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mercoledì 1 febbraio 2006
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una preghiera
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"Una preghiera".
Così, uno Spielberg eccezionalmente schivo, ha definito questo "Munich", film che tocca lo spinosissimo tema del conflitto israelo-palestinese narrando la missione segreta del Mossad all'indomani dell'uccisione degli 11 atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del '72.
Il film inizia come un documentario: otto uomini dall'apparenza innocua scavalcano una recinzione, entrano nel campus dove dormono gli atleti e scatenano l'inferno.
In pochi minuti, attraverso immagini sfocate dell'epoca e abili ricostruzioni, vediamo il mondo assistere, esterrefatto, alle immagini del primo attentato in mondovisione.
L'esultanza dei palestinesi, la costernazione degli israeliani, l'immobilismo del resto del mondo.
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"Una preghiera".
Così, uno Spielberg eccezionalmente schivo, ha definito questo "Munich", film che tocca lo spinosissimo tema del conflitto israelo-palestinese narrando la missione segreta del Mossad all'indomani dell'uccisione degli 11 atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del '72.
Il film inizia come un documentario: otto uomini dall'apparenza innocua scavalcano una recinzione, entrano nel campus dove dormono gli atleti e scatenano l'inferno.
In pochi minuti, attraverso immagini sfocate dell'epoca e abili ricostruzioni, vediamo il mondo assistere, esterrefatto, alle immagini del primo attentato in mondovisione.
L'esultanza dei palestinesi, la costernazione degli israeliani, l'immobilismo del resto del mondo. Già in queste scene si presagisce il dramma che poi si consumerà con l'uccisione di tutti gli ostaggi, all'aeroporto di Monaco, in seguito alla decisione del primo ministro israeliano di non voler trattare coi terroristi.
Finito il momento cronachistico (ma non del tutto, la vibrante ricostruzione dell'assassinio ci accompagnerà infatti per tutto il film, alternandosi alle immagini della missione guidata dal protagonsta), inizia il film vero e proprio.
Ad Avner (un intenso Eric Bana, in un personaggio che, ironia della sorte, sembra proprio un moderno Ettore, in difesa della sua "Troia"), agente del Mossad figlio di un eroe d'Israele, viene affidata dalla stessa Golda Meir (sua la controversa affermazione secondo la quale "ogni civiltà, a un certo punto della sua storia, deve venire a patti con i suoi valori") una missione "ufficiosa" a proposito della quale Mossad e Stato di Israele fingeranno di non sapere assolutamente nulla: scovare ed eliminare fisicamente 11 personalità palestinesi, che avrebbero pianificato e finanziato l'azione terroristica di Settembre Nero.
Sicuramente non un fanatico, ma un uomo comune in una situazione tutt'altro che comune, Avner accetta, sebbene sua moglie sia incinta e prossima al parto...
Puntando tutto sulla forza delle immagini (non poche le scene molto "forti" a livello simbolico, una su tutte quella finale con le Twin Towers sullo sfondo) e su una sceneggiatura incalzante (il premio Pulitzer Roth e Tony Kushner), "Munich" si presenta sin dalle prime battute come un film molto sfaccettato e dalle diverse letture.
Anche volendo ignorare il tema di cui tratta, "Munich" è infatti innanzitutto un thriller dal ritmo serrato, un film di spionaggio duro e "sporco" (così come la fotografia sgranata, anni '70, di Kaminski).
Ma, a parte questo, c'è da dire che "Munich" è sicuramente il film più politico di Spielberg, un regista che (apparentemente) è sembrato finora volersi tenere alla larga da temi smaccatamente politici.
Il film é stato accolto da tante critiche, la maggior parte delle quali prima dell'uscita stessa del film: criticato dagli uni perchè troppo critico nei confronti di Israele (c'è chi lo ha bollato addirittura, in maniera ridicola, come un film anti-semita), dagli altri perchè forse volevano qualcosa di ancor più filo-palestinese, "Munich" è in realtà un film assai coraggioso, la cui posizione "di mezzo" non è data da saggio equilibrismo fatto "per non scontentare nessuno" (tanto è vero che gli scontenti ci sono stati ugualmente) ma dal semplice fatto che il film pone molte domande e insinua assai dubbi invece di dare risposte, non limitandosi quindi abbracciare, in maniera manichea, l'una o l'altra causa.
In questo suo sofferto "appello", Spielberg ci mostra quelle che, secondo lui, sono le radici dell'odio; si interroga sulla presenza del male e del fanatismo; sul come la vendetta e l'uccisione di uomini "colpevoli" porti solo ad altre "vendette" da vendicare e agli assassini mirati di uomini ancora peggiori che han preso il posto di quelli precedenti.
In questo docudrama teso, che oltre a giocare con la suspence di tipo "hitchcockiano" (la scena della bambina e del telefono che sta per esplodere") affida alla nostra memoria anche immagini piuttosto crude ed efferate, Spielberg sembra filmare tutto con l'occhio imparziale d'un giornalista, per poi dare la zampata (il suo tocco, stavolta però veramente azzeccato) in alcune scene emotivamente importanti per avvicinare lo spettatore al dramma del sempre più disperato (e paranoico) Avner.
Anche se qui sono più sottotraccia, i temi del cinema spielberghiano ci sono tutti, a partire dal rapporto inesistente che c'è tra Avner e suo padre (che non vediamo e del quale non sappiamo nulla, tranne il fatto che é un "eroe").
Tra le scene più belle dal punto di vista puramente registico ci sono il rovinoso attentato ad Atene e quello che Avner e i suoi uomini fanno in Libano insieme a un commando dell'esercito israeliano (se nel primo sembra di assistere a una esecuzione da genere "poliziesco/mafiamovie", nel secondo c'è il genere bellico).
Tra quelle più significative ed emblematiche, da un punto di vista contenutistico c'è per prima (cronologicamente), quella grottesca in cui il commando di Avner, sotto mentite spoglie (si spacciano per membri dell'Eta e della Bader Meinhof) è costretto a condividere l'alloggio con un gruppo di feddayn palestinesi: chiara metafora della situazione in M.O., due popoli costretti a condividere la stessa terra.
E la bellissima, quasi catartica scena pre-finale, quando Avner fa l'amore con sua moglie e nel frattempo, con un montaggio alternato, assistiamo al sanguinosissimo epilogo del flashback riguardante l'attentato di Monaco. Perchè tutto è iniziato da lì e per quello Avner, semplicemente un uomo che fa il suo dovere e difende la sua Patria (il cinema spielberghiano notoriamente fatto di "eroi"- anche Schindler lo era- partorisce qui forse il suo primo antieroe), ha dovuto uccidere uomini che, a modo loro e secondo la loro "fede", facevano la sua stessa cosa: compiere il dovere che il caso e la storia hanno imposto loro, perpetrando così l'infinita spirale d'odio.
Quanto al finale, anche su quello s'è detto e scritto molto.
A mio parere, è tutt'altro che involontaria la presenza delle Twin Towers sullo sfondo, mentre Avner, in aperto contrasto col capo del Mossad, dice che "alla fine di tutto non c'è mai pace" e che, pertanto non tornerà in Israele.
I due prendono direzioni diverse: l'uno convinto che la violenza debba essere combattuta con le stesse armi, l'altro tormentato da dubbi ma almeno certo che la violenza, da sola, non può essere una soluzione.
Quelle Twin Towers sullo sfondo sono forse l'ennesimo effetto collaterale innescato da una spirale di violenza iniziata chissà quando e purtroppo ancora lontanissima dalla fine.
Ironia della sorte, mentre vediamo questo film, in Palestina ha vinto Hamas, la frangia del "non dialogo".
E questo pensiero fa diventare ancora più irrisolto, dibattuto, inquieto e ambiguo il finale di questo film, il meno ottimista e consolatorio che Spielberg ci abbia mai proposto, sintomo forse che persino un eterno ottimista come lui di fronte a simili drammi della Storia, può solo lanciare un appello e suscitare dilemmi morali, ma non dare risposte nè indicare vie d'uscita.
Per me, un capolavoro.
Se non fosse altro, per la sincerità, il coinvolgimento e l'onestà di un'operazione tutt'altro che facile, operata dall'unico regista (ora sopravvalutato, ora sottovalutato) in grado, oggi, di passare con disinvoltura dai dinosauri ai forni crematori, dagli alieni al sangue dei corpi ridotti a brandelli da un plastico troppo "devastante".
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giovanni dm
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lunedì 30 gennaio 2006
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un gran film per un grandissimo regista. però...
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Recensione non facile, quella dell’ultimo Spielberg. Perché quello che è, certamente, uno dei massimi registi viventi, affronta in modo originalissimo l’attentato palestinese alle Olimpiadi di Monaco del 1972 e la conse-guente reazione violentissima di Israele. Rappresaglia? Vendetta? Allo spettatore l’ardua sentenza, dal momento che il regista non si sbilancia, limitandosi piuttosto a confezionare un ottimo film d’azione, nel quale le scene avventurose sono ben miscelate con altre di maggior riflessione, ricche di spunti che aiutano a non perdere di vista la tragicità dei fatti e le mille sfaccettature che essi presentano. E, proprio per questo motivo, in realtà non si tratta solo di un film d’azione (con un ritmo – volutamente – non vorticoso, ma comunque incalzante), ma di un approccio problematico a una situazione (sullo sfondo domina il conflitto palestinese) nella quale non si vedono sbocchi rapidi e pacifici.
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Recensione non facile, quella dell’ultimo Spielberg. Perché quello che è, certamente, uno dei massimi registi viventi, affronta in modo originalissimo l’attentato palestinese alle Olimpiadi di Monaco del 1972 e la conse-guente reazione violentissima di Israele. Rappresaglia? Vendetta? Allo spettatore l’ardua sentenza, dal momento che il regista non si sbilancia, limitandosi piuttosto a confezionare un ottimo film d’azione, nel quale le scene avventurose sono ben miscelate con altre di maggior riflessione, ricche di spunti che aiutano a non perdere di vista la tragicità dei fatti e le mille sfaccettature che essi presentano. E, proprio per questo motivo, in realtà non si tratta solo di un film d’azione (con un ritmo – volutamente – non vorticoso, ma comunque incalzante), ma di un approccio problematico a una situazione (sullo sfondo domina il conflitto palestinese) nella quale non si vedono sbocchi rapidi e pacifici. Insomma, accade quello che avveniva anche in Minority Report, nel quale le tematiche sulla libertà venivano sapientemente trasmesse e affrontate mediante un film comunque coinvolgente, che poteva anche essere visto e goduto, seppur in modo un po’ riduttivo, come semplice film d’avventura. Comunque il sapiente equilibrio del regista finirà, sostanzialmente, per non scontentare nessun pubblico – se non quello dei più estremisti. Una sola osservazione finale si impone: come in Schindler’s List, anche stavolta Spielberg indugia non poco su alcune scene particolarmente scabrose del tutto inadatte a un pubblico giovane (pen-siamo ai liceali, che potrebbero trarre beneficio dalla discussione che può essere originata da Munich): scene che sono, purtroppo, imprescindibili perni intorno ai quali ruota parte del film. Da questo punto di vista, un vero peccato.
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michele capitani
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giovedì 26 maggio 2011
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un film sul "padre"
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Questo è un film sul padre.
Chi pensa che questo sia un film politico, o sul conflitto arabo-israeliano, o sul terrorismo, o peggio sull'antisemitismo, o una spy-story, non ha capito quasi nulla, e comunque si perde il meglio: diciamo che sarebbe come leggere "Il nome della rosa" seguendo solo l'aspetto giallo delle vicende, o guardare "Schindler's list" preoccupandosi unicamente delle sorti imprenditoriali di Oskar; spero di rendere l'idea... Difatti, questo è un film sul padre: sull'esigenza di averne uno, e sul diventarlo. A guardarle così, tutto sommato le tante sequenze di bombe, sangue e intrighi sono giusto drammatici intermezzi, seppure appassionanti e sostanziosi, e narrativamente ben variati, di un discorso però parecchio più profondo e ricco di rimandi alla memoria e, appunto, al senso della paternità.
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Questo è un film sul padre.
Chi pensa che questo sia un film politico, o sul conflitto arabo-israeliano, o sul terrorismo, o peggio sull'antisemitismo, o una spy-story, non ha capito quasi nulla, e comunque si perde il meglio: diciamo che sarebbe come leggere "Il nome della rosa" seguendo solo l'aspetto giallo delle vicende, o guardare "Schindler's list" preoccupandosi unicamente delle sorti imprenditoriali di Oskar; spero di rendere l'idea... Difatti, questo è un film sul padre: sull'esigenza di averne uno, e sul diventarlo. A guardarle così, tutto sommato le tante sequenze di bombe, sangue e intrighi sono giusto drammatici intermezzi, seppure appassionanti e sostanziosi, e narrativamente ben variati, di un discorso però parecchio più profondo e ricco di rimandi alla memoria e, appunto, al senso della paternità.
Il protagonista è Avner Kaufmann (Eric Bana, convincente), giovane israeliano, sorta di "primus inter pares" di un commando ufficialmente inesistente anche per il Mossad (vi compare, tra gli altri, un accigliato Daniel Craig/Steve), incaricato di uccidere gli attentatori palestinesi di "Settembre nero" del famoso blitz alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Egli non ha avuto mai dei genitori come li intendiamo solitamente: in uno dei primi dialoghi con la moglie (Ayelet Zurer), lei gli ricorda che lui è stato abbandonato: "Sei stato messo in un kibbutz: Israele per te è tua madre". Insomma, genitori che rinunciano all'averlo come figlio, tanto che concretamente il nuovo stato di Israele con le sue istituzioni, i suoi ideali e il suo bisogno di sopravvivenza, gli ha fatto da padre (ben raffigurato da Golda Meir/Lynn Cohen, virago comandante su altri uomini). Ma lui è anche un "senza-padri" essendolo tutta la sua generazione, la prima dopo Auschwitz, perciò il fulcro simbolico di tutto il film mi sembra quel dialogo ad Atene col palestinese: Avner è un senza padre che difende la patria come tale, l'altro è un senza patria che però sa che questa verrà conquistata dai suoi figli, dato che lui stesso è padre e ne ha avuto uno a sua volta. Gli Ebrei sono un popolo senza padre in quanto scampati alla Shoah (non ancora così remota come inizia ad apparire oggi), i Palestinesi sono gli esiliati per eccellenza dalla patria.
Insomma, tutte paternità ambite ma rimpiante, violentate e monche, deficitarie, se non soppresse, e comunque insufficienti per fondare la propria identità: un padre lo si deve pretendere anche a costo, a quanto pare, di massacrare altri che hanno la stessa esigenza, e un'efficace raffigurazione di ciò è anche nel rapporto coi due informatori francesi: il "papà" preferisce Avner al proprio figlio reale Louis; ecco la lotta per il padre: sarà infatti quest'ultimo ad informare i nemici del protagonista, non il "papà" che invece, fino alla fine del film, rassicurerà Avner sulla propria protezione.
Entrambe dalla stessa radice, le parole "padre" e "patria" le considero qui, volutamente, l'uno metafora dell'altra e viceversa, visto che entrambe sono per un uomo la radice di se stesso, la provenienza in cui stare, anche materialmente: "Avete una patria in cui lottare, ecco perché voi comunisti europei non potete capire la nostra lotta" gli dice il guerrigliero palestinese ad Atene, ovviamente non sapendo la vera identità dell'interlocutore. Anzi, splendido che in quel dialogo centrale l'identità del palestinese sia esplicita, quella dell'israeliano no.
Il distacco dal padre/patria in Avner si verifica quando capisce che il suo padre altro non sa fare che richiedergli morte, e se ne accorge quando gli viene il dubbio che le vittime non fossero strettamente legate a quell'attentato, e che in fondo tutto l'odio nasce nei Palestinesi per rivendicare il loro diritto alla patria, per quanto sassosa e inospitale.
Come si esce dunque da tutto questo? In due maniere: la prima la intuisce l'artificiere del commando, Robert/Mathieu Kassovitz (il dialogo al binario): capisce che tramite la prevaricazione e il massacro reciproco del suo popolo con l'altro, gli Ebrei si stanno allontanando dal valore fondante della loro identità profonda che è Dio, "il" Padre per eccellenza. Uscire dalla logica della distruzione e dalla spirale infinita di botte e risposte (i Palestinesi uccisi vengono rimpiazzati subito da altri ancor più feroci, e questi danno a loro volta la caccia ad Avner e compagni) vuol dire allora tornare a quel Padre/identità, anche prescindendo dalla patria geografica, come poi farà il protagonista. La seconda maniera è infatti quella di Avner: se l'identità non si ottiene nemmeno adempiendo ai massacri richiesti dalla patria, padri allora si deve diventare: per lui, che verso la fine si trasferirà a New York, solo la famiglia conterà d'ora in poi, cioè sarà lui padre, e la sua identità sarà di padre e marito, un'identità legittimata dalla logica degli affetti, non della distruzione. Nella sequenza in cui ripensa al massacro all'aeroporto di Monaco, proprio mentre fa l'amore con la moglie, la feconda per la seconda volta: proprio nell'incubo di quelle morti (atleti e terroristi) che aveva generato la sua missione ad uccidere, rigenera la terra nuova in cui ora abita, e insieme la terra nuova, effettiva e simbolica, che è il ventre di sua moglie (dunque tutt'altro che una caduta spielberghiana nel sentimentalismo, come pure è stato detto in sede autorevole!).
Nella patria non più sua invece non tornerà, dato che i suoi figli (e figli di un padre certo, e non conteso da nessuno!) ne creano una in terra vergine, che non deve più subire la faida eterna di due fratelli, che si sono scordati di essere fratelli, e che non ci sanno convivere.
Solo un film tanto ebreo (regia, sceneggiatura, cast, ambientazione) poteva parlarci del "padre" con questo spessore; solo "The believer" potrebbe superarlo in profondità; magari ci torneremo prossimamente.
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frenky 90
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lunedì 23 febbraio 2009
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una corretta astensione
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Munich è un film che ha il potere di turbare e disgustare chi lo vede per la prima volta e questa, vista la natura dei temi trattati, è la sua migliore qualità. T’indigna, ti rattrista, ma al tempo stesso ti costringe alla retorica di un pensiero mai troppo ricorrente: è così difficile per gli uomini non uccidersi a vicenda? Spielberg è veramente un grande regista. E’ un peccato vederlo, di tanto in tanto, rifugiarsi in quei filmetti commerciali che saltuariamente produce ma evidentemente per lui, o per la lobby di produttori che gli sta alle calcagna, il detto del “meglio pochi ma buoni” non ha molto valore. Bisogna vedere, però, con quale maestria riproduce la tragicità degli avvenimenti e delle ripercussioni del Massacro di Monaco alle Olimpiadi estive del 1972, per mezzo di un montaggio dinamico e fuori dagli schemi e delle musiche puntuali e azzeccatissime del maestro John Williams (vedere per credere “The terminal”).
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Munich è un film che ha il potere di turbare e disgustare chi lo vede per la prima volta e questa, vista la natura dei temi trattati, è la sua migliore qualità. T’indigna, ti rattrista, ma al tempo stesso ti costringe alla retorica di un pensiero mai troppo ricorrente: è così difficile per gli uomini non uccidersi a vicenda? Spielberg è veramente un grande regista. E’ un peccato vederlo, di tanto in tanto, rifugiarsi in quei filmetti commerciali che saltuariamente produce ma evidentemente per lui, o per la lobby di produttori che gli sta alle calcagna, il detto del “meglio pochi ma buoni” non ha molto valore. Bisogna vedere, però, con quale maestria riproduce la tragicità degli avvenimenti e delle ripercussioni del Massacro di Monaco alle Olimpiadi estive del 1972, per mezzo di un montaggio dinamico e fuori dagli schemi e delle musiche puntuali e azzeccatissime del maestro John Williams (vedere per credere “The terminal”). Ma ciò che più è da lodare del “director” di origini israelite è, come hanno notato in molti con compiacenza, la totale assenza di una presa di posizione fra le ragioni di ebrei e palestinesi, il cui compimento sarebbe stato quanto mai fuori luogo nel caso specifico, nonostante gli estremi per farlo (mettetevi nei panni d’un fiero figlio del popolo della Stella di David) ci sarebbero stati tutti. Asetticità che, purtroppo e veniamo al discorso recitativo, ha trasmesso magari senza volerlo primo fra tutti all’attore protagonista Eric Bana, il cui talento sembra intravedersi solo quando si lascia andare all’interpretazione di emozioni forti. A tal proposito sono esplicative le scene dell’improvviso quanto furtivo pianto al telefono con la sua bimba, e l’urlo di raccapriccio durante la scena di sesso con la moglie tormentata dai flashback finali, che svelano solo dopo due ore in maniera visiva l’epilogo del sequestro degli atleti. Sono però al tempo stesso significative le sequenze delle uccisioni dei capi di Settembre Nero, rese dal giovane attore australiano con una quasi totale mancanza di sentimento (positivo o negativo che sia) ed espressività, le quali appaiono errate nella delineazione di un personaggio sicuramente duro come il capo della “Operazione Collera di Dio” ma al tempo stesso sensibile e non tanto abituato ad uccidere da poterlo fare con il volto disteso e la tranquillità vocale (quest’ultima anche colpa di un doppiatore italiano poco convincente, fortunatamente una rarità in senso assoluto) che si può notare nel protagonista. Poco convincente anche Daniel Craig che, per via del look più che della mimica, più che un israeliano assetato di sangue assume maggiormente i contorni di un detective da telefilm a stelle e strisce alla Starsky e Hutch tanto per intenderci. In questo caso probabilmente è una mancanza dei costumisti ma il futuro primo James Bond biondo della storia della cinematografia hollywoodiana non fa abbastanza per fare emergere il proprio personaggio. Degne di nota invece le interpretazioni del semisconosciuto attore teatrale Ciaran Hinds nella parte del più mite e pacifico agente del Mossad, e di Michael Lonsdale nei panni del “papà” dell’informatore di Bana per gli spostamenti degli obbiettivi (l’attore considerato fra i migliori interpreti francesi Mathieu Amalric) cui si deve l’elocuzione materiale della frase più bella del film: “Non è degli agili la corsa, nè dei forti la guerra, poichè il tempo e il caso raggiungono ogni uomo”. Tutto sommato, ai non facilmente impressionabili, da vedere.
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nello
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giovedì 2 febbraio 2006
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riflessione
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Film molto difficile da digerire.Lungo,verboso,psicologico e tremendamente vero.Il fatto,realmente accaduto,contribuisce a creare un senso ancora più corposo di amarezza e insicurezza.Spielberg affronta un tema antico quanto l'uomo,quello dell'odio incondizionato verso chi è diverso.Egli è culturalmente schierato,ebreo di nascita,ma nonostante questo,riesce a rimanere lucido e imparziale di fronte al mare di sangue medio orientale.Egli ricostruisce i fatti senza quella bieca ideologia di cui molti film del genere sono intrisi.Spielberg sa bene che in una situazione del genere non esistono buoni e cattivi.La sua imparzialità si vede sopratutto alla fine,quando alla missione sopravvivono solo due uomini,che rappresentano gli estremi del popolo ebraico.
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Film molto difficile da digerire.Lungo,verboso,psicologico e tremendamente vero.Il fatto,realmente accaduto,contribuisce a creare un senso ancora più corposo di amarezza e insicurezza.Spielberg affronta un tema antico quanto l'uomo,quello dell'odio incondizionato verso chi è diverso.Egli è culturalmente schierato,ebreo di nascita,ma nonostante questo,riesce a rimanere lucido e imparziale di fronte al mare di sangue medio orientale.Egli ricostruisce i fatti senza quella bieca ideologia di cui molti film del genere sono intrisi.Spielberg sa bene che in una situazione del genere non esistono buoni e cattivi.La sua imparzialità si vede sopratutto alla fine,quando alla missione sopravvivono solo due uomini,che rappresentano gli estremi del popolo ebraico.Il primo è molto riflessivo,comprensivo e privo di pregiudizi.Il secondo è un ipernazionalista fanatico che pensa solo al sangue ebreo.Nella sua ostinata mentalità assomiglia molto agli ebrei che spesso vengono rappresentati da Woody Allen;egoisti,ottusi e pieni di pregiudizi.Il primo esce di scena distrutto dentro,nauseato dal comportamento del suo stato e totalmente sfiduciato verso di esso.Il secondo esce di scena esaltato e convinto di aver agito da eroe,da difensore della sua patria.Sinceramente mi aspettavo un fil diverso,che per lo meno trattasse il tema dell,odio biunivocamente.Sono rimasto sconcertato quando,man mano che la pellicola scorreva,sempre più mi accorgevo che il film parlava solo degli ebrei,delle loro contraddizioni,dei loro estremismi e della loro solidarietà.Ciò non è un difetto,è un urlo di dolore che Spielberg emette per mostrare tutta la sua amarezza di fronte al comportamento dei suoi "fratelli".Detto questo,va riconosciuto che il film non dà giudizi stupidi,e questo è un grande merito.Spielberg sa bene che ebrei e palestinesi dovranno rendere conto alla storia di ciò che hanno fatto,e solo la storia potrà pesare le azioni dell'una e dell'altra fazione per stabilire,nella migliore delle ipotesi,quale delle due parti sarà stata la meno colpevole.
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camilla
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venerdì 6 ottobre 2006
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una speranza per un nuovo avvenire
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Monaco 1972: la narrazione di Spielberg comincia laddove è appena conclusosi l’attentato terroristico in danno degli 11 atleti olimpici israeliani. Il ritmo del racconto è serrato, e non concede spazio a valutazioni morali; alla violenza deve seguire violenza e condurre dunque all’uccisione sistematica delle menti realizzatrici dell’attentato, così come pianificato da parte servizi segreti israeliani. La vendetta è vissuta con sublimazione quasi spirituale, è un male da compiere, purché sia fatto in fretta, senza pensare, come osserva lo stesso Carl, complice e membro della piccola squadriglia di cinque uomini assoldata per le esecuzioni e capeggiata dal giovane, e ideologicamente motivato, Avner.
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Monaco 1972: la narrazione di Spielberg comincia laddove è appena conclusosi l’attentato terroristico in danno degli 11 atleti olimpici israeliani. Il ritmo del racconto è serrato, e non concede spazio a valutazioni morali; alla violenza deve seguire violenza e condurre dunque all’uccisione sistematica delle menti realizzatrici dell’attentato, così come pianificato da parte servizi segreti israeliani. La vendetta è vissuta con sublimazione quasi spirituale, è un male da compiere, purché sia fatto in fretta, senza pensare, come osserva lo stesso Carl, complice e membro della piccola squadriglia di cinque uomini assoldata per le esecuzioni e capeggiata dal giovane, e ideologicamente motivato, Avner. Il gruppo, animato da un fine -individuale e collettivo contemporaneamente- superiore, assiste apatico, senza porsi domande, allo spargimento di sangue che esso stesso sta generando.
In un clima di crescente sospetto, le menti degli improbabili killer comprendono mano a mano, ma ormai tardi, di essere divenute pedine di un gioco di cui ignorano le regole e da cui è impossibile tirarsi fuori, e coscienti dunque di ciò, con nuovo dolore, non possono fare a meno di ergersi a giudici delle loro nefande azioni, di cui ora si, sfuggono le giustificazioni: con enfatico pentimento e, quasi profeticamente, prima della sua uccisione, Robert annuncia “il sangue versato ricadrà su di noi”.
Avvolto ormai da una spirale di paranoia, Avner sente di portare con sé il dramma dell’intero popolo israeliano, ma anche il dramma, tutto personale, di chi sente ormai vacillare le ragioni del suo odio e nel contempo acquisisce consapevolezza che le violenze compiute non fermeranno il terrore. Di ciò il giovane capo ha conferma nell’incontro con il nemico-fratello palestinese che, altrettanto fanaticamente, annuncia il proseguirsi di una “lotta che ben potrà essere infinita, portata avanti dai molti figli della Palestina “.
Anche in questa occasione il narratore Spielberg, sapientemente, non prende posizione, ma concede che lentamente l’irrequietudine di Avner maturi in senso di tradimento nei confronti dell’alter ego palestinese, il quale, drammaticamente trova la morte di li a poco l’incontro, proprio sotto i suoi occhi impotenti; ma il cammino per la personale redenzione è ancora lungo, e mentre ognuno dei membri della squadriglia segue il proprio destino, il racconto prosegue lungo il dramma umano di Avner, che in un clima di psicosi, perseguitato dal proprio passato, non sa fare altro che rivivere quotidianamente l’orrore dei propri crimini.
Solo il rifiuto successivo del giovane uomo per la commissione di nuovi attentati fa venir finalmente fuori la consapevolezza maturata del male commesso, nonché il progressivo ripudio acquisito per la lotta armata come criterio risolutivo del conflitto israelo-palestinese, che, nonostante il diniego di Avner, troverà, almeno per ora, comunque nuovi militanti.
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jacopo b98
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martedì 21 aprile 2015
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un film imponente e importante,a suo modo riuscito
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Nel 1972 alle Olimpiadi di Monaco un gruppo di terroristi palestinesi prende in ostaggio e uccide 11 membri della squadra olimpica di Israele. Subito dopo gli eventi il primo ministro israeliano Golda Meir (Cohen) arruola una squadra formata da cinque persone per vendicare i morti di Monaco. I vertici del Mossad indicano 11 obiettivi sensibili per la squadra: vertici del terrorismo palestinese, in qualche modo implicati nell’attentato. Dal romanzo Vendetta di George Jonas, adattato da Tony Kushner (premio Pulitzer) e Eric Roth, Spielberg ha tratto la sua opera più complessa e ambiziosa tra quelle realizzate negli anni 2000. È un film di domande, innanzitutto, che vuole mettere in campo tante questioni tutt’altro che semplici e vuole essere in un qualche modo il film definitivo sull’eterno conflitto israelo-palestinese, proprio perché non dà ragione né a Israele né alla Palestina, ma sceglie di non schierarsi e non dare risposte, lasciandole allo spettatore.
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Nel 1972 alle Olimpiadi di Monaco un gruppo di terroristi palestinesi prende in ostaggio e uccide 11 membri della squadra olimpica di Israele. Subito dopo gli eventi il primo ministro israeliano Golda Meir (Cohen) arruola una squadra formata da cinque persone per vendicare i morti di Monaco. I vertici del Mossad indicano 11 obiettivi sensibili per la squadra: vertici del terrorismo palestinese, in qualche modo implicati nell’attentato. Dal romanzo Vendetta di George Jonas, adattato da Tony Kushner (premio Pulitzer) e Eric Roth, Spielberg ha tratto la sua opera più complessa e ambiziosa tra quelle realizzate negli anni 2000. È un film di domande, innanzitutto, che vuole mettere in campo tante questioni tutt’altro che semplici e vuole essere in un qualche modo il film definitivo sull’eterno conflitto israelo-palestinese, proprio perché non dà ragione né a Israele né alla Palestina, ma sceglie di non schierarsi e non dare risposte, lasciandole allo spettatore. Tutto questo è solo il fulcro di un film complesso e stratificato, lungo e difficile, e soprattutto coraggioso: Spielberg si è preso i suoi rischi, non possiamo negarlo. Ma con ciò Munich non riesce ad essere ciò che aspirerebbe ad essere, e molto spesso finisce per diventare un semplice film di spionaggio, avvincente, violento, girato con indubbio stile e innata maestria. Le riflessioni spesso si perdono per strada, la storia collassa su se stessa in non pochi punti, ma è innegabile che allo stesso tempo non manchino sequenze riuscite e che un film domanda come questo meriti rispetto e attenzione. In non poche scene si ha quasi l’impressione che Spielberg e la sua squadra siano visibilmente in imbarazzo con la materia trattata: è quasi come se Hollywood si stia finalmente confrontando con grandi temi e grandi domande e ne sia quasi mortificata. Fotografia di Janusz Kaminski, musica di John Williams.
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gatto
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lunedì 30 gennaio 2006
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bene qui.
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Forse ho letto il libro e visto il film a distanza troppo ravvicinata. A ogni modo non sono rimasto deluso. Il film è fatto molto bene e tratta una storia inedita. Attenzione, la vicenda narrata, legata all'antiterrorismo israeliano può essere collegata a innumerevoli fatti di attualità, però di sicuro non li identifica.
Nel libro di Jonas vengono perdippiù raccontati molti altri particolari riguardanti la missione e l'addestramento delle spie. Inoltre i fatti vengono descritti come una vendetta nei confronti di tutti gli atti terroristici (palestinesi) in generale (ed in generale di tutti i sopprusi che gli Ebrei hanno dovuto patire fin dalla Diaspora) e non propriamente quello di Monaco.
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Forse ho letto il libro e visto il film a distanza troppo ravvicinata. A ogni modo non sono rimasto deluso. Il film è fatto molto bene e tratta una storia inedita. Attenzione, la vicenda narrata, legata all'antiterrorismo israeliano può essere collegata a innumerevoli fatti di attualità, però di sicuro non li identifica.
Nel libro di Jonas vengono perdippiù raccontati molti altri particolari riguardanti la missione e l'addestramento delle spie. Inoltre i fatti vengono descritti come una vendetta nei confronti di tutti gli atti terroristici (palestinesi) in generale (ed in generale di tutti i sopprusi che gli Ebrei hanno dovuto patire fin dalla Diaspora) e non propriamente quello di Monaco. Viene infine descritto il terrorismo di quei tempi, formato da una quantità di sfaccettature: filo-sovietiche, filo-arabe, nazioneliste, sud americane e chi più ne ha + ne metta, dando l'idea di uno scenario molto più eterogeneo e addirittura più attivo (perlomeno in Europa) di quello di oggi. La cosa sconcertante è che le ragioni portate in causa da israeliani e palestinesi e che nel film vengono riassunte con la frase "la Patria è tutto" (soprattutto per chi non ce l'ha o lotta per averla e noi occidentali non potremo mai capire fino in fondo questo) sono comprensibili e GIUSTE. Lo sono a tal punto da giustificare certi mezzi ? (sia da una parte che dall'altra ?)
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(di marco)
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a.l.
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lunedì 6 febbraio 2006
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mani da macellaio, anime gentili
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Io sono uno scrittore e quindi so, diceva Pasolini, rivendicando all’artista il ruolo di coscienza degli eventi: le cronache informano, raccolgono e forniscono dati, il poeta, nelle veci di storiografo, interpreta, scava in profondità, trova nessi fra avvenimenti lontani nel tempo. Da questo punto di vista, “Munich”, film per altri versi imperfetto, è tutto tranne che fantapolitica: imprecisioni e inverosimiglianze sono innumerevoli, come ad esempio il non fare menzione di Sharon o l’attribuire un ruolo fondamentale, per giunta poco chiaro, a un fantomatico patriarca francese, tuttavia la pellicola individua, forse semplificando ma lucidamente, i sintomi delle attuali condizioni di affanno del mondo, fornisce la sua diagnosi e propone coraggiosamente una terapia, pur con una buona dose di scetticismo sulla effettiva possibilità di realizzazione.
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Io sono uno scrittore e quindi so, diceva Pasolini, rivendicando all’artista il ruolo di coscienza degli eventi: le cronache informano, raccolgono e forniscono dati, il poeta, nelle veci di storiografo, interpreta, scava in profondità, trova nessi fra avvenimenti lontani nel tempo. Da questo punto di vista, “Munich”, film per altri versi imperfetto, è tutto tranne che fantapolitica: imprecisioni e inverosimiglianze sono innumerevoli, come ad esempio il non fare menzione di Sharon o l’attribuire un ruolo fondamentale, per giunta poco chiaro, a un fantomatico patriarca francese, tuttavia la pellicola individua, forse semplificando ma lucidamente, i sintomi delle attuali condizioni di affanno del mondo, fornisce la sua diagnosi e propone coraggiosamente una terapia, pur con una buona dose di scetticismo sulla effettiva possibilità di realizzazione. La strage degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco 1972 e l’assalto alle Torri gemelle dell’11 settembre costituiscono le manifestazione più eclatanti di un dramma collettivo, i complessi motivi del quale il lungometraggio sintetizza nell’irrisolta questione mediorientale: l’allarme è suonato e sono state proprio le reazioni innescate a catena a renderne impossibile la soluzione. La questione non è tanto politica quanto etica e sviscerarla, senza retorica, significa puntare un dito accusatore, non su qualcuna in particolare delle parti in causa, bensì su un clima, di cui tutti siamo responsabili: la civiltà deve scendere a compromessi con i suoi valori per rendere giustizia ai morti incolpevoli e venir meno ai suoi principi per difendersi dal terrorismo criminale? Non si sa se la cose siano andate effettivamente cosi, è un fatto però che il sinedrio guidato da Golda Meir dicendo di sì esprime uno stato d’animo diffuso. Per questo la risposta di Spielberg è un no senza se e senza ma: sangue innocente chiama sangue innocente, i responsabili puniti vengono sostituiti con altri più feroci e una legge del taglione perenne è la strada intrapresa da un’umanità tornata alla barbarie, se il dialogo e i fondamenti del diritto vengono sopraffatti dall’ istinto di vendetta. Tornare sui propri passi è difficile, ma il riconoscimento dei propri torti è un inizio. Il gesto di contrizione spetta ai privilegiati, a coloro cioè che hanno nel loro retroterra secoli di elaborazione intellettuale: democrazia e civiltà hanno plasmato anime gentili, le lacerazioni della Storia mani da macellaio, ed è dovere morale per le une lavare le altre. La defezione di Avner, l’ex agente segreto assoldato dal governo israeliano per compiere la rappresaglia, ha cosi una scoperta funzione paradigmatica e catartica. La spy story, schematica nel delineare i caratteri dei personaggi e le loro reazioni emotive, è punteggiata da immagini palesemente simboliche: pavimenti imbrattati di sangue, inquadrature televisive sul tripudio dei palestinesi e la disperazione degli ebrei, esplosioni e squarci, bambini, tavole imbandite, le “Mille e una notte”, famiglie riunite e spezzate, un bellissimo corpo di donna sfregiato, il Wordl trade center. La scelta del giovane safra di spezzare il pane con lo straniero ne fa però un esule: l’appartenenza cieca a un popolo è prigionia, da cui si evade solo con la forza della consapevolezza, e sulla disperata cancellazione dall’orizzonte degli uni delle aspirazioni legittime degli altri “Munich” meritoriamente pone l’accento. I morti, per parafrasare Eschilo, continueranno a uccidere i vivi.
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livio
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mercoledì 13 giugno 2007
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film tosto ma messaggio pessimista
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Spielberg è un grande regista, su questo non ci piove. Un grande regista rimane tale sia quando gira film impegnati come Munich o Schiendler's list sia quando sforna filmetti da vigilia di Natale come La Guerra dei Mondi o Jurassic Park. Munich è un film tosto, che affronta un tema scottante senza però prendere le parti di nessuno. Tutti hanno ragione, nessuno ha torto. La violenza e la guerra sono l'unica via. La pace appare lontana e quasi impossibile. Messaggio pessimistico quello di Munich. Bella fotografia, attori molto bravi, soprattutto il protagonista Eric Bana. l'unica scena che non ho capito è stata l'ultima, quando Avner/Bana, mentre fa sesso con la moglie, rivede gli eventi finali all'aeroporto del sequestro degli atleti israeliani.
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Spielberg è un grande regista, su questo non ci piove. Un grande regista rimane tale sia quando gira film impegnati come Munich o Schiendler's list sia quando sforna filmetti da vigilia di Natale come La Guerra dei Mondi o Jurassic Park. Munich è un film tosto, che affronta un tema scottante senza però prendere le parti di nessuno. Tutti hanno ragione, nessuno ha torto. La violenza e la guerra sono l'unica via. La pace appare lontana e quasi impossibile. Messaggio pessimistico quello di Munich. Bella fotografia, attori molto bravi, soprattutto il protagonista Eric Bana. l'unica scena che non ho capito è stata l'ultima, quando Avner/Bana, mentre fa sesso con la moglie, rivede gli eventi finali all'aeroporto del sequestro degli atleti israeliani. Ma che voleva dire?
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[+] hai assolutamente ragione
(di bruno 95)
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