sergio rizzitiello
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domenica 31 agosto 2008
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meraviglioso
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C’è un film, un capolavoro, che taglia di netto la distanza abissale che passa tra commiserazione sterile, se non sadica, e amore: “Anna dei miracoli” del 1962 con regia di Arthur Penn e interpretato da Anne Bancroft e Patty Duke.
Questo film che è per me tra i film più belli, intensi, educativi, istruttivi, commoventi che abbia mai visto, riprende una vicenda reale narrata da una insegnante (Sullivan), di una bambina sordomuta (Ellen Keller).
La bambina era tenuta dai genitori in uno stato di passività protettiva, dove si accontentava ogni suo pur minimo capriccio.
L’amore era in realtà commiserazione, la bambina cresceva ma non come donna bensì come un “grazioso” animaletto.
Il compito dell’insegnante Sullivan è proprio quello di risollevarla dallo stato di ferinità a quello umano dovendo lottare però contro la dorata gabbia compassionevole che i genitori le avevano costruito intorno, tanto che la bambina ne era ormai prigioniera-gratificata.
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C’è un film, un capolavoro, che taglia di netto la distanza abissale che passa tra commiserazione sterile, se non sadica, e amore: “Anna dei miracoli” del 1962 con regia di Arthur Penn e interpretato da Anne Bancroft e Patty Duke.
Questo film che è per me tra i film più belli, intensi, educativi, istruttivi, commoventi che abbia mai visto, riprende una vicenda reale narrata da una insegnante (Sullivan), di una bambina sordomuta (Ellen Keller).
La bambina era tenuta dai genitori in uno stato di passività protettiva, dove si accontentava ogni suo pur minimo capriccio.
L’amore era in realtà commiserazione, la bambina cresceva ma non come donna bensì come un “grazioso” animaletto.
Il compito dell’insegnante Sullivan è proprio quello di risollevarla dallo stato di ferinità a quello umano dovendo lottare però contro la dorata gabbia compassionevole che i genitori le avevano costruito intorno, tanto che la bambina ne era ormai prigioniera-gratificata.
La lotta è durissima, ma l’insegnante con forza riesce ad imporre un altro punto di vista, per primo ai genitori e poi alla stessa bambina, la quale lentamente sente quello sforzo non più come un’invasione arbitraria ma come l’unica e vera espressione di amore capace di condurla alla sua realizzazione.
Il film è epico nel raccontare questo passaggio e quando la bambina si “sveglia dal suo torpore” e s’innalza dal mero vivere vegetativo al mondo dei significati, vi è un’esplosione emotiva raramente raggiunta in un film.
La bambina correva felice, ad ogni oggetto dava un nome e ogni nome era lo svelamento di un universo simbolico.
Il compito dell’insegnante si conclude, i genitori, a loro volta educati, hanno ora veramente una figlia d’amare.
La scena finale è meravigliosa: l’insegnante sta preparandosi per la partenza, entra nella sua stanza la bambina, si mette sulle sue ginocchia e così, con muta intensità, esprime la sua infinita gratitudine.
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tremendamente
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domenica 15 settembre 2013
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dai piccoli gesti ..al film!
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Oltre ad essere un capolavoro e un film di alto spessore morale, Anna dei miracoli è una storia che va oltre le aspettative. Scompiglia le regole della cinematografia parlando con toni limpidi dell’infanzia di una bambina sordo-cieca dalla nascita, di nome Hellen. Cresce, all’insegna dei capricci e della disobbedienza, pasciuta da una famiglia che la vizia e la tratta come una bambina malata. Infatti, l’idea di volerla trasferire in un manicomio sfiora la mente dei genitori. Viene chiamata un’educatrice, tale Annie Sullivan, interpretata magnificamente da Anne Bancroft, la futura Miss.
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Oltre ad essere un capolavoro e un film di alto spessore morale, Anna dei miracoli è una storia che va oltre le aspettative. Scompiglia le regole della cinematografia parlando con toni limpidi dell’infanzia di una bambina sordo-cieca dalla nascita, di nome Hellen. Cresce, all’insegna dei capricci e della disobbedienza, pasciuta da una famiglia che la vizia e la tratta come una bambina malata. Infatti, l’idea di volerla trasferire in un manicomio sfiora la mente dei genitori. Viene chiamata un’educatrice, tale Annie Sullivan, interpretata magnificamente da Anne Bancroft, la futura Miss. Robinson de “Il Laureato”, che da Boston si trasferisce a casa Keller.
Anche la sua infanzia è segnata da dolori e sofferenze ma proprio questo ha forgiato il suo carattere e le ha permesso di passare dalla condizione di allieva a quella di insegnante. Ed è con la forza e la determinazione acquisita con gli anni che Annie dedica corpo e anima nell’insegnare a Hellen qualcosa del mondo che la circonda. Ma la bambina, pur dimostrando furbizia ed un’intelligenza superiore, non vuole obbedire. Famosa e di particolare impatto emotivo è la scena del cibo, in cui l’educatrice le impone, dopo aver messo sotto sopra la sala da pranzo e aver ricevuto un paio di schiaffi, di mangiare seduta, con il tovagliolo aperto al collo e il cucchiaio. Ma la forza e, a volte, la violenza con cui viene trattata Hellen indispone i genitori che tentano di licenziare la governante. Ma le aspirazioni della giovane insegnante sono più alte: la parola. La parola come comprensione e non solo come segno e gioco delle dita, ma come unico mezzo possibile per capire cosa lega un oggetto al suo nome. e poter interagire con la società. La pellicola, in un nitidissimo bianco e nero, uscì nel 1962 e fu un grande successo. I piccoli gesti che giorno dopo giorno si susseguono e le parole insegnate e comprese e i modi, ogni giorno più mansueti, sono la prova che il metodo di Annie non è sbagliato.
La metacomunicazione con cui Hellen si esprime emana il grande senso pedagogico ed evolutivo di un personaggio così ben caratterizzato. Lo stesso vale per Annie per cui un solo gioco con le dita possa divenire un modo di “vedere”, una parabola per arrivare alla comunicazione. Inoltre, è evidente che si tratta di una pellicola di cinquanta anni fa, in cui un caso del genere è amplificato esageratamente: da una parte i movimenti della bambina, irreali, dall’altra l’utilizzo di metodi che, ai giorni d’oggi, non sarebbero accettabili. Una Mary Poppins degli ipovedenti, di una mimica sconvolgente, è il cuore pulsante di un film che non racconta solo una biografia ma è una biografia che diventa un film: nonostante la trama sia centrata semplicemente nelle figure di Annie e Hellen e che la trama non sia ricca di colpi di scena o di particolari scenari, essa scorre, inesorabile, verso un finale romanticissimo.
Una storia retrò e antiquata per i nostri tempi, ma che, nonostante l’età avanzata, colpisce ancora grandi e piccoli.
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noia1
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mercoledì 14 ottobre 2020
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una storia impossibile, ma vera, che si gioca la
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La signorina Sullivan è chiamata ad educare una bambina sordo cieca, un’impresa impossibile.
La seconda opera di Arthur Penn è già uno degli apici del cinema di sempre, la messinscena è splendida in una maniera che solo il bianco e nero permette e la storia è giocata sull’unico piano possibile: quello del grottesco. Scene dalle suggestioni orrifiche si susseguono ad altre dal sapore lucidamente demenziale; prendiamo rispettivamente, ad esempio, la scena in cui la povera Helen vaga nel prato come un fantasma, o la scena in cui sempre lei rompe il vaso per verificare poi col tatto che il viso dell’istitutrice sia dispiaciuto, per avere la prova che quanto fatto ha avuto determinate ripercussioni, compiacendosi poi del fatto d’aver indovinato: effettivamente la Sullivan è rammaricata per ciò che ha fatto.
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La signorina Sullivan è chiamata ad educare una bambina sordo cieca, un’impresa impossibile.
La seconda opera di Arthur Penn è già uno degli apici del cinema di sempre, la messinscena è splendida in una maniera che solo il bianco e nero permette e la storia è giocata sull’unico piano possibile: quello del grottesco. Scene dalle suggestioni orrifiche si susseguono ad altre dal sapore lucidamente demenziale; prendiamo rispettivamente, ad esempio, la scena in cui la povera Helen vaga nel prato come un fantasma, o la scena in cui sempre lei rompe il vaso per verificare poi col tatto che il viso dell’istitutrice sia dispiaciuto, per avere la prova che quanto fatto ha avuto determinate ripercussioni, compiacendosi poi del fatto d’aver indovinato: effettivamente la Sullivan è rammaricata per ciò che ha fatto. In questo folle ritratto, epico addirittura forse, ne emerge lo scontro tra una famiglia, il cui profondo amore cade nella pietà ̶ quindi nella sopportazione ̶ di una figlia la cui libertà sembra piuttosto quella d’un cane, e un’insegnante che per scardinare quell’estrema forma d’isolamento è costretta ad usare il metodo del trauma, della violenza spesso, epiche sono le scazzottate tra le due che rotolano tra i corridoi di casa strattonandosi i capelli e addirittura sul fango tirandosi schiaffi da far saltar via il collo.
Un ragionamento senza pietà sulla famiglia e sul perbenismo, una visione che oltre ad un accurato affresco è anche un’analisi su quanto di arretrato dai tempi portiamo appresso molto probabilmente ancora oggi, tipo un figlio arrogante ed un padre tutto d’un pezzo che si rivelano, il primo, uno smidollato succube del secondo mentre, il secondo, a sua volta è in realtà uno spietato tiranno; oppure la visione della donna, l’istitutrice infatti malgrado si presenti nelle vesti di professionista viene continuamente attaccata perché giovane e perché donna; la madre amorevole poi, che soffoca la figlia invece di allenarla ad entrare nel mondo reale.
Un film violento in fin dei conti, certo forse adesso è un po’ scontato dirlo data la crudissima filmografia del regista, certo ai tempi doveva essere stato sicuramente un pugno allo stomaco, inoltre qui più che in altre pellicole emerge una particolare brutalità concettuale, forse inedita sia prima che dopo di esso. Forse solo Anne Bancroft e Patty Duke potevano portare in groppa un prodotto del genere, la prima bravissima e quasi innovativa con quelle movenze morbide, quasi anticipando le movenze d’una ribelle ragazza del ghetto; la seconda mostruosa, per come interpreta una ragazza in una simile condizione, comunque un talento predestinato, non a tutti infatti capita di avere uno spettacolo televisivo personale con addirittura il proprio nome come titolo, una gara insomma tra quelle che ai tempi sarebbero ben presto diventate due icone assolute.
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il cinefilo
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venerdì 8 aprile 2011
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al di là del buio...c'è la luce!
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Arthur Penn al suo meglio come regista in questa bellissima storia su una strana,tormentata e commovente"relazione"che si instaura tra un istitutrice(Anne Bancroft)e una bambina cieca e sordo-muta(Patty Duke)viziata dalla famiglia...e che lei riuscirà,in parte,a"curare"grazie alla sua tenacia e alla sua forza d'animo.
Se si escludono gli inquietanti e francamente discutibili"accenni onirici"all'infanzia dell'insegnante il film rasenta la perfezione e ci dimostra quanto possa essere importante,nella vita,non lasciarsi affliggere dalle avversità(in questo caso di carattere drammaticamente fisico)e a non perdere mai la fiducia umana anche di fronte al più insanabile dei problemi.
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Arthur Penn al suo meglio come regista in questa bellissima storia su una strana,tormentata e commovente"relazione"che si instaura tra un istitutrice(Anne Bancroft)e una bambina cieca e sordo-muta(Patty Duke)viziata dalla famiglia...e che lei riuscirà,in parte,a"curare"grazie alla sua tenacia e alla sua forza d'animo.
Se si escludono gli inquietanti e francamente discutibili"accenni onirici"all'infanzia dell'insegnante il film rasenta la perfezione e ci dimostra quanto possa essere importante,nella vita,non lasciarsi affliggere dalle avversità(in questo caso di carattere drammaticamente fisico)e a non perdere mai la fiducia umana anche di fronte al più insanabile dei problemi...questo,credo,sia uno dei principali significati del film e la coppia A.Bancroft-P.Duke dimostra di essersi meritata in pieno la doppietta di oscar che hanno ricevuto successivamente.
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