paola di giuseppe
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venerdì 26 novembre 2010
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“la mia unica ambizione è dominarti”
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Hugo Barrett, uno splendido Bogarde,è the Servant.Siamo a Londra,lontani,ma non troppo,i tempi dei processi a Oscar Wilde,è palpabile quel sottile disagio che impone di reprimere inconfessabili pulsioni in gesti compassati,la comunicazione verbale in formulari rigidi,la gestualità in spazi claustrofobici,il fluire delle scene in specchi bloccati dentro cornici barocche.
E’ un ordine mentale che si riflette in un ordine sociale,il ribaltamento di quest’ordine non produce la risata liberatoria della commedia.
Qui il gioco è al massacro,il vincitore ha diritto di vita o di morte sul vinto,chi era servo prima sarà poi lui a schiacciarti,basta solo che sia capace di arrivare fino in fondo. Barrett il raffinato proletario, riesce.
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Hugo Barrett, uno splendido Bogarde,è the Servant.Siamo a Londra,lontani,ma non troppo,i tempi dei processi a Oscar Wilde,è palpabile quel sottile disagio che impone di reprimere inconfessabili pulsioni in gesti compassati,la comunicazione verbale in formulari rigidi,la gestualità in spazi claustrofobici,il fluire delle scene in specchi bloccati dentro cornici barocche.
E’ un ordine mentale che si riflette in un ordine sociale,il ribaltamento di quest’ordine non produce la risata liberatoria della commedia.
Qui il gioco è al massacro,il vincitore ha diritto di vita o di morte sul vinto,chi era servo prima sarà poi lui a schiacciarti,basta solo che sia capace di arrivare fino in fondo. Barrett il raffinato proletario, riesce.
E’ evidente fin dalla prima scena chi sarà il vincitore,Losey e il suo grande fotografo Douglas Slocombe usano con maestria movimenti di macchina, giochi di luci e ombre,bianco e nero.Tutto è fatto percepire a fior di pelle, sembra un racconto ma non lo è, in realtà non succede nulla,eppure per 116 minuti abbiamo la sensazione continua che stia per accadere qualcosa di tremendo. Dal romanzo di Robin Maugham,sceneggiato da Harold Pinter,tutto si concentra lungo i tre piani di una casa-feticcio, straniante e alienante come si conviene ad un’abitazione di buona borghesia o nobiltà in declino di un’Inghilterra tra gli anni ‘50 e ‘60, dove arriva Losey in fuga dal maccartismo degli States e trova che si può licenziare dal lavoro qualcuno per omosessualità.Tony e Barrett, Vera e Susan mettono in scena un gioco delle parti in cui,con movimento circolare e progressivo,queste si ribaltano,e il dominus diventerà il servus,le donne resteranno figure-spalla,importanti per segnare tappe successive e inserire uno dei due assi dell’azione,la logica sessuale come meccanismo di gestione del potere,ma l’asse centrale resta il potere fine a sé stesso,e questo finisce tutto nelle mani di Barrett.
"La mia sola ambizione è servirti",dice Barrett a Tony.Partendo da questa specie di ossimoro,Barrett condurrà il gioco fino al limite estremo,là dove i due termini si conciliano e potrebbe dire,ma non ce n’è più bisogno, “La mia unica ambizione è dominarti”.La rappresentazione di psicologie a rischio in un luogo bloccato, uno dei tratti distintivi del Losey migliore, qui trova la sua espressione più lucida e immaginifica, Barrett s’insinua nella vita di Tony con una maschera perfetta, tanto quanto è perfetta la maschera di un film che sembra ancorato alla realtà,indugia con minuzia su oggetti tangibili di una quotidianità rassicurante, ma si svolge tutto nell’involucro mentale dei personaggi,di cui seguiamo le evoluzioni come se fossero reali,salvo chiederci, alla fine, chi siano veramente, di dove vengano, che progetti abbiano.
Nulla,solo epifanie improvvise per dar corpo a metafore,violenti rapporti di classe, tensione erotica uomo/uomo che si riproduce e si autocompensa, rimossa, in quella uomo/donna.
Alla fine ci rendiamo conto di aver vissuto l’esperienza straniante di uno spazio claustrofobico,intorno al quale lo spazio esterno è solo un pretesto descrittivo,gli alberi scheletriti della strada lo avvolgono come una ragnatela,tutto è succube di quello che accade dentro, dove la macchina si muove agile, sottraendo fisicità ai corpi e assegnando loro i caratteri propri di un incubo.
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parsifal
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martedì 28 gennaio 2020
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gioco di potere e lotta di classe
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Harold Pinter, insigne drammaturgo del '900, nel 1963 scrisse la sceneggiatura di questo film, tratto dal romanzo di R.Maughan, dando alla pellicola la sua personalissima ed evidente impronta narrativa. La vicenda si svolge a Londra, le scene sono girate quasi esclusivamente in interni, nell'appartamento del protagonista Lord T.Mounset ( J.Foxx) , un giovane aristocratico inglese , viziato e privo di spina dorsale, con una forte inclinazione ai vizi, in particolar modo all'alcool e molto sensibile al fascino femminile. Conduce un'esistenza privilegiata, ma priva di una direzione degna di tale nome, per lui esistono solo i piaceri terreni, che può degustare ogni qualvolta ne abbia voglia,in virtù del suo cospicuo patrimonio.
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Harold Pinter, insigne drammaturgo del '900, nel 1963 scrisse la sceneggiatura di questo film, tratto dal romanzo di R.Maughan, dando alla pellicola la sua personalissima ed evidente impronta narrativa. La vicenda si svolge a Londra, le scene sono girate quasi esclusivamente in interni, nell'appartamento del protagonista Lord T.Mounset ( J.Foxx) , un giovane aristocratico inglese , viziato e privo di spina dorsale, con una forte inclinazione ai vizi, in particolar modo all'alcool e molto sensibile al fascino femminile. Conduce un'esistenza privilegiata, ma priva di una direzione degna di tale nome, per lui esistono solo i piaceri terreni, che può degustare ogni qualvolta ne abbia voglia,in virtù del suo cospicuo patrimonio. Entra all'improvviso nella sua vita Hugo Barrett, un impeccabile Dirk Bogarde , che riproporrà tale ruolo, anni più tardi nel capolavoro di L.Cavani " Il Portiere di notte" con il quale la narrazione presenta notevoli analogie. Hugo è un cameriere d'alto rango, scrupoloso e zelante...Ma solo all'apparenza. In realtà si insinua lentamente ed inesorabilmente nella vita del giovane, per carpirne tutti i segreti, le relazioni più intime, catturando i suoi pensieri più nascosti e i suoi desideri inconfessati. Da abile manipolatore quale si rivela nel corso della vicenda, Hugo compromette inizialmente il difficile rapporto di coppia tra Tony e la sua fidanzata , per poi fare in modo di affiancargli ( non senza un secondo fine) una ragazza che lui stesso presenta come sorella...Ma la vicenda avrà dei risvolti inaspettati, colpi di scena e ribaltamenti narrativi di certo non mancano, come è nello stile dello sceneggiatore. L'uso di soggettive dal basso, unite ad un diffuso e reiterato uso del grandangolo, rendono la vicenda maggiormente densa di tensione. IL gioco di Hugo è quello di dominare incontrastato sulla vita del suo apparente padrone, senza scrupoli nè pietà e Bogarde dimostra di essere l'interprete ideale per tale ruolo. L'impianto narrativo è squisitamente teatrale , così come le scenografie. Si cammina su un filo invisibile di tensione misto a scherno , durante tutto il corso della narrazione.
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breberto
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lunedì 28 luglio 2008
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il capolavoro di losey
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Fa parte di quel ristrettro gruppo di film che si possono e si debbono vedere a ogni manciata di anni sempre con piacere e rinnovata ammirazione. I motivi? La metafora dei rapporti di classe è attuata lucidamente attraverso la storia devastante del padrone e del servo i cui rapporti finiscono per invertirsi in un gioco psicologico al massacro che raggiunge momenti di grande tensione e crudeltà : un discorso lucidissmo che raggiunge il suo scopo (mostrare la crisi di una classe, quella borghese, che ha perso il suo prestigio morale di un tempo e la dialettica servo-padrone in cui non c'è un vero vincitore, anche se il padrone viene ridotto a una larva) senza nessun pistolotto sociologico. Il dialogo è invece controllatissimo e si avverte la mano del finissimo drammaturgo e sceneggiatore Pinter che è sempre alieno da qualsiasi sbavatura.
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Fa parte di quel ristrettro gruppo di film che si possono e si debbono vedere a ogni manciata di anni sempre con piacere e rinnovata ammirazione. I motivi? La metafora dei rapporti di classe è attuata lucidamente attraverso la storia devastante del padrone e del servo i cui rapporti finiscono per invertirsi in un gioco psicologico al massacro che raggiunge momenti di grande tensione e crudeltà : un discorso lucidissmo che raggiunge il suo scopo (mostrare la crisi di una classe, quella borghese, che ha perso il suo prestigio morale di un tempo e la dialettica servo-padrone in cui non c'è un vero vincitore, anche se il padrone viene ridotto a una larva) senza nessun pistolotto sociologico. Il dialogo è invece controllatissimo e si avverte la mano del finissimo drammaturgo e sceneggiatore Pinter che è sempre alieno da qualsiasi sbavatura. I due interpeti principali sono semplicemente formidabili, guidati benissimo: si è soliti lodare - giuustamente - Bogarde, ma penso che non sia da meno l'apporto del giovane James Fox, fra l'altro perfetto fisicamente. La regia è sorvegliatissima, così come i movimenti di macchina e l'uso esaltante della profondità di campo in quella casa a tre piani che è la vera protagonista del film, come una creatura umana. Molto viene detto, ma molto viene anche sapientemente suggerito - il latente rapporto omosessuale fra servo-padrone- in un groviglio di sentimenti e personaggi ambigui (ci sono anche le due donne che completano il gioco al massacro dei due protagonisti)che qualche anima bella a suo tempo potrà aver trovato scostante, ma che è uno dei pregi del film, della sua coerenza, della sua modernità, della sua ormai raggiunta 'classicità'. Una sola lieve pecca nella sceneggiatura, a mio parere: la sequenza nella ricca casa della fidanzata del padrone, che mi è sembrata troppo caricaturale nella rappresentazione dei due genitori.
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fabal
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domenica 5 gennaio 2014
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i capisaldi di pinter. a fianco dell'ottimo losey
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Un ragazzotto della ricca borghesia londinese, Tony, rimette a nuovo la casa: necessita anche di un nuovo maggiordomo. L'ambiguo Hugo si fa assumere e si dimostra da subito meticoloso e attento: le sue eccessive premure verso il padrone - come l'impedirgli di tenere piante in camera perché fanno male alla salute - sono indigeste a Susan, fidanzata di Tony, che da subito non nutre alcuna simpatia per il nuovo domestico.
Inizia nel '63 il sodalizio di Losey con Harold Pinter, con il quale lavorerà fino al 1971 con i successivi The accident e The Go- Between. La mano dell'autore teatrale si vede soprattutto per le implicazioni olistiche racchiuse nei dialoghi frontali: scontato soffermarsi sul capovolgimento della dialettica servo - signore con le relative letture post hegeliane.
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Un ragazzotto della ricca borghesia londinese, Tony, rimette a nuovo la casa: necessita anche di un nuovo maggiordomo. L'ambiguo Hugo si fa assumere e si dimostra da subito meticoloso e attento: le sue eccessive premure verso il padrone - come l'impedirgli di tenere piante in camera perché fanno male alla salute - sono indigeste a Susan, fidanzata di Tony, che da subito non nutre alcuna simpatia per il nuovo domestico.
Inizia nel '63 il sodalizio di Losey con Harold Pinter, con il quale lavorerà fino al 1971 con i successivi The accident e The Go- Between. La mano dell'autore teatrale si vede soprattutto per le implicazioni olistiche racchiuse nei dialoghi frontali: scontato soffermarsi sul capovolgimento della dialettica servo - signore con le relative letture post hegeliane. Meno lo è il tema della dominazione, della sfida quasi scacchistica del gatto contro un topo che non sa di esserlo. E' un vecchio cruccio di Pinter, al quale vanno ad aggiungersi la pacatezza di un amore omosessuale solo ipotetico e l'ambiguità dei legami interpersonali, specie con le donne. Non deve certo stupire che proprio Pinter abbia rivisitato la sceneggiatura di Sleuth (2007) con questi rodatissimi capisaldi.
Ne Il servo, inoltre, alla sceneggiatura si affiancano fotografia e regia impeccabili, in cui profondità di campo e primissimi piani esasperano la bravura degli interpreti in uno spazio scenico non troppo arioso, non troppo soffocante. Geniale comunque l'esasperazione dei particolari, sia per esercizio di stile, come i riflessi nello specchio convesso (a tributo del dipinto I coniugi Arnolfini), sia per il simbolismo degli oggetti, come il pendolo dell'ultima scena. Utile a correggere, con una metafora visiva, un finale di forte crudezza e debole verosimiglianza, con eccessi comunque perdonabili.
Lodevoli non solo gli inquietanti occhi di Bogarde, ma anche quelli della finta ingenua Vera (Sarah Miles).
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