di Marco Chiani
Se soltanto sentire nominare il Marvel Cinematic Universe - altromondo in cui cinema, serie televisive e fumetti stanno insieme a raccontarci vita morte e miracoli degli eroi afferenti agli studios di Burbank - vi fa girare la testa, provate a vedere Daredevil. E vi riconcilierete.
È più facile immedesimarsi in Matt Murdock che in qualsiasi altro personaggio dotato di superpoteri.
Del resto, il nostro non è un miliardario, ma un ragazzo cieco con alle spalle una storia famigliare mica facile, non è un uomo di un altro pianeta, ma un avvocato alle prime armi che cerca di sbarcare il lunario insieme all'amico e collega Foggy Nelson. Il motivo reale è che poche volte un supereroe, che sia targato Marvel o meno, è stato oggetto di un'operazione altrettanto riuscita grazie ad una chiarezza, ad una purezza di ispirazione e ad una realizzazione classicamente perfette.
L'allure dark che ci si aspetta ormai da qualsiasi trasposizione di fumetti, nella serie sviluppata da Drew Goddard, è declinata in maniera completamente innovativa, risultando più adulta e credibile, perché strettamente connessa con l'asfalto, con il metallo delle scale antincendio, con calci e pugni orchestrati in una "strabiliante vecchia maniera".
La Hell's Kitchen in cui Matt Murdock/Devil si muove è l'angolo maledetto di una New York dopo il disastro, un ricettacolo di anime in pena subito ingoiate dalle fiamme se soltanto pronunciano il nome sbagliato, un insieme di viottoli bagnati dalla pioggia e di mattoni rossi dove nemmeno le chiese sembrano poterci più proteggere.
Ma l'oscurità è anche il luogo mentale in cui vive Matt, cieco dall'età di nove anni a causa di un incidente radioattivo che lo ha privato per sempre di un senso, dotandolo, di contro, dell'incredibile accrescimento dei restanti quattro. Del tutto opposto a quel nero in cui si trova a suo agio l'eroe, c'è il bianco per cui va matto Wilson Fisk/Kingpin - uno dei villain più amati di tutto l'universo Marvel, cesellato in maniera perfetta da Vincent D'Onofrio - il cui appartamento è dello stesso non-colore del dipinto davanti al quale lo conosciamo nel terzo episodio della prima serie.
Dopo una prima stagione che ha riscontrato un successo di pubblico e critica clamoroso, Netflix e Marvel Studios ne rilasciano ora una seconda in cui il meccanismo del crossover tipico del media franchise comincia a raccogliere i suoi frutti.
Due degli antieroi più affascinanti, The Punisher/Frank Castle, violento punitore di ogni criminale, e Elektra/Elektra Natchios, ex fidanzata di Matt e assassina ninja provetta, entrano in gioco, spostando di un bel po' quel gioco tra bianco e nero - a parti invertite, si capisce - creatosi tra Daredevil e Wilson Fisk nella prima serie.
Tempi difficili per l'Uomo senza paura, perché mentre, di giorno, gli affari della Nelson & Murdock cominciano ad ingranare, di notte, c'è davvero di che preoccuparsi in una Hell's Kitchen sul punto di esplodere, eterne questioni di cuore a parte.
Chi interpreta The Punisher, implacabile giustiziere mosso dalla sete di vendetta per la sua famiglia rimasta trucidata in un pareggiamento di conti?
Questa volta The Punisher è Jon Bernthal, già interprete di The Walking Dead, che raccoglie un testimone piuttosto difficile. Nessun attore che si sia misurato con il ruolo, infatti, ha mai potuto bissare.
Si parte dal Dolph Lundgren di Il vendicatore (1989) per arrivare al Thomas Jane di The Punisher (2004) fino al Ray Stevenson di Punisher - Zona di guerra. In quanto alla bella Elektra, introdotta per la prima volta dal rivoluzionario Frank Miller nella versione più adulta e amata dai fan del fumetto, ha invece la faccia di Elodie Yung, che greca non è, ma ha tutte le carte in tavola per far battere il cuore e tremare le gambe all'ex compagno di università e fidanzato Matt, un Charlie Cox sempre più a suo agio con i turbamenti e le battaglie del Diavolo di Hell's Kitchen.