ziogiafo
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giovedì 23 febbraio 2006
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la solitudine post-vietmita ...
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ziogiafo-Taxi Driver USA 1976 - Un grande film che mette a nudo i riflessi dell'anima, le complesse problematiche della solitudine post-vietnamita, la violenta reazione individuale al degrado americano degli anni 70. La ricerca dei valori perduti, attraverso una cruenta battaglia metropolitana che il protagonista combatte con estrema brutalità. Uno straordinario De Niro, meticoloso come sempre nel suo lavoro, un perfezionista nel rappresentare questo paranoico personaggio, che si trasforma da persona pacata in un terribile giustiziere. La coppia vincente De Niro-Scorsese è esplosa proprio con questo film-denuncia che ebbe non poche critiche all'epoca ma che comunque raccolse un larghissimo consenso da quell'America disorientata e ancora scossa dalle molteplici e disperate vicissitudini dei reduci dalla guerra in Vietnam.
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ziogiafo-Taxi Driver USA 1976 - Un grande film che mette a nudo i riflessi dell'anima, le complesse problematiche della solitudine post-vietnamita, la violenta reazione individuale al degrado americano degli anni 70. La ricerca dei valori perduti, attraverso una cruenta battaglia metropolitana che il protagonista combatte con estrema brutalità. Uno straordinario De Niro, meticoloso come sempre nel suo lavoro, un perfezionista nel rappresentare questo paranoico personaggio, che si trasforma da persona pacata in un terribile giustiziere. La coppia vincente De Niro-Scorsese è esplosa proprio con questo film-denuncia che ebbe non poche critiche all'epoca ma che comunque raccolse un larghissimo consenso da quell'America disorientata e ancora scossa dalle molteplici e disperate vicissitudini dei reduci dalla guerra in Vietnam. Si racconta che in fase di lavorazione del film, De Niro abbia preso la patente di tassista e abbia praticato per un breve periodo quel mestiere per meglio compenetrarsi nel ruolo. Un giorno un ricco signore, pare che abbia riconosciuto il premio Oscar de "Il Padrino - parte II" (1974) e gli abbia rilasciato una lauta mancia, pensando che fosse ormai in declino e in bassa fortuna. Indimenticabile la colonna sonora.
Da vedere sicuramente !!!
Cordialmente, ziogiafo
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mikelangelo
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domenica 6 aprile 2008
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il padrone della notte
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Viaggia veloce il taxi di De Niro tra le strade buie e puzzolenti di New York. Metafora apocalittica dell'infinito nulla, portatore del più desolante nichilismo, Travis Bickle è un tassista che ha visto gli orrori di una guerra inutile quanto stupida, la guerra del Vietnam, che tanti registi (da Coppola a Kubrick) hanno "celebrato" nelle maniere più disparate. Travis rimane sconvolto dall'esperienza, tanto sconvolto che le sue notti insonni le trascorre interamente a guardare “film” nei cinema porno. Alla fine non ne può più. Deve trovarsi un lavoro che lo aiuti a trascorrere il tempo ozioso. Decide di diventare tassista. Passa ora le notti in giro col suo taxi. Vede lo scempio insito in una New York notturna, lercia e schifosa: puttane, magnaccia, drogati, ladri, assassini, stupratori, pazzi ecc.
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Viaggia veloce il taxi di De Niro tra le strade buie e puzzolenti di New York. Metafora apocalittica dell'infinito nulla, portatore del più desolante nichilismo, Travis Bickle è un tassista che ha visto gli orrori di una guerra inutile quanto stupida, la guerra del Vietnam, che tanti registi (da Coppola a Kubrick) hanno "celebrato" nelle maniere più disparate. Travis rimane sconvolto dall'esperienza, tanto sconvolto che le sue notti insonni le trascorre interamente a guardare “film” nei cinema porno. Alla fine non ne può più. Deve trovarsi un lavoro che lo aiuti a trascorrere il tempo ozioso. Decide di diventare tassista. Passa ora le notti in giro col suo taxi. Vede lo scempio insito in una New York notturna, lercia e schifosa: puttane, magnaccia, drogati, ladri, assassini, stupratori, pazzi ecc... Basta poco per superare i bastioni della follia, sempre meno latente nella mente di Travis. Alla fine però, accade che l'unica fiamma che manteneva in vita la sua speranza (una donna di cui si era invaghito), lo rifiuta, e Taxi Driver piomba nella follia più disperata. Non c'è più tempo. Coloro che l'hanno ridotto in quello stato devono pagare. A cominciare dal primo senatore, fino ad arrivare all'ultimo pezzente. Il rimorso sfocia nella violenza, ma la violenza sfocia nel sangue. Servono armi. Una 44 magnum potrebbe essere l'ideale visto come (a detta di un suo psicopatico cliente) riduce una donna tra le gambe. Ma una sola arma non basta, ne servono almeno tre o quattro. Acquistate le armi, bisogna cambiare aspetto, solo i mediocri non giudicano dall'apparenza. I muscoli devono essere tesi, i capelli devono essere tagliati. Alla fine della metamorfosi, il nostro tassista non è più lo stesso. Ora non ha più l'aria di essere un tipo timido e impacciato con le donne, ma un freddo ed efferato giustiziere. Da questo momento in poi, Travis Bickle intende espiare i peccati della società solo col sangue. Ne sarà d'esempio l'ultima scena, dove Scorsese rende al meglio l'idea di tutto il film. Straordinara pellicola da leggere in chiave psicanalitica, dove l'oggetto dell'indagine è un tassista (una sorta di Seafarer) che invece di navigare solo per le rotte del mare, viaggia solo per le vie di New York. Palma d’oro al Festival di Cannes del 1976. Eccellente fotografia. Bellissime musiche di Bernard Herrmann.
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danilodac
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domenica 28 marzo 2010
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taxi driver- giustizia privata
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Negli inferni urbani della “grande mela” dominano la violenza e il caos, generatori di un microcosmo malsano e alla deriva. Travis, antieroe scorsesiano per eccellenza, oppresso dal passato e dall’esperienza vissuta in Vietnam, guidando il taxì di notte se ne accorge e vuole provvedere “a modo suo”. Nei suoi viaggi notturni emerge la visione di un mondo schiacciato dalla presenza del male, dell’avidità di denaro, della paura e dell’indifferenza.
Nel narrare questa storia di solitudine e di amore (verso il prossimo) represso, Scorsese approda in un territorio che conosce come le proprie tasche, evitando qualsiasi compiacimento o sentimentalismo. Ogni buona intenzione iniziale sfocia in un’aggressività che sembra un passo obbligato in una società che non ha tempo per la comprensione e il dialogo.
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Negli inferni urbani della “grande mela” dominano la violenza e il caos, generatori di un microcosmo malsano e alla deriva. Travis, antieroe scorsesiano per eccellenza, oppresso dal passato e dall’esperienza vissuta in Vietnam, guidando il taxì di notte se ne accorge e vuole provvedere “a modo suo”. Nei suoi viaggi notturni emerge la visione di un mondo schiacciato dalla presenza del male, dell’avidità di denaro, della paura e dell’indifferenza.
Nel narrare questa storia di solitudine e di amore (verso il prossimo) represso, Scorsese approda in un territorio che conosce come le proprie tasche, evitando qualsiasi compiacimento o sentimentalismo. Ogni buona intenzione iniziale sfocia in un’aggressività che sembra un passo obbligato in una società che non ha tempo per la comprensione e il dialogo. Tutto e tutti percorrono la loro strada, seppur sbagliata.
Scritto da Paul Schrader, abituale collaboratore di Scorsese, è anche un ottimo esempio del cinema violento degli anni 70.
Girato in 35 mm (fotografia di Michael Chapman), è, dal punto di vista estetico, un’opera d’arte; un certificato che proclama il talento visivo di un autore che ha sempre considerato le immagini come la colonna portante di un film.
Eccezionali e funzionali musiche di Bernard Herrmann, celebre musicista di Hitchcock, che accompagnano momenti nostalgici o terribili, misteriosi o deliranti, non essendo mai invadenti.
Non è cosa da poco affascinare e coinvolgere lo spettatore con un personaggio principale così introverso, misterioso, sotto le righe, con soprassalti di dura violenza; Scorsese e il suo sceneggiatore ci sono riusciti. Ma anche De Niro, la sua è un’interpretazione d’antologia, ricca di sfumature, ellittica ed elusiva.
Lo sguardo attraverso cui il regista mostra e descrive New York è lucido e distaccato, con un’assidua presenza di squallide ambientazioni.
Palma d’oro al Festival di Cannes 1976.
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walter leonardi
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giovedì 26 aprile 2001
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da violenza nasce .... violenza.
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Il capolavoro di Scorsese e uno dei migliori saggi sulla violenza metropolitana della Storia del Cinema. Immaginato dal regista come un sogno (o meglio un incubo) ad occhi aperti, il film si fa ammirare ancora oggi per il suo umorismo beffardo, per come racconta l'America, attraverso uno sguardo analitico e distaccato, e per come racconta la violenza nel mondo contemporaneo, che scatena nel protagonista un istinto omicida incontrollabile che lo porta a trasformarsi in un vendicativo giustiziere.
La forza delle immagini è straordinaria. Indimenticabile De Niro davanti allo specchio ("Dici a me?") e travolgente la sequenza finale, che ci mostra tutto l'orrore della violenza. Due rivelazioni: la giovane Foster e Harvey Keitel.
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catullo
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mercoledì 10 novembre 2010
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la nascita cinematografica di de niro il grande
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Se un capolavoro è un film che dopo anni e anni conserva intatto tutto il proprio fascino e rimane attuale sul piano del linguaggio cinematografico allora "taxi driver" è un capolavoro. Nonchè una testimonianza sulla new york dei primi anni 70 e il fenomeno della violenza e il degrado morale di una parte della sua società che si riverserà nel decennio successivo anche da noi. Ciò che rimane impresso del film oltre alla fotografia magistrale è l'atmosfera angosciosa delle notti che il taxista De Niro attraversa e il sax piangente della colonna sonora che l'accompagna....l'evolversi dell'alienazione dovuta alla solitudine del moralista De Niro che da alienazione si trasforma in paranoia omicida.
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Se un capolavoro è un film che dopo anni e anni conserva intatto tutto il proprio fascino e rimane attuale sul piano del linguaggio cinematografico allora "taxi driver" è un capolavoro. Nonchè una testimonianza sulla new york dei primi anni 70 e il fenomeno della violenza e il degrado morale di una parte della sua società che si riverserà nel decennio successivo anche da noi. Ciò che rimane impresso del film oltre alla fotografia magistrale è l'atmosfera angosciosa delle notti che il taxista De Niro attraversa e il sax piangente della colonna sonora che l'accompagna....l'evolversi dell'alienazione dovuta alla solitudine del moralista De Niro che da alienazione si trasforma in paranoia omicida. Deluso e amareggiato per il fallimento della storia sentimentale abortita fin dall'inizio in De Niro nasce l'esigenza stringente di essere protagonista di un atto di giustizia e di vendetta.... fallito il tentativo dell'omicidio del politico che lo vedrebbe protagonista di un assassinio senza arte e senza parte decide di sfogare la sua carica distruttrice su coloro che sfruttano la minorenne Jodie Foster in un massacro che Scorsese ci racconta in modo magistrale e grottesco e che trasforma il taxista stragista in un'eroe giustizialista. Questo film non sarà il migliore dei film di Scorsese che ha fatto solo film bellissimi ma è quello che più rimane impresso nella mente!se non altro per il debutto di un mostro sacro che si chiama De Niro!
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dr
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lunedì 7 gennaio 2002
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una favola morale
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Taxi Driver è il film che meglio rappresenta la condizione umana senza i suoi più importanti ma sottovalutati presupposti; ovvero l'amicizia, la famiglia, l'amore o più semplicemente i rapporti interpersonali fondati sullo scambio di idee. Travis non ha nulla di tutto ciò (ha persino dimenticato i compleanni dei suoi genitori) e fa pensare ancora di più il fatto che egli sia così solo nonostante abbia tutti i beni materiali (casa, lavoro, soldi ed auto ("eppure ce l'ho anch'io il taxi" dice Travis a Betsy dopo essere stato mollato). Il lavoro di tassista e New York sono, a detta dello sceneggiatore Paul Schrader, solo due esempi per raccontare una storia che continua a riguardare ed a colpire milioni di persone ancora oggi, persone rappresentate dal meglio del cinema contemporaneo ovvero De Niro e Scorsese.
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Taxi Driver è il film che meglio rappresenta la condizione umana senza i suoi più importanti ma sottovalutati presupposti; ovvero l'amicizia, la famiglia, l'amore o più semplicemente i rapporti interpersonali fondati sullo scambio di idee. Travis non ha nulla di tutto ciò (ha persino dimenticato i compleanni dei suoi genitori) e fa pensare ancora di più il fatto che egli sia così solo nonostante abbia tutti i beni materiali (casa, lavoro, soldi ed auto ("eppure ce l'ho anch'io il taxi" dice Travis a Betsy dopo essere stato mollato). Il lavoro di tassista e New York sono, a detta dello sceneggiatore Paul Schrader, solo due esempi per raccontare una storia che continua a riguardare ed a colpire milioni di persone ancora oggi, persone rappresentate dal meglio del cinema contemporaneo ovvero De Niro e Scorsese. Per chi scrive il merito maggiore spetta però a Paul Schrader che non solo scrisse il soggetto di questo capolavoro basandosi sulla sua esperienza di uomo alla deriva (allora lasciato dalla moglie, alcolista e malato d'insonnia) ma tutta quanta la sceneggiatura compresa la descrizione dei personaggi, i dialoghi ovviamente ed addirittura le inquadrature. Il finale poi è di tremenda attualità: un uomo prima emarginato a causa della sua immagine e dei suoi gusti di uomo comune (anche la pornografia alla fine tocca un pò tutti, chi più, chi meno, ma nessuno lo ammette) viene poi eletto eroe dai mass-media dopo essere divenuto un pluri-omicida. Ma Travis rifiuta la sua nuova condizione e sa di non essere guarito: continua ad essere solo ed è nuovamente una macchina pronta ad esplodere come dimostra l'ultima inquadratura del film in cui Travis guarda nello specchietto retrovisore e vede allontanarsi Betsy con il cosiddetto "sting" di sottofondo, opera di B.Herrmann. Nei film di Hitchcock infatti (di cui Herrmann era il compositore delle musiche e di cui Scorsese era grande ammiratore) lo "sting" suonava come avvertimento prima del finale rivelatore.
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tony montana
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venerdì 24 dicembre 2010
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un autentico ritratto noir
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Travis Bickle, reduce del Vietnam, e tassista nella città di New York, dopo una relazione andata a male con la bella Betsy, solo, alienato, sessualmente frustrato e ossessionato dalla pornografia e dalla violenza che vede in giro, si improvvisa giustiziere di strada, diventando così un eroe da prima pagina.
«La solitudine mi ha perseguitato per tutta la vita. Dappertutto. Nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi… dappertutto. Non c’è scampo, sono nato per essere solo». Sono questi i pensieri che attraversano la mente di Travis Bickle mentre, al volante del suo taxi, osserva stranito la New York che lo circonda: di nuovo immersa nella notte, con i marciapiedi nuovamente solcati da individui rispetto ai quali egli non può che sentirsi alieno.
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Travis Bickle, reduce del Vietnam, e tassista nella città di New York, dopo una relazione andata a male con la bella Betsy, solo, alienato, sessualmente frustrato e ossessionato dalla pornografia e dalla violenza che vede in giro, si improvvisa giustiziere di strada, diventando così un eroe da prima pagina.
«La solitudine mi ha perseguitato per tutta la vita. Dappertutto. Nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi… dappertutto. Non c’è scampo, sono nato per essere solo». Sono questi i pensieri che attraversano la mente di Travis Bickle mentre, al volante del suo taxi, osserva stranito la New York che lo circonda: di nuovo immersa nella notte, con i marciapiedi nuovamente solcati da individui rispetto ai quali egli non può che sentirsi alieno. Siano essi feccia come assassini e spacciatori, oppure figure celestiali come la bella Betsy, non fa molta differenza. Non vi è persona con cui sia possibile “comunicare”, per Travis; non vi è nessuno che comprenda – tenti di comprendere – il suo “linguaggio”, nessun’anima gentile che possa lenire il suo disagio. Ogni tentativo di “apertura” viene mortificato, vanificato dall’altrui incapacità di capire e, quando occorre, tollerare personalità più ‘complesse’ della propria. Travis non si sente – non è – parte del mondo che lo circonda. Il mondo che lo circonda è “altro” da lui. Ed è un mondo troppo sporco per viverci. Tutto questo è Taxi Driver: uno dei rarissimi film in grado di mostrare davvero (pur nella sua marcata connotazione violenta) che cosa significhi sentirsi individualità corporalmente e spiritualmente isolate rispetto alla comunità di cui si è parte ogni giorno, e soprattutto come questo male esistenziale (perché di male si tratta) possa arrivare a corrodere l’animo dell’individuo dallo stesso afflitto sino a farlo sragionare, specie laddove l’individuo in questione è già tendenzialmente instabile, non estraneo a sofferenza psicofisica e privo dei più basilari contatti affettivi. Una tematica, quella appena descritta, probabilmente molto più attuale oggi di quanto non lo fosse a metà degli anni Settanta, dal momento che la depressione (per quanto nel film associata ad una psiche già labile) è riconosciuta a tutti gli effetti come uno dei grandi mali dei giorni nostri. E’ forse anche per questo motivo che Taxi Driver riesce a raccontarsi oggi con la stessa eloquenza di allora, conservando inalterata quella capacità di scuotere la persona dal suo torpore, così come il regista Martin Scorsese e il fido sceneggiatore Paul Schrader desideravano potesse accadere (ed è accaduto) già nel 1976.
Un cult-movie quanto mai degno di tale denominazione, capace di tracciare con estrema efficacia la mappa psicologica del personaggio borderline per eccellenza del cinema di ogni tempo, un personaggio unico, letteralmente portato in vita da un Robert De Niro di allucinante bravura. Una regia lucida, pulita, quella di Scorsese, la cui maestria è ben visibile nel finale di pellicola (ma sono molte le finezze rintracciabili lungo tutta la sua durata), un finale in cui si denotano gli elementi tecnico-registici che andranno fortificandosi nei futuri lavori del cineasta newyorchese. Grandioso il “sotto-finale”, forte di un crescendo drammatico tale da distaccarsi nettamente da tutto ciò che ci era stato mostrato precedentemente; splendido il moto riflessivo con cui la cinepresa ripercorre a ritroso la scia di morte lasciata da Travis nel corso della sua missione di purificazione, un moto sorretto come meglio non si potrebbe dalle musiche ossessive di Bernard Herrmann, che in questo frangente abbandona il suono malinconico del sassofono le cui note avevano in precedenza accompagnato atmosfere ben più rilassate. Il finale vero e proprio è enigmatico e favorisce una duplice interpretazione. Le ultime scene mostranodi fatto “ciò che accade poi” (riflettendo attentamente su cosa sia lecito aspettarsi dal protagonista in un ipotetico futuro) o forse rappresentano gli ultimi pensieri di un Travis agonizzante? Il dibattito è ancora aperto.
Poco importa. Ciò che conta è il’substrato’ di questa storia, ed è tutto in quel monologo recitato (improvvisato) da De Niro davanti allo specchio. «Ma dici a me? Ma dici a me? Non ci sono che io qui…». Se la prima parte della frase (il famoso «you talkin’ to me?») è il frammento più citato di una delle battute più celebri della nostra memoria cinematografica, quel «non ci sono che io qui» è la vera essenza di Taxi Driver: parole lapidarie che nel contesto di una scena allucinata svelano tutta la frustrazione di cui è preda il personaggio e la sua vena di follia, una follia latente che però non si autoalimenta, bensì viene accresciuta dalle brutture e dall’insensibilità del mondo. Anche per questo, Taxi Driver non è solo il crudo spaccato di un’epoca circoscritta, ma un ritratto sempre attuale, sempre vivo. Perché, come recita la tagline del film: in ogni strada, in ogni città, c’è sempre un nessuno che sogna di essere qualcuno.
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adriano sgarrino
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martedì 20 ottobre 2009
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taxi driver
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Paese di prod.: USA Anno: 1976 Di: Martin Scorsese Con: Robert De Niro, Jodie Foster, Cybill Shepherd, Harvey Keitel, Peter Boyle, Leonard Harris, Albert Brooks, Joe Spinell, Martin Scorsese. New York: Travis Bickle, reduce del Vietnam, chiede e ottiene di fare il taxista di notte, poiché non riesce a dormire soffrendo egli di insonnia. Profondamente disgustato dall'ambiente urbano (spacciatori, drogati, sfruttatori, prostitute in tenera età, ecc.) decide di salvare dal marciapiede una ragazzina (Foster), anche a costo di compiere una carneficina. Dopo "Mean Streets" del 1973 (con in mezzo "Alice non abita più qui" del 1975), un altro capolavoro di Scorsese ed un'istantanea altrettanto sincera e partecipata dei reietti di New York, magnificamente sceneggiata da Paul Schrader.
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Paese di prod.: USA Anno: 1976 Di: Martin Scorsese Con: Robert De Niro, Jodie Foster, Cybill Shepherd, Harvey Keitel, Peter Boyle, Leonard Harris, Albert Brooks, Joe Spinell, Martin Scorsese. New York: Travis Bickle, reduce del Vietnam, chiede e ottiene di fare il taxista di notte, poiché non riesce a dormire soffrendo egli di insonnia. Profondamente disgustato dall'ambiente urbano (spacciatori, drogati, sfruttatori, prostitute in tenera età, ecc.) decide di salvare dal marciapiede una ragazzina (Foster), anche a costo di compiere una carneficina. Dopo "Mean Streets" del 1973 (con in mezzo "Alice non abita più qui" del 1975), un altro capolavoro di Scorsese ed un'istantanea altrettanto sincera e partecipata dei reietti di New York, magnificamente sceneggiata da Paul Schrader. "Taxi Driver" è il ritratto disperato di un "loser" che si impegna in ogni modo per integrarsi nella società, ma che non vi riesce perché si sente fondamentalmente estraneo a tutto ciò che lo circonda (di grande efficacia l'uso della voce off che scandisce con precisione gli stati d'animo del protagonista, come quando dice: "La solitudine mi perseguita [...]. Sono nato per essere solo"). Precisamente a causa di questa ineludibile discrasia tra la voglia di agire di Travis e la contemporanea impossibilità a soddisfare tale esigenza (indimenticabile la conversazione tra Travis ed il suo collega di lavoro [Boyle], in cui Travis dice stentatamente che "deve" fare qualcosa ma neanche lui stesso sa di preciso "cosa" fare), alberga in sé un impulso di cambiamento che diviene a mano a mano un potente detonatore, pronto a cercare in un obiettivo più o meno meditato il capro espiatorio per la sua inquieta insoddisfazione e perenne condizione di non-integrato. Travis, in altre parole, non decide di ripulire la città perché nobile d'animo (in fondo diventa pur sempre un assassino) ma perché vuole riscattare la propria esistenza dal grigio immobilismo a cui è condannata: ripulendo le strade, Travis crede intimamente di "ripulire" anzitutto se stesso. Moltissime le sequenze memorabili, tra cui: Travis che nel suo appartamento fa le "prove generali" dell'assassinio del politico Palantine, la sua scenata di rabbia alla donna (Shepherd) con cui aveva iniziato una frequentazione poi subito naufragata, il suo look a "cresta di gallo" che non passa certo inosservato tra la folla. Straordinaria performance di De Niro in una delle parti più riuscite della sua inimitabile carriera, ma anche il resto del cast è all'altezza. Grandissime la fotografia notturna di Michael Chapman e le musiche di Bernard Herrmann, qui al suo ultimo lavoro per il cinema. Martin Scorsese è l'uomo che si fa accompagnare in taxi a vedere la moglie che lo tradisce. Palma d'oro a Cannes come miglior film.
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il cinefilo
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mercoledì 28 luglio 2010
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la disumanizzazione secondo martin scorsese
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TRAMA: Il tassista di New York Travis Bickle(Robert De Niro)ossessionato dalle mille "perversità" che egli ritiene lo circondano impazzisce e,per aiutare una giovane ragazza compie un massacro...COMMENTO: Martin Scorsese firma una delle opere cinematografiche più "rappresentative" degli anni settanta e il cui "perno tematico" sembra risiedere sulla drammaticità della "brutalizzazione" dell'animo umano.
Il regista descrive una società allo sbando(e di cui la prostituzione,la droga e la politica sono le principali argomentazioni)e,attraverso le bellissime sequenze notturne del taxi che attraversa le strade di New York,egli riesce a fare coincidere le mille luci e le svariate ombre dei bassifondi con i vari aspetti della personalità del attore principale il quale è interpretato da un Robert De Niro in uno dei punti più alti della sua carriera di attore.
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TRAMA: Il tassista di New York Travis Bickle(Robert De Niro)ossessionato dalle mille "perversità" che egli ritiene lo circondano impazzisce e,per aiutare una giovane ragazza compie un massacro...COMMENTO: Martin Scorsese firma una delle opere cinematografiche più "rappresentative" degli anni settanta e il cui "perno tematico" sembra risiedere sulla drammaticità della "brutalizzazione" dell'animo umano.
Il regista descrive una società allo sbando(e di cui la prostituzione,la droga e la politica sono le principali argomentazioni)e,attraverso le bellissime sequenze notturne del taxi che attraversa le strade di New York,egli riesce a fare coincidere le mille luci e le svariate ombre dei bassifondi con i vari aspetti della personalità del attore principale il quale è interpretato da un Robert De Niro in uno dei punti più alti della sua carriera di attore.
La profonda caratterizzazione psicologica del protagonista si può definire il punto centrale dell'intero impianto narrativo e senza il quale il film non riuscirebbe proprio a esistere in quanto ogni avvenimento e ogni personaggio "ruotano" intorno all'esistenza di Travis Bickle scatenandone involontariamente la furia vendicatrice.
Questa pietra miliare del cinema americano può vantare anche l'ultima mitica colonna sonora di Bernard Hermann che,in passato,è stato l'ideatore della leggendaria musica del film PSYCO di Alfred Hitchcock.
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mr.619
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domenica 4 luglio 2010
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fatiscenza ritratta nella sua storica lisciviosità
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Pellicola sfuocata e simbolicamente decerebrata, è facilmente ritenibile il capolavoro, per antonomasia e fama, del regista italo-americano Martin Scorsese.In questo film, che inquadra nell'arco della sua lunga durata un'epoca, un tempo, un "American way of life" pregiatamente corrispondente agli anni '70, era in cui in città come New York era estremamente opportuno e alquanto interessante osservare, alla stregua di antropologi e sociologi esploratori delle fenomenologie dell'animo umano ( in addizione ai loro corrispettivi rifacimenti nella vita giornaliera e lavorativa), questa molteplicità, caos, disordine di forme conturbabnti, messe in moto da un filo al quale sono terribilmente (!) legati (come delle marionette), e vedere, un pò come disse Epicuro nella sua introduzione al "De rerum natura", dalla propria posizione di sicurezza (in questo caso di instabilità patologica e affettiva) il resto dell'umanità ( sia ben chiaro, non società) andare terribilmente alla deriva.
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Pellicola sfuocata e simbolicamente decerebrata, è facilmente ritenibile il capolavoro, per antonomasia e fama, del regista italo-americano Martin Scorsese.In questo film, che inquadra nell'arco della sua lunga durata un'epoca, un tempo, un "American way of life" pregiatamente corrispondente agli anni '70, era in cui in città come New York era estremamente opportuno e alquanto interessante osservare, alla stregua di antropologi e sociologi esploratori delle fenomenologie dell'animo umano ( in addizione ai loro corrispettivi rifacimenti nella vita giornaliera e lavorativa), questa molteplicità, caos, disordine di forme conturbabnti, messe in moto da un filo al quale sono terribilmente (!) legati (come delle marionette), e vedere, un pò come disse Epicuro nella sua introduzione al "De rerum natura", dalla propria posizione di sicurezza (in questo caso di instabilità patologica e affettiva) il resto dell'umanità ( sia ben chiaro, non società) andare terribilmente alla deriva.Il taxista Travis Bickle è la metafora per la stanchezza, la noia, la disillusione e l'indelebile onta di fatica e sofferenza, e quindi solitudine, che tutti gli uomini recano con sè al loro interno, sebbene non lo diano mai a mostrare ( gli altri non comprenderebbero).Il suo stesso rivoltarsi, la sua magniloquente metamorfosi è indizio di un dilaniatissimo "status" dell'Io afflitto, che, mediante il cambiamento in quelle che sono le "formae animi" offerte dalla società, diviene suo artefice e sacrificatore carnale, e, in definitiva, capro espiatorio e "bonus casus belli".L'omologazione è anticipazione dellla reminiscenza sensitiva ( il diario).Per quanto riguarda il lato tecnico, non ho mai visto una fotografia così incantevole ed oleografica come quella curata con amore dal direttore MIchael Chapman: la scena iniziale è veramente totalizzante e , al contempo, estemporaneamente pacificante.Capolavoro.
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