kobayashi
|
lunedì 4 agosto 2008
|
un thriller da pelo sullo stomaco
|
|
|
|
Interpreti in gran forma, complicatissima la trama, ma incalzanti il ritmo e lo stile narrativo. Dustin Hoffmann dopo "Il laureato" regala una performance degna di nota nei panni di uno studente universitario del corso di storia, appassionato di maratone, che finisce coinvolto in una sporca faccenda di diamanti, nazisti, torture e morti. Grande il filone narrativo, che parte dal passato, dalla morte del padre di Babe (Hoffmann) e Doc (Roy Scheider) fino ad arrivare al presente, con continui richiami e flashback che danno alla pellicola, già elegante e "aromatica" (ha il sapore di un bel sigarone da gustarsi davanti alla poltrona) un gusto retrò che è fantastico. Tale gusto, peraltro, si oppone alla dinamicità e alla velocità della narrazione che, nonostante sia, lo ripeto, complicata, non annoia mai lo spettatore tenendolo inchiodato alla poltrona.
[+]
Interpreti in gran forma, complicatissima la trama, ma incalzanti il ritmo e lo stile narrativo. Dustin Hoffmann dopo "Il laureato" regala una performance degna di nota nei panni di uno studente universitario del corso di storia, appassionato di maratone, che finisce coinvolto in una sporca faccenda di diamanti, nazisti, torture e morti. Grande il filone narrativo, che parte dal passato, dalla morte del padre di Babe (Hoffmann) e Doc (Roy Scheider) fino ad arrivare al presente, con continui richiami e flashback che danno alla pellicola, già elegante e "aromatica" (ha il sapore di un bel sigarone da gustarsi davanti alla poltrona) un gusto retrò che è fantastico. Tale gusto, peraltro, si oppone alla dinamicità e alla velocità della narrazione che, nonostante sia, lo ripeto, complicata, non annoia mai lo spettatore tenendolo inchiodato alla poltrona. Tutto il film si gioca su contrasti: i due fratelli, Hoffmann e Sheider, sono l'uno un giovane e basso (Hoffmann, si sa, è basso) studente di storia e l'altro una spia corpulenta e decisa. Diversi sono anche i caratteri dei due: l'uno irruente e spregiudicato, l'altro malinconico e introverso. I due caratteri cozzano, ma i fratelli vanno d'accordo, legati, seppur con una visione diversa dei fatti, dal ricordo del padre suicida molti anni prima. Babe si innamora di una donna, Marthe Keller, che però è invischiata nell'intrigo nel quale, presto, lo studente finirà con tutte le scarpe. Il resto sono morti, una scena terrificante di trapanamento di denti sani da parte di un torturatore professionista ex nazista ai danni di Babe Hoffmann e un finale in solitudine. Sulla scena, vivo, resta solo il protagonista, il maratoneta, quello che con tenacia tiene viva la sfida fino all'ultimo e, intelligentemente, riesce a tirarsene fuori indenne (dente trapanato dal gerarca a parte). Ottimo film, cult per gli appassionati di Hoffmann, ma, volendo, anche per chi ha la passione per James Bond. Roy Scheider, il fratello maggiore che all'insaputa di Babe (Hoffmann) sarebbe stato perfetto per interpretare uno dei film di Bond: ne "Il Maratoneta" fa sfoggio di eleganza, lungimiranza tattica e un fine senso del pericolo, oltre a capacità di autodifesa da "arte marziale". Questo film è un thriller da pelo sullo stomaco, quello che hanno i protagonisti e quello che bisogna avere per reggersi determinate scene clu, vedi: "trapanamento di un dente sano senza anestesia". Chi ha pelo sul serio, nella vita o chi è appassionato della corsa e del movimento si ritroverà soddisfatto: qui c'è azione, rischio, pericolo, calcolo, doppi giochi e un finale al cardiopalma, ancorchè molto triste. Bello!
[-]
|
|
[+] lascia un commento a kobayashi »
[ - ] lascia un commento a kobayashi »
|
|
d'accordo? |
|
gianni lucini
|
lunedì 26 settembre 2011
|
tutti, quando cambia la prospettiva, sono nemici
|
|
|
|
Tratto dall’omonimo romanzo di William Goldman, che firma anche la sceneggiatura, Il maratoneta trasporta sullo schermo una trama estremamente complicata, ricca di colpi di scena e di capovolgimenti di logica che se non opportunamente sorretti potrebbero far perdere allo spettatore il filo del racconto. Il regista John Schlesinger evita questi rischi mantenendo alto il ritmo e puntando su uno stile narrativo incalzante e teso nonostante l’utilizzo di vari flashback, utili a ricostruire il passato del protagonista e del fratello. Questi inserimenti regalano alla pellicola un gusto vagamente retrò che, soprattutto nella seconda parte, ben si sposa con le atmosfere notturne da film noir in cui si muove un sempre più determinato e incattivito Babe dopo essere sfuggito alle torture del criminale nazista Szell.
[+]
Tratto dall’omonimo romanzo di William Goldman, che firma anche la sceneggiatura, Il maratoneta trasporta sullo schermo una trama estremamente complicata, ricca di colpi di scena e di capovolgimenti di logica che se non opportunamente sorretti potrebbero far perdere allo spettatore il filo del racconto. Il regista John Schlesinger evita questi rischi mantenendo alto il ritmo e puntando su uno stile narrativo incalzante e teso nonostante l’utilizzo di vari flashback, utili a ricostruire il passato del protagonista e del fratello. Questi inserimenti regalano alla pellicola un gusto vagamente retrò che, soprattutto nella seconda parte, ben si sposa con le atmosfere notturne da film noir in cui si muove un sempre più determinato e incattivito Babe dopo essere sfuggito alle torture del criminale nazista Szell. A tener desta l’attenzione degli spettatori nonostante la complicazione degli eventi narrati, oltre alla superlativa interpretazione di Dustin Hoffman e di un Laurence Olivier all’altezza dei suoi momenti migliori, c’è una narrazione filmica articolata e di grande dinamicità. Nonostante la scelta di fare dell’azione e della tensione interna degli eventi l’asse portante del film il regista John Schlesinger non rinuncia a introdurre elementi e caratterizzazioni destinati ad approfondire il carattere dei personaggi e i contesti storici dai quali ciascuno proviene. Impietosa appare la critica del maccartismo sviluppata da Babe nella discussione sulla sua tesi, così come dolorosi sono i vari momenti nei quali gli ex deportati riconoscono il loro aguzzino nelle vie di una New York indifferente e lontana. La realtà disegnata dal film non è mai netta come accade nei film d’azione e neppure lineare nelle sue contraddizioni come avviene nei film di spionaggio classici alla James Bond. In Il maratoneta il nemico, il traditore e anche il sicario non sono esterni al mondo del protagonista, ma sono dentro la stessa cerchia degli affetti. Il fratello, gli amici del fratello, la ragazza che ama, tutti, quando cambia la prospettiva, diventano nemici, persecutori e freddi assassini. La belva dell’intolleranza è nascosta ogni uomo e ogni donna e l’indifferenza della gente di New York è complice della momentanea salvezza del criminale nazista. Non c’è salvezza senza capacità di reagire e quando inizia la resa dei conti non può esserci pietà per nessuno. Babe resta vivo in un mondo di morti in quello che appare come un “triste y solitario final” per parafrasare Osvaldo Soriano.
Una delle tante leggende di Hollywood racconta che Dustin Hoffman, fedele alla regola del metodo Stanislavkij imparata all’Actor’s Studio che prevede la completa identificazione psicologica tra attore e personaggio, prima di iniziare a girare questo film si sia rifugiato per settimane in assoluto isolamento in una stanza ermeticamente chiusa cibandosi solo di solo fette biscottate e acqua. Molto orgoglioso dei suoi metodi si sarebbe presentato carico di tensione sul set dove l’anziano ed esperto Laurence Olivier gli avrebbe detto: «Scusa, ma perché fai tutta questa fatica? Non potresti provare semplicemente a recitare?». Vera o falsa che sia la storia definisce in modo molto divertente l’incontro tra due scuole molto diverse e lontanissime tra loro. Dalla parte di sir Olivier c’è la tradizione classica del teatro inglese, misurata soprattutto nelle espressioni corporali e algida nella separazione tra interprete e interpretazione, mentre Hoffman è un esempio paradigmatico di una corrente rivoluzionaria del Novecento che prevede l’immedesimazione totale, psicologica e fisica, dell’attore nel personaggio. Nonostante le differenze l’integrazione tra i due è perfetta e Dustin Hoffman, stimolato dal confronto con un “mostro sacro”, regala al pubblico una delle sue migliori performance.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a gianni lucini »
[ - ] lascia un commento a gianni lucini »
|
|
d'accordo? |
|
great steven
|
lunedì 4 febbraio 2019
|
con la pistola in pugno contro i cospiranti.
|
|
|
|
IL MARATONETA (USA, 1976) diretto da JOHN SCHLESINGER. Interpretato da DUSTIN HOFFMAN, LAURENCE OLIVIER, ROY SCHEIDER, WILLIAM DEVANE, MARTHE KELLER, LOU JACOBI, FRITZ WEAVER
Babe Levy è uno studente universitario di storia ebreo, appassionato della corsa, che prepara la tesi sulle ingiustizie perpetrate anni addietro dal senatore Joseph McCarthy (di cui fu vittima anche suo padre, uomo molto in vista) e si allena per la maratona, siccome è appassionato di corsa. Ha un fratello, Doc, che effettua, a sua insaputa, un doppio gioco avvalendosi di una società che copre le sue azioni fra una società militaresca segreta e gruppi di nazisti ricercati dalle polizie internazionali.
[+]
IL MARATONETA (USA, 1976) diretto da JOHN SCHLESINGER. Interpretato da DUSTIN HOFFMAN, LAURENCE OLIVIER, ROY SCHEIDER, WILLIAM DEVANE, MARTHE KELLER, LOU JACOBI, FRITZ WEAVER
Babe Levy è uno studente universitario di storia ebreo, appassionato della corsa, che prepara la tesi sulle ingiustizie perpetrate anni addietro dal senatore Joseph McCarthy (di cui fu vittima anche suo padre, uomo molto in vista) e si allena per la maratona, siccome è appassionato di corsa. Ha un fratello, Doc, che effettua, a sua insaputa, un doppio gioco avvalendosi di una società che copre le sue azioni fra una società militaresca segreta e gruppi di nazisti ricercati dalle polizie internazionali. Proprio quando, in un incidente stradale, muoiono contemporaneamente un vecchio ebreo e un suo coetaneo che custodiva in automobile una cassetta di diamanti, Doc si assume un incarico a Parigi e scampa per poco a un attentato. Raggiunge Babe a New York, il quale gli presenta Elsa Opel, una ragazza conosciuta nella biblioteca dell’università di cui lo studente s’è innamorato, ma in cui suo fratello presagisce puzzo di spia infiltratasi nella rete. Il ritorno dall’Uruguay di un potente criminale di guerra nazista, Christian Szell, comporta l’omicidio per mano sua di Doc e l’ingresso involontario di Babe nelle vicende in cui il defunto congiunto era implicato. Braccato sia dalla Divisione, che fa riferimento a Peter Janeway, e all’altro capo da Szell, Babe è costretto a collaborare, ma presto si ritrova torturato e, quando si capisce che non sa niente di utile alla causa dei malavitosi, rischia di passare a miglior vita, ma si salva grazie alle sue doti di maratoneta. Dopodiché, ospite di vicini portoricani che lo deridono, ma che stavolta decidono di aiutarlo, si mette ad indagare sul traffico di diamanti e scopre l’effettiva complicità di Elsa nel malaffare. Alla vigilia della resa dei conti, nella casa campestre del fratello di Szell, Janeway uccide Elsa e muore a sua volta per mano di Babe. Scovato Szell per le strade di New York, Babe si arma di pistola e lo costringe, dentro un idroscalo, a inghiottire uno per uno i suoi diamanti, finché non si scatena un duello mortale in cui l’ex gerarca nazista non si ammazza da sé, trafitto dalla lama retrattile del suo coltello nascosto nella manica della camicia. Compiuto il proprio riscatto, Babe lancia la pistola oltre la rete nell’Oceano Atlantico. Diretto con sapienza un po’ accademica e qualche effettismo, basato su una sceneggiatura di William Goldman (da un proprio romanzo) che è una fantasia ebraica di vendetta, sembra che voglia esprimere la sua opinione sul nazismo, la libertà e il maccartismo, ma si rivela presto un thriller efficace con un finale discutibile. L’interpretazione del timido e introverso accademico di Hoffman, in grado tuttavia di risvegliarsi e sollevare un ghigno temerario dal proprio volto, fa da perfetto contraltare alla cattiveria indemoniata e al carisma palpabile di Olivier, mai pentitosi delle proprie sciaguratezze e anzi sulla via del ritorno per ritemprare la sua crudeltà. Quanto al resto del cast, non deludono le prove di Scheider (uomo d’azione pittoresco come un James Bond in seconda linea), Devane (comandante furbo e iracondo di un’organizzazione che ramifica delinquenti in tutto il globo e li rintraccia per negoziarvi o per trarli in trappola) e Keller (dolce e maliarda in superficie, in realtà coinvolta a pieno titolo in un pericoloso domino di cui quasi non pare consapevole). Schlesinger, già regista al servizio di Hoffman nell’eccezionale Un uomo da marciapiede (1969), dirotta l’attenzione dapprima dalla suspense per condurla sugli attori e poi ve la riconduce nei momenti culminanti peccando talvolta di cariche troppo pompate di violenza o tempi illogici, ma senza mai mancare l’obiettivo con l’occhio d’un padrone della macchina da presa che conosce la sua materia narrativa, non ragiona per accumuli e punta sì a spaventare lo spettatore, evitando però di ricattarlo. Stupende viste delle strade pomeridiane newyorkesi poco prima del crepuscolo, alternate ai rarefatti paesaggi francesi e sudamericani che comunque costituiscono un’integrante brano che muove la sinfonia e armonizza il racconto sul colorito affilato del dramma. Riferimenti funzionali a un passato dove gli USA hanno avuto in parte ragione e in parte torto marcio, pertanto non assolve né colpevolizza indiscriminatamente, ma lancia appelli allarmanti su cui regolarsi per i comportamenti futuri. L’aspetto spettrale degli ambienti si allinea al continuo gioco di rimando fra Bene tramontante e Male oscuro. Passata ad antologia la scena del dentista.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a great steven »
[ - ] lascia un commento a great steven »
|
|
d'accordo? |
|
elgatoloco
|
domenica 11 novembre 2018
|
solida sceneggiatura, film importante
|
|
|
|
Quando c'era una sceneggiatura notevole(qui di William Goldman, dal suo romanzo), John Schlesinger, autore anche di"Midnight Cowboy"(1969)riesce al meglio e questo"Marathon Man"ne è la dimostrazione forse migliore, comunque certamente tra le migliori. Thriller eccelso, con tra grandi interpreti(Dustin Hoffman, studente di storia che persegue la volontà di riabilitare con la sua tesi il padre, caduto in disgrazia con il maccartismo, Roy Scheider, fratello del primo e coinvolto in una professione ai margini dello spionaggio, Laurence Olivier, dentista nazista, sorta di seguace-continuatore di Mengele, ma anche Marthe Keller, che non è il"quarto incomodo", ma arricchisce il terzetto con la sua collocazione ambigua e "indecifrabile"), "Marathon Man"ci mostra il "passato che non passa"in modo inedito, con un'ambientazione decisamente post-bellica, dove il personaggio"Babe"Levy con il suo inesorabile climax, che comunuqe non raggiunge mai la violenza pura, ma la giusta reazione all'orrore, emblematizza quanto è ancora possibile fare per una Resistenza che sia veramente segno di"alterità"rispetto a un passato che è condannato dalla storia ma non si rassegna ad abdicare al proprio ruolo, si colloca in una vicenda fosca fin dall'inizio(bellissimo lo scontro tra due macchine con due guidatori anch'essi simboli di due concezioni opposte del mondo), scandita da una suspense che il personaggio dello studente-maratoneta simboleggia benissimo.
[+]
Quando c'era una sceneggiatura notevole(qui di William Goldman, dal suo romanzo), John Schlesinger, autore anche di"Midnight Cowboy"(1969)riesce al meglio e questo"Marathon Man"ne è la dimostrazione forse migliore, comunque certamente tra le migliori. Thriller eccelso, con tra grandi interpreti(Dustin Hoffman, studente di storia che persegue la volontà di riabilitare con la sua tesi il padre, caduto in disgrazia con il maccartismo, Roy Scheider, fratello del primo e coinvolto in una professione ai margini dello spionaggio, Laurence Olivier, dentista nazista, sorta di seguace-continuatore di Mengele, ma anche Marthe Keller, che non è il"quarto incomodo", ma arricchisce il terzetto con la sua collocazione ambigua e "indecifrabile"), "Marathon Man"ci mostra il "passato che non passa"in modo inedito, con un'ambientazione decisamente post-bellica, dove il personaggio"Babe"Levy con il suo inesorabile climax, che comunuqe non raggiunge mai la violenza pura, ma la giusta reazione all'orrore, emblematizza quanto è ancora possibile fare per una Resistenza che sia veramente segno di"alterità"rispetto a un passato che è condannato dalla storia ma non si rassegna ad abdicare al proprio ruolo, si colloca in una vicenda fosca fin dall'inizio(bellissimo lo scontro tra due macchine con due guidatori anch'essi simboli di due concezioni opposte del mondo), scandita da una suspense che il personaggio dello studente-maratoneta simboleggia benissimo. Una di quelle opere filmiche che meritano di essere riviste anche più volte, "rivistate"per cogliervi elementi che a una prima visione, distratta o meno, erano magari sfuggiti... El Gato
[-]
|
|
[+] lascia un commento a elgatoloco »
[ - ] lascia un commento a elgatoloco »
|
|
d'accordo? |
|
|