e tremendamente attuale per le nostre pagine di cronaca. Quello che la fa da padrone, nel fim, è la rivalsa e l'orgoglio, ed entrambi questi sentimenti sfociano come la conclusione ridondante di un opera orchestrata, nella scena della lotta nella TERRA, dove i due uomini lottano contorcendosi per arrivare alla vittoria, sfogandosi affannosi. Una delle scene più magiche del film, assolutamente più magiche! Il film è meraviglioso, i colori della pellicola sono del sud, caldi e viscerali, gli attori assieme danno vita ad un raccordo straordinario, nel quale Bentivoglio resiste ed entusiasma, trasudando fascino estremo, e seducendo con classe ogni singolo cinespettatore.
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Come sempre il nostro Rubini non si smentisce mai, ogni film che tocca si trasforma in una apoteosi di verità, avvolte cruda e spicciola ma assolutamente non esecrabile. Il film si rivela scena per scena ritraendo con minuziosità una famiglia e i suoi personaggi, nel dettaglio assoluto, la regia è impeccabile e la trama è affascinante e tremendamente attuale per le nostre pagine di cronaca. Quello che la fa da padrone, nel fim, è la rivalsa e l'orgoglio, ed entrambi questi sentimenti sfociano come la conclusione ridondante di un opera orchestrata, nella scena della lotta nella TERRA, dove i due uomini lottano contorcendosi per arrivare alla vittoria, sfogandosi affannosi. Una delle scene più magiche del film, assolutamente più magiche! Il film è meraviglioso, i colori della pellicola sono del sud, caldi e viscerali, gli attori assieme danno vita ad un raccordo straordinario, nel quale Bentivoglio resiste ed entusiasma, trasudando fascino estremo, e seducendo con classe ogni singolo cinespettatore. Rubini nel ruolo del viscido uomo del "malaffare", si trova benissimo; lo studio dello status del personaggio si rivela esperto e sapiente, e buca lo schermo anche nella sua assoluta negatività! Dunque una storia di ordinaria TERRA nostra, che si espleta con armonia e sagacia, non capitolando mai in noiosi preamboli, anzi i dettagli incalzano un ritmo si prosatorio ed avvolte parossistico ma di grande respiro. Eccezionale! Un film assolutamente intenso, degno di un grande maestro, un film da guardare e da sentire sotto la pelle fino all'ultima scena. I complimenti a Rubini che come sempre ritrae con forza e realismo una storia tutta italiana! buona visione a tutti!!!
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[+] finalmente!
(di rexi)
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(di alex)
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weach
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giovedì 28 ottobre 2010
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terra di trasformazione
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Un viaggio di ritorno nel sud , alla ricerca delle proprie radici, ma con delle motivazioni economiche .
E’ un problema di terra,si terra da vendere ,di famiglia ,che per opposte vicende familiari ,c’è chi vuole vendere e chi no.
È storia di vecchi condizionamenti con possibilità di emancipazione, una sorta di percorso a tappe nel quale viene offerta la possibilità di modificare gli aggregati psichici e realizzare qualcosa di imprevisto, un cambiamento,o se volete, qualcosa di diverso.
Sergio Rubini sorprende sempre , la sua capacità di trasformazione è prodigiosa, ed il regista -attore incarna il personaggio più sgradevole della sua storia ,colui che ricatta, che ha in se rancori profondi, che è capace di qualsiasi cosa pur di ottenere un vantaggio materiale.
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Un viaggio di ritorno nel sud , alla ricerca delle proprie radici, ma con delle motivazioni economiche .
E’ un problema di terra,si terra da vendere ,di famiglia ,che per opposte vicende familiari ,c’è chi vuole vendere e chi no.
È storia di vecchi condizionamenti con possibilità di emancipazione, una sorta di percorso a tappe nel quale viene offerta la possibilità di modificare gli aggregati psichici e realizzare qualcosa di imprevisto, un cambiamento,o se volete, qualcosa di diverso.
Sergio Rubini sorprende sempre , la sua capacità di trasformazione è prodigiosa, ed il regista -attore incarna il personaggio più sgradevole della sua storia ,colui che ricatta, che ha in se rancori profondi, che è capace di qualsiasi cosa pur di ottenere un vantaggio materiale.
Ma il centro del film resta “la terra”, la sudata terra del sud , che è in bilico fra la speculazione edilizia ed il profondo desiderio di tenere ben salde le radici nella tradizione di sempre.
Sullo sfondo di un thriller ,che rende più accessibile la storia , si consuma un dramma che trae le sue origini da un bagaglio ereditario di pensieri e desideri tipici di una cultura del silenzio e dell’ azione che è ma non deve apparire .
Alla fine tutto sembra immutabile ma non è così ; tutto è in movimento verso un cambiamento o trasformazione.
Weach illuminati
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mario conti
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martedì 30 gennaio 2007
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karamazov del tavoliere (o giù di lì)?
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La terra è un concetto metafisico, è uno scrigno dei ricordi, il fortino dei pensieri più segreti. La terra è la propria origine inevitabile che ritorna, ferisce, fa male, e riconduce i pensieri ad uno stato di ovattamento fetale.
Rubini mostra di conoscere che il cordone ombelicale tra noi e il mondo è il posto dove siamo nati e che chi recide quel legame può anche precipitare verso altri lidi, altri agi; ma sempre con lo sguardo ben vigile alle proprie spalle.
Ne deriva un film più complesso di quanto appaia, appena appesantito da rare concessioni al macchiettismo corrivo del cinema che strizza l'occhio alle masse. Ci sono buone caratterizzazioni dei personaggi, ognuno dei quali è inestricabile groviglio di passioni che erompono improvvise e poi si chetano (o viceversa).
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La terra è un concetto metafisico, è uno scrigno dei ricordi, il fortino dei pensieri più segreti. La terra è la propria origine inevitabile che ritorna, ferisce, fa male, e riconduce i pensieri ad uno stato di ovattamento fetale.
Rubini mostra di conoscere che il cordone ombelicale tra noi e il mondo è il posto dove siamo nati e che chi recide quel legame può anche precipitare verso altri lidi, altri agi; ma sempre con lo sguardo ben vigile alle proprie spalle.
Ne deriva un film più complesso di quanto appaia, appena appesantito da rare concessioni al macchiettismo corrivo del cinema che strizza l'occhio alle masse. Ci sono buone caratterizzazioni dei personaggi, ognuno dei quali è inestricabile groviglio di passioni che erompono improvvise e poi si chetano (o viceversa). Quattro fratelli di diverso aspetto e carattere ma di comune origine linguistica e geografica. Basta questo a fare della narrazione lo stuzzicante peana di un determinismo che (forse) ha poco di russo e di dostoevskijano e invece molto, troppo, del calore, del sole, delle terre aride e sterminate di Puglia.
Quattro uomini divisi nel nome del padre (il dio denaro) e della madre (ancora la terra),ma uniti da un obiettivo che riassetti quel lacerato cordone, ognuno dei quali cederà un pezzetto di sè agli altri, e la terra all'unico, vero nemico, compiendo i passi decisivi verso quella insospettabile diversità che spezza le catene serrate dal morso dei natali.
Il milanese raziocinante si trasforma in perfetto uomo del Sud, furbo e paraculo a fin di bene. Il fratellastro arrogante e cinico ed il debole della famiglia, politico mancato, fallito compiuto, si riabbracciano in un'orgia di sentimenti che, per una volta, non propalano miele. E il fratello buono, troppo buono, scopre che dedicarsi agli altri può voler dire eliminarne qualcuno.
Il regista si ritaglia il consueto ruolo dominante: il minutaggio della presenza sullo schermo è irrilevante, forte invece la possanza scenica dell'usuraio, con quei capelli unti e impossibili da gestire come la cattiveria dell'animo, ed il dialetto che dice tutto in un aggettivo, in una domanda, in una intonazione. Se il Rubini attore ha ancora qualche limite è quello di possedere una vitalità che crea nello spettatore immediata simpatia e riconoscibilità. Così si finisce con il vergognarsi un po' di sorridere alle tremende affermazioni di Tonino.
"La terra" non è un film perfetto: qualcosa stona nell'happy end, per quanto esso sia percorso da spesse venature malinconiche. E la morale della famiglia ricompattata, al di là del bene e del male, al di sopra del comune sentire etico e morale (come se ci siano ragioni del sangue che la ragione non conosce), risulta appena forzata. Ma Rubini con gli anni affronta tematiche di sempre maggiore impegno, conosce la propria terra e innerva dei suoi umori sceneggiature e dialoghi, senza cadere nel bozzettismo basso - regionalistico dei Vanzina e dei loro bauscia, pirla, infami, infamoni e mignottoni. Il suo è cinema pudicamente, sommessamente filosofico. Filosofia della Magna Grecia, forse: ma pur sempre idea, pensiero,azione.
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(di lofamo)
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alberto86
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lunedì 3 aprile 2006
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un rubini maturo e consapevole
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Nonostante non mi ritenga un grande ammiratore del cinema di Rubini pur essendo pugliese,devo ammettere che "La terra" è un'opera valida,che,nonostante qualche lunghezza di troppo e qualche non necessaria forzatura,offre una completa e matura radiografia del Sud pugliese,della sua mentalità,delle sue tradizioni e delle sue ipocrisie...Sfruttando attori bravi e dai personaggi ben caratterizzati,il film non cade in facili clichè o in volgarità gratuite,ma è a tratti parecchio originale(vedi ad esempio l'insolito finale),ricco,colorato,ben costruito tra noir,giallo,romanzo popolare e tragedia familiare.Uno dei pochi film italiani degni di attenzione in un contesto attuale non proprio florido e dominato da personalità "non proprio eccelse".
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Nonostante non mi ritenga un grande ammiratore del cinema di Rubini pur essendo pugliese,devo ammettere che "La terra" è un'opera valida,che,nonostante qualche lunghezza di troppo e qualche non necessaria forzatura,offre una completa e matura radiografia del Sud pugliese,della sua mentalità,delle sue tradizioni e delle sue ipocrisie...Sfruttando attori bravi e dai personaggi ben caratterizzati,il film non cade in facili clichè o in volgarità gratuite,ma è a tratti parecchio originale(vedi ad esempio l'insolito finale),ricco,colorato,ben costruito tra noir,giallo,romanzo popolare e tragedia familiare.Uno dei pochi film italiani degni di attenzione in un contesto attuale non proprio florido e dominato da personalità "non proprio eccelse".Uno sguardo partecipe,sentito,forte ma al contempo indulgente e affezionato su una realtà regionale che non si è ancora del tutto liberata del passato ma che è già disgustata dal presente.Tra gli attori protagonisti,Bentivoglio,assieme a un Rubini bravissimo nella parte dello sgradevole usuraio,è sicuramente uno dei migliori:smarrito,distaccato,freddo e disgustato nella prima parte,finirà nella seconda per sentirsi un tutt'uno con il suo paese d'origine,tanto diverso dal rigido e professionale Nord a cui ha finito per abituarsi cogli anni,ma al contempo tanto inconsciamente amato,da cui stavolta non fuggirà più.E,come lui,Rubini,nonostante tutto,ama profondamente la sua TERRA,palcoscenico di odi e passioni contrastanti da cui è difficile distaccarsi.E'per questo che realizza una delle sue opere più personali e riuscite,dense e coinvolgenti,originali e consapevoli.3 stelle
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andrea lade
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martedì 28 febbraio 2006
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un po' folkloristico ma molto toccante
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Un uomo allontanato per cause di forza maggiore dalla famiglia natia,torna dopo anni nel suo paese di origine e trova una situazione drammatica che riuscirà parzialmente a risolvere,ma non prima di essere entrato in contatto con il suo vero io lasciato sopire per anni dalla conformità di una nuova vita nel settentrione: innumerevoli sono gli spunti per godere di un film che già dalle prime scene mostra la sua vena giallistica che da molte recensioni gli ha valso il titolo di thiller.Lascio ad altri più competenti la denominazione del genere,ma vi dico che la tensione c'è e soprattutto per chi come me ha vissuto situazioni molto ambigue con personaggi di malaffare,molte scene sono particolarmente realistiche ai limiti dell'angosciante.
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Un uomo allontanato per cause di forza maggiore dalla famiglia natia,torna dopo anni nel suo paese di origine e trova una situazione drammatica che riuscirà parzialmente a risolvere,ma non prima di essere entrato in contatto con il suo vero io lasciato sopire per anni dalla conformità di una nuova vita nel settentrione: innumerevoli sono gli spunti per godere di un film che già dalle prime scene mostra la sua vena giallistica che da molte recensioni gli ha valso il titolo di thiller.Lascio ad altri più competenti la denominazione del genere,ma vi dico che la tensione c'è e soprattutto per chi come me ha vissuto situazioni molto ambigue con personaggi di malaffare,molte scene sono particolarmente realistiche ai limiti dell'angosciante.
Concordo con la tesi sostenuta da alcuni che il tutto appare un po' troppo folkloristico,ma ricordiamoci che gran parte dei film rispondono purtroppo ad una logica di mercato:la spiaggetta cristallina,il paesaggio messapico,il paesetto dai vicoletti bianchi concorre a rendere un'immagine molto seducente e che strizza l'occhio ad eventuali turisti,ma questa è solamente la cornice.
Il quadro è molto ben fatto,con un ottimo cast in forma,fotografia coinvolgente che si avvale di soggettive sui personaggi dalle espressioni forti:i caratteri ne escono fuori molto ben definiti e credibili nonostante anche qui a volte si sfiori lo stereotipo dell'uomo del sud pugliese.Stereotipo però appena accennato e non disturbante.
La matassa si crea e si snoda in modo classico ,rispettando le regole del giallo all'italiana e ci lascia una soluzione impunita,una soluzione che vede trionfare ogni uomo che decide di lasciare l'eredità consacrandola agli affetti ,ma soprattutto alla libertà di vivere senza l'orpello della materia.
Una soluzione che lungi dall'essere una lezione morale per lo spettatore ,è un finale scelto per mostrare un'intelligente via di fuga da lesionistici intrecci familiari.
A me è piaciuto veramente molto e non sono stato affatto distratto dagli ammiccamenti del regista per rendere il tutto una piacevole attrazione esteriore.I sentimenti ci sono,vengono molto ben interpretati e fuoriescono dallo schermo in modo tangibile.
Giudizio molto positivo.
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(di zanic)
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a.l.
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lunedì 6 marzo 2006
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fratelli d'italia
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“La terra”, l’ottava fatica di Rubini, presenta due conclusioni, una convenzionale ed accomodante, l’altra, quella vera, più inquietante ed aperta: nella prima il colpevole del delitto viene trovato, l’intricata vicenda ha la sua soluzione nella classica tavolata pacificatrice, nella seconda, a ridosso dei titoli di coda, il protagonista, nel viaggio di ritorno in treno, forse svela alla compagna ignara la verità, ma le gallerie oscurano lo scompartimento, lo sferragliare disturba l’ascolto, si vedono le labbra di lui muoversi, raccontare, spiegare, ma le parole non si distinguono. Una luce ad intermittenza, sospesa tra realtà ed allucinazione, sfuma i contorni e rende inintelligibili persone e atmosfere: la sordida storia dei quattro fratelli in lite per l’eredità paterna, sospettati dell’assassinio di un bieco usuraio, è davvero avvenuta, o semplicemente l’intellettuale ha riferito all’amica il romanzo che tiene in mano, magari scritto da lui, magari autobiografico, una sorta di grottesca riscrittura in chiave contemporanea de “I fratelli Karamazov”, sapientemente amalgamati con altri modelli letterari e cinematografici, Verga, Visconti, Chabrol, Kurosava, Leone? E infine, si tratta del dramma particolare di una famiglia anomala o di una metafora lucida e spietata dell’Italia di oggi e di sempre? Il fatto è che qui Sergio Rubini, al contrario di molti suoi colleghi fortunatissimi al botteghino, in virtù dell’onestà doverosa per un autore serio( nonostante tutto, la specie non è in via di estinzione), rinuncia alle semplificazioni ipocrite e accattivanti, rivela sottintendendo, si nasconde nelle convenzioni del genere giallo, fa della stratificazione ambigua stile: non tutto funziona alla perfezione nello sforzo di uscire dai luoghi comuni relativamente all’immagine dei vizi e della virtù nazionali o nello sviluppo dell’intreccio, tuttavia basterebbe il labor limae nell’utilizzo delle fonti a portare “La terra” anni luce lontano rispetto a quanto offre in questi giorni il cinema italiano in sala.
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“La terra”, l’ottava fatica di Rubini, presenta due conclusioni, una convenzionale ed accomodante, l’altra, quella vera, più inquietante ed aperta: nella prima il colpevole del delitto viene trovato, l’intricata vicenda ha la sua soluzione nella classica tavolata pacificatrice, nella seconda, a ridosso dei titoli di coda, il protagonista, nel viaggio di ritorno in treno, forse svela alla compagna ignara la verità, ma le gallerie oscurano lo scompartimento, lo sferragliare disturba l’ascolto, si vedono le labbra di lui muoversi, raccontare, spiegare, ma le parole non si distinguono. Una luce ad intermittenza, sospesa tra realtà ed allucinazione, sfuma i contorni e rende inintelligibili persone e atmosfere: la sordida storia dei quattro fratelli in lite per l’eredità paterna, sospettati dell’assassinio di un bieco usuraio, è davvero avvenuta, o semplicemente l’intellettuale ha riferito all’amica il romanzo che tiene in mano, magari scritto da lui, magari autobiografico, una sorta di grottesca riscrittura in chiave contemporanea de “I fratelli Karamazov”, sapientemente amalgamati con altri modelli letterari e cinematografici, Verga, Visconti, Chabrol, Kurosava, Leone? E infine, si tratta del dramma particolare di una famiglia anomala o di una metafora lucida e spietata dell’Italia di oggi e di sempre? Il fatto è che qui Sergio Rubini, al contrario di molti suoi colleghi fortunatissimi al botteghino, in virtù dell’onestà doverosa per un autore serio( nonostante tutto, la specie non è in via di estinzione), rinuncia alle semplificazioni ipocrite e accattivanti, rivela sottintendendo, si nasconde nelle convenzioni del genere giallo, fa della stratificazione ambigua stile: non tutto funziona alla perfezione nello sforzo di uscire dai luoghi comuni relativamente all’immagine dei vizi e della virtù nazionali o nello sviluppo dell’intreccio, tuttavia basterebbe il labor limae nell’utilizzo delle fonti a portare “La terra” anni luce lontano rispetto a quanto offre in questi giorni il cinema italiano in sala. Precisamente il dialogo a distanza con i classici della letteratura e dello schermo consente alla pellicola di evitare i clichè più grossolani in un ritratto d’ambiente, ambiziosamente rappresentativo di un’ umanità legata indissolubilmente alle sue radici, connotata, esclusivamente dal punto di vista antropologico, da idealismo generoso e combattuto, libidine e sete di possesso, propensione alle elaborazioni concettuali elevate e al compromesso con il pragmatismo più cinico: scarnificate le personalità di Luigi, il professore di filosofia trapiantato a Milano, di Mario, impegnato nel volontariato, di Michele, indebitato e in politica per tornaconto, di Aldo, sensuale e impulsivo, rimandano a un universalità di comportamenti e modi di essere sullo sfondo di un Sud allegorico e senza tempo, scarnificato, labirintico e arroventato. L’appartenenza a una terra e a un popolo si solidifica nel sangue, fa riemergere ativici vizi, quali, trattandosi dell’Italia, trasformismo e familismo: il lieto fine, con la capitolazione di nobili aspirazioni e filosofiche ricerche di senso davanti al “particulare” della pace in casa propria, ironizza, con un punta di delusa amarezza, sulle italiche angustie. La “Chiesa di Roma” è una bellissima galleria di immagini sacre racchiuse in una scatola con un foro per l’occhio: la coscienza non è che un gioco da bambini…
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viandante
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venerdì 17 marzo 2006
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la passione di bentivoglio
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La sequenza della processione del venerdì santo, con l'indugiare della inquadratura sul corpo martoriato dalle torture del Cristo, e la parallela inquadratura del "Professore" Bentivoglio, stupito da tanta devozione (?), ammantante le poco pulite dinamiche del paese natio, evidenziano il parallelismo tra la figura di Gesù Cristo, che facendo carico dei peccati degli uomini, muore per togliere i peccati dal mondo, e il "Professore", che emerge quale guida di un gruppo di "apostoli" (i fratelli, Tania, e la ragazza del fratello più piccolo), facendosi non propriamente di sua sponte, carico dei "peccati" del piccolo mondo natio, e immolandosi nel finale del film come elemento di resurrezione del contesto familiare e in parte cittadino.
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La sequenza della processione del venerdì santo, con l'indugiare della inquadratura sul corpo martoriato dalle torture del Cristo, e la parallela inquadratura del "Professore" Bentivoglio, stupito da tanta devozione (?), ammantante le poco pulite dinamiche del paese natio, evidenziano il parallelismo tra la figura di Gesù Cristo, che facendo carico dei peccati degli uomini, muore per togliere i peccati dal mondo, e il "Professore", che emerge quale guida di un gruppo di "apostoli" (i fratelli, Tania, e la ragazza del fratello più piccolo), facendosi non propriamente di sua sponte, carico dei "peccati" del piccolo mondo natio, e immolandosi nel finale del film come elemento di resurrezione del contesto familiare e in parte cittadino.
Arrivederci
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antrace
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mercoledì 9 dicembre 2009
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un sud scolpito nella pietra
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Terra pugliese, terra pietrosa e solatia, quasi disabitata, dove un boss violento ,camuso, ineffabile governa ogni cosa . In questa piccola enclave della malavita , quattro fratelli si incontrano allo scopo di concordare la vendita di alcuni poderi . Il loro contratto non sarà mai firmato , perchè prevarranno tensioni reciproche e diversi interessi . Il più colto e raffinato tra essi, residente in una città del nord , quello solo libero da ricatti mafiosi , arriva nel paese per dirimere le contese familiari , mettendo via via a fuoco il dissidio dei fratelli , le loro incerte condizioni economiche , la paura e l'omertà dietro i muri e gli sguardi .
Quando il boss verrà ucciso in una spettrale processione , scoprirà che la mano omicida , sicuramente vicina , non appartiene ai due fratelli indiziabili ma al più giovane , lontano da ogni affare .
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Terra pugliese, terra pietrosa e solatia, quasi disabitata, dove un boss violento ,camuso, ineffabile governa ogni cosa . In questa piccola enclave della malavita , quattro fratelli si incontrano allo scopo di concordare la vendita di alcuni poderi . Il loro contratto non sarà mai firmato , perchè prevarranno tensioni reciproche e diversi interessi . Il più colto e raffinato tra essi, residente in una città del nord , quello solo libero da ricatti mafiosi , arriva nel paese per dirimere le contese familiari , mettendo via via a fuoco il dissidio dei fratelli , le loro incerte condizioni economiche , la paura e l'omertà dietro i muri e gli sguardi .
Quando il boss verrà ucciso in una spettrale processione , scoprirà che la mano omicida , sicuramente vicina , non appartiene ai due fratelli indiziabili ma al più giovane , lontano da ogni affare .
Coinvolto nel clima di agguati e di vendette , partecipe ormai del
linguaggio crudo, atavico del luogo natio , troverà un'abile accordo con gli eredi del boss , che garantirà a quelli un ricco risarcimento, ed al fratello minore di evitare il carcere .
Il film ha pregi e difetti in dosi eque , prolisso e irrisolto nella sceneggiatura , sa preservare attraverso una acuta recitazione un contenuto freddo , quasi da piece teatrale , che ben descrive il pathos della vicenda ed i contorni lucidi in cui si svolge .
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