wolvie
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martedì 18 gennaio 2022
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consapevolezza per l''avenir!
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Isabella Huppert, ma quanti personaggi borghesi hai interpretato? Sempre con quella capacita' di essere uguale a te stessa o forse no, ma con una recitazione così disturbante !!!
Meriteresti una pubblicazione sulla tua intera filmografia perché hai attraversato i generi, i registi, gli attori, tu sei un corpo attoriale perfetto.
Certo hai interpretato film migliori, ma questo, assai bruttino invero, è lo spartiacque di quel che fosti e di quel che sarai, ovvero, nel 2016, si vedono i segni del tempo sul tuo corpo, ma tu sei tu, poche attrici sanno essere le stesse e altro nel contempo, mi sovviene Meryl Streep, ma senza il tuo coraggio.
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Isabella Huppert, ma quanti personaggi borghesi hai interpretato? Sempre con quella capacita' di essere uguale a te stessa o forse no, ma con una recitazione così disturbante !!!
Meriteresti una pubblicazione sulla tua intera filmografia perché hai attraversato i generi, i registi, gli attori, tu sei un corpo attoriale perfetto.
Certo hai interpretato film migliori, ma questo, assai bruttino invero, è lo spartiacque di quel che fosti e di quel che sarai, ovvero, nel 2016, si vedono i segni del tempo sul tuo corpo, ma tu sei tu, poche attrici sanno essere le stesse e altro nel contempo, mi sovviene Meryl Streep, ma senza il tuo coraggio.
Qui sei insegnante di filosofia in un liceo, hai una famiglia classicamente intellettuale e borghese, un marito, due figli, una madre malata che abbisogna di costante attenzione.
Tutto crolla, ma tutto cambia, e passato (specie il marito), il futuro ( "la comune pseudo hippies" dello studente, che prima la attrae, poi la critica), non fanno parte di una linea retta temporale che si è costretti a seguire. Dietro la porta c' e ' l' Avenir, con la consapevolezza di quel che si è, senza ricercare quello che non si è.
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ninoraffa
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lunedì 26 febbraio 2018
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l'avenir
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Diffidare dei mariti kantiani. Forse non molte donne potranno fare tesoro di questo consiglio, ma è uno dei messaggi di Le cose che verranno. Un serissimo marito con la legge morale nel cuore e il cielo stellato sopra la testa, non garantisce dall’adulterio e dall’abbandono.
Nathalie, l’ottima Isabelle Huppert, è una donna dalle molte cause. Insegna filosofia in un liceo parigino, con lo zelo dell’ex comunista adesso convertita alla più ardua missione di far pensare i ragazzi con la loro testa. Ha una madre, ex modella invecchiata presto, incline al suicidio allarmante e simulato. Cura una sofisticata collana di saggi filosofici e un’antologia scolastica.
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Diffidare dei mariti kantiani. Forse non molte donne potranno fare tesoro di questo consiglio, ma è uno dei messaggi di Le cose che verranno. Un serissimo marito con la legge morale nel cuore e il cielo stellato sopra la testa, non garantisce dall’adulterio e dall’abbandono.
Nathalie, l’ottima Isabelle Huppert, è una donna dalle molte cause. Insegna filosofia in un liceo parigino, con lo zelo dell’ex comunista adesso convertita alla più ardua missione di far pensare i ragazzi con la loro testa. Ha una madre, ex modella invecchiata presto, incline al suicidio allarmante e simulato. Cura una sofisticata collana di saggi filosofici e un’antologia scolastica. E’ mentore di Fabien, un ex alunno diviso tra la Scuola di Francoforte e il tafferuglio anarchico con la polizia, che forse ha preso troppo sul serio i suoi insegnamenti libertari.
Intorno ai sessant’anni anni, la vita – più o meno secondo la regola – comincia a presentarle i conti.
Del marito, Heinz, e della più giovane compagna nuova destinataria dei suoi imperativi morali, abbiamo anticipato. Nathalie andrà per l’ultima volta con lui nella loro casa sull’oceano in Bretagna, a prendere i vestiti e seppellire nel giardino di rose venticinque anni di vita comune.
Come se non bastasse, il suo editore smette di buttare soldi con i pensieri di gente morta che non interessano nessuno, cancellando la sua collana. La madre muore nel pensionato dove Nathalie è stata costretta a portarla, lasciandole una grossa gatta dal significativo nome di Pandora, a cui peraltro lei è allergica.
Arriva l’estate e Fabien si ritira con gli amici in una fattoria sperduta a preparare l’universale anarchia prossima ventura. Lei lo raggiunge volentieri nel suo paradiso terrestre sperimentale; ma tra interminabili discussioni se esista o no l’autorialità, salta fuori l’accusa, sopita da sempre, che lei è la borghese benestante e privilegiata che in effetti è.
Nathalie attraversa questi sconvolgimenti senza tragedie, in un dignitoso fatalismo sostenuto da un lampo d’orgoglio nello sguardo. Coerente – come Fabien e Heinz neppure possono immaginare – con un certo modo di fare filosofia rispettando l’altrui libertà sulla propria pelle. Anche se gli altri neppure se ne accorgono, e non ci si aspetta neppure più che lo facciano.
Oltre la recriminazione, oltre la delusione, Nathalie non prova a riconquistare Heinz, né a difendere le sue pubblicazioni, né a spiegare a Fabien di avere già percorso le stesse illusioni.
Il volto segnato, l’atteggiamento raccolto, Nathalie possiede il senso del tempo e delle cose che accadono senza che si possa fare niente.
Nell’ultima scena prepara la cena di Natale e riunisce i figli a tavola; poi in camera da letto prende in braccio il nipotino neonato; infine l’inquadratura sfuma sugli addobbi e l’abete con i regali.
Finale dalle molte letture. A prima vista spiazzante per una donna impegnata – e per la sua generazione – che ha visto svanire i grandi ideali di cambiare il mondo, fino a restringersi nell’intimità familiare di un interno parigino. Nathalie è alleggerita da tanti pesi, ma questa libertà, oltre che subita, è sorprendentemente ridotta rispetto alla dimensione intellettuale e morale della sua figura. Quasi a sconfessarla, insinuando, per di più, un epilogo non lontano dai vecchi stereotipi femminili casalinghi.
E allora, più in profondità, “Le cose che verranno” potrebbe riguardare l’intera condizione umana. Potrebbe avvisare sull’abbaglio del progresso e sull’arroganza di conoscere il mondo e le persone; sulla futilità di predicare sistemi, oppure demolirli, immaginando un nuovo che è già vecchio e fallito; e ancora sulla vanità d’insegnare qualcosa a qualcuno. Fino all’inevitabile naufragio e al riparo ultimo nelle piccole cose.
Ma forse la brillante autrice del film, Mia Hansen-Løve, vuole andare oltre. L’avenir del titolo originale custodisce altri propositi per la sua Nathalie: non una conclusione, ma un’apertura alle vite che verranno. Lo stesso nome, come il nipotino in braccio la notte inaugurale della Natività, sono segni di (ri)nascita. Possibilità di nuove storie meno pattuite col mondo e con se stessa. Vite spontanee di nonna e madre, di educatrice nel suo liceo, di scrittrice fuori dal sistema editoriale che pubblica in rete con gli alunni. E perché no?, si possono immaginare per lei vite anche sentimentali, una fisicità non più sorvegliata, e magari un compagno più giovane per niente filosofo con cui esplorare altre dimensioni.
Nathalie si è imborghesita, ma essere rivoluzionari a vent’anni, come Fabien, non è un’altra convenzione di segno opposto? Ed essere rigorosi conservatori come Heinz, non è solo ipocrisia e nascondimento?
Lei ha attraversato il mutamento – l’inevitabile attrito di ogni vita con le circostanze – in piena consapevolezza, mantenendo la condizione privilegiata di osservatrice critica, e insieme l’innocenza. Non si è sottratta alle ferite, ha pagato i suoi prezzi e adesso (quasi) nulla le è precluso.
E’ il finale che preferiamo. Per Nathalie e per tutte le donne a cui la vita continua ogni giorno a presentare i conti.
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maumauroma
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mercoledì 7 giugno 2017
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le cose che verranno
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La consapevolezza del tempo che passa. L' ineluttabilita' della morte. La fragilita' dei rapporti affettivi erroneamente considerati approdo sicuro dalle ansie della vita e dai pericoli del mondo. Basta poco perche' un castello di sicurezze costruito negli anni crolli di colpo. Lasciata dal marito per un' altra donna e morta la madre, Nathalie, colta e determinata insegnante di filosofia, scoprira' sulla sua pelle che, all'alba dei sessanta anni, una nuova liberta' ritrovata non vuol dire sempre una nuova vita felice, nuovi stimoli e nuovi amori. Nathalie fortunatamente avra' almeno la speranza di ritrovare gli antichi equilibri esistenziali grazie alla nascita di un nipotino.
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La consapevolezza del tempo che passa. L' ineluttabilita' della morte. La fragilita' dei rapporti affettivi erroneamente considerati approdo sicuro dalle ansie della vita e dai pericoli del mondo. Basta poco perche' un castello di sicurezze costruito negli anni crolli di colpo. Lasciata dal marito per un' altra donna e morta la madre, Nathalie, colta e determinata insegnante di filosofia, scoprira' sulla sua pelle che, all'alba dei sessanta anni, una nuova liberta' ritrovata non vuol dire sempre una nuova vita felice, nuovi stimoli e nuovi amori. Nathalie fortunatamente avra' almeno la speranza di ritrovare gli antichi equilibri esistenziali grazie alla nascita di un nipotino. Per molti altri meno fortunati questo tipo di liberta' vorra' dire solo solitudine, e soltanto le carezze date piangendo a una gatta distesa accanto nel letto, una gatta che questa volta non si lascera' mai, potranno in parte consolare l' anima dalla tristezza e riempire il vuoto dei sentimenti. Grande prova di Isabelle Huppert, poco piu' che comparse gli altri
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lbavassano
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domenica 7 maggio 2017
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promettenti premesse, ma lo sviluppo delude
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Film estremamente ambizioso, nel tentativo di coniugare la crisi esistenziale di una donna giunta a quella soglia in cui il rapporto con l'anziana madre diviene ingestibile, quello con il marito naufraga nel più banale dei modi, con quella intellettuale di un'insegnante di filosofia spiazzata dal rapporto con la generazione degli ex-allievi, del prediletto ex-allievo (la figura più debole, sia detto subito, dell'intero film, incapace di sostenere il ruolo fondamentale assegnatogli, ma, c'è da dire, tutti i personaggi risultano troppo sbiaditi nel confronto con una Huppert che divora lo schermo), giovani intellettuali alla ricerca di nuove strade (che di nuovo, in realtà, non paiono avere molto), spiazzata ancor più da una logica editoriale che pretende di imporre i dettami di un marketing attento unicamente all'immagine a pubblicazioni di nicchia.
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Film estremamente ambizioso, nel tentativo di coniugare la crisi esistenziale di una donna giunta a quella soglia in cui il rapporto con l'anziana madre diviene ingestibile, quello con il marito naufraga nel più banale dei modi, con quella intellettuale di un'insegnante di filosofia spiazzata dal rapporto con la generazione degli ex-allievi, del prediletto ex-allievo (la figura più debole, sia detto subito, dell'intero film, incapace di sostenere il ruolo fondamentale assegnatogli, ma, c'è da dire, tutti i personaggi risultano troppo sbiaditi nel confronto con una Huppert che divora lo schermo), giovani intellettuali alla ricerca di nuove strade (che di nuovo, in realtà, non paiono avere molto), spiazzata ancor più da una logica editoriale che pretende di imporre i dettami di un marketing attento unicamente all'immagine a pubblicazioni di nicchia. Promettenti premesse, complicate da dottissime citazioni letterarie e musicali, che la sceneggiatura non riesce a sostenere, a sviluppare, via via incartandosi in una ripetitività priva di sbocchi diversi da un finale deludente. Si salva Isabelle Huppert, capace di rendere credibile un personaggio difficile tramite uno stile interpretativo che nulla concede all'accattivante, tutt'altro, capace di durezze ed asprezze quanto di subitanee fragilità.
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anna carmen
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martedì 2 maggio 2017
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recensione
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Bella recensione, molto profonda. Condivido
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(di spione)
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fosforo
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lunedì 1 maggio 2017
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noia noia noia
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Questo film ha il pregio di far apprezzare, all'uscita dal cinema, la vivacità della vita intorno a noi.... Presenta un mondo noioso e asfittico, di alto profilo culturale, ma con una desolazione opprimente dei protagonisti sul versante umano. La frigida Huppert si trova a duo agio nel dipingere l'anaffettività della protagonista. Abbastanza scontati e risibili i dialoghi tra la professoressa e l'allievo diletto sui grandi temi della vita. Un racconto semplice senza vie di uscita nè speranza.
[+] una via d'uscita, invece, c'è
(di spione)
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domenica 30 aprile 2017
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film bello, recensione bellissima
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Bellissimo commento. Mi ha aiutato a apprezzare un film che scorre via fluidamente ma è pieno di dettagli da cogliere. Avrei solo aggiunto qualcosa sulle scelte musicali, raffinate e emozionanti.
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fabiofeli
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sabato 29 aprile 2017
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"sono stata comunista: è una colpa?"
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Nathalie (Isabelle Huppert), insegna con passione filosofia in un liceo francese; ha superato i 50 anni e da buona insegnante desidera non solo che i suoi allievi apprendano il pensiero dei filosofi, ma anche che imparino da questo studio a riflettere e ad elaborare le loro opinioni. Tra tutti gli alunni ce n’è uno particolarmente dotato, Fabien (Roman Kolinka) . Nathalie vive in una bella casa borghese ricca di libri con il marito Heinz (André Marchon), anche lui insegnante di filosofia, e con i figli. E’in attesa di pubblicare un libro e sembra condurre una vita tranquilla e di soddisfazione, ma il destino le riserva uno scossone: il marito le confessa di avere una relazione con una donna più giovane ed ha deciso di andare a vivere con lei.
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Nathalie (Isabelle Huppert), insegna con passione filosofia in un liceo francese; ha superato i 50 anni e da buona insegnante desidera non solo che i suoi allievi apprendano il pensiero dei filosofi, ma anche che imparino da questo studio a riflettere e ad elaborare le loro opinioni. Tra tutti gli alunni ce n’è uno particolarmente dotato, Fabien (Roman Kolinka) . Nathalie vive in una bella casa borghese ricca di libri con il marito Heinz (André Marchon), anche lui insegnante di filosofia, e con i figli. E’in attesa di pubblicare un libro e sembra condurre una vita tranquilla e di soddisfazione, ma il destino le riserva uno scossone: il marito le confessa di avere una relazione con una donna più giovane ed ha deciso di andare a vivere con lei. Il dispiacere di Nathalie aumenta quando Heinz sottrae dalla biblioteca di casa alcuni testi corredati degli appunti e delle notazioni di lei. Un altro colpo è in arrivo, quando viene a sapere che la casa editrice che doveva pubblicare i suoi scritti chiuderà. Dalla madre anziana sofferente e assillante “eredita” la cura di un gatto. Forse c’è una via di uscita per una nuova vita quando accetta l’invito di Fabien a recarsi in un luogo ameno dove il giovane ha creato una specie di comune anarchica …
Il film, premiato al Festival di Berlino, narra una storia di separazione dal punto di vista della persona abbandonata. Il personaggio di Nathalie, interpretato dalla Huppert con la consueta bravura ed accuratezza, esce a tutto tondo: è una donna forte che non si rifugia nel rimpianto del passato e neanche nello studio e nei libri, che pure ama, perché, per quanto belli e significativi, non possono sostituire il contatto umano. La perdita del legame familiare la rende libera in un momento difficile della sua vita, che sembrava scorrere lungo un binario prestabilito, però, in qualche modo, è anche una libertà insperata, tanto che quando in un momento di tristezza scorge fuggevolmente l’ex-marito con la nuova compagna, una donna giovane e bella, la coppia male assortita la porta dal pianto imminente ad un riso accorato. Ha scaricato tanti fardelli, ma per fare cosa? Non è chiaro, ma può essere un buon punto per ripartire verso qualsiasi nuova direzione. Un film ricco di spunti interessanti, che costringe alla riflessione. Da vedere
Valutazione *** e ½
Fabiofeli
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writer58
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venerdì 28 aprile 2017
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senza paura...
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Un'ampia valle che sconfina su un altopiano circondato da rilievi montuosi. Una casa che guarda verso l'Atlantico, lungo le sterminate spiagge dela Bretagna. Un liceo dove insegnanti e ragazzi discutono di verità, bellezza, tempo che passa, democrazia, libertà. La filosofia come palestra di pensiero e amore per la sapienza. Una vita passata tra Parigi, il Vercors verdeggiante o innevato, la casa affacciata sull’Atlantico, un marito, due figli, una madre incapace di affrontare il proprio declino, una collana di saggi sui giganti del pensiero, la scuola, impegno quotidiano e compromesso con i propri desideri di cambiare il mondo, l’età che avanza, i figli che crescono e che si allontanano da casa.
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Un'ampia valle che sconfina su un altopiano circondato da rilievi montuosi. Una casa che guarda verso l'Atlantico, lungo le sterminate spiagge dela Bretagna. Un liceo dove insegnanti e ragazzi discutono di verità, bellezza, tempo che passa, democrazia, libertà. La filosofia come palestra di pensiero e amore per la sapienza. Una vita passata tra Parigi, il Vercors verdeggiante o innevato, la casa affacciata sull’Atlantico, un marito, due figli, una madre incapace di affrontare il proprio declino, una collana di saggi sui giganti del pensiero, la scuola, impegno quotidiano e compromesso con i propri desideri di cambiare il mondo, l’età che avanza, i figli che crescono e che si allontanano da casa. Questo è il perimetro dell’esistenza di Nathalie (interpretata da una magnifica Huppert), cinquantenne parigina insegnante di filosofia, donna di principi, impegnata nel lavoro e nei suoi affetti famigliari, persona che riesce a coniugare concretezza ed etica.
Su di lei si abbattono due eventi: la separazione dal marito, che le confessa una relazione con un’altra donna e la morte della madre, ex modella che non riesce ad accettare la propria vecchiaia e solitudine. Si aprono, in questo modo, per Nathalie degli spazi prima impensabili, una libertà non ricercata, che disorienta e stordisce.
Il film “le cose che verranno” della regista Mia Hansen-Love racconta, con grande leggerezza stilistica e di contenuto, questo percorso, dipanando la storia di Nathalie tra una Parigi benestante e ancora ignara degli attentati terroristici, le prealpi del Vercors, dove è andato a vivere Fabien, suo ex studente che intrattiene con lei un rapporto affettuoso, gli orizzonti vasti del nord ovest dove si reca per congedarsi dalla casa dell’ex marito e una gatta ereditata dalla madre.
Colpisce la reazione di Nathalie al doppio trauma: appare misurata, composta, più attenta ai benefici della nuova condizione che al dolore dell’abbandono e del lutto. Come se la regista avesse voluto focalizzare la continuità del percorso della protagonista, più che i momenti di cesura e sofferenza. Scelta stilistica deliberata e consapevole che, tuttavia, priva il film del suo pathos e lo rende un po’ piatto sotto il profilo emozionale. Sembra quasi che la regista abbia voluto proporre il ritratto di un’eroina “civile”, in grado di assorbire i colpi della vita, in virtù dell’adesione a convinzioni e norme che la guidano e a mantenersi coerente con la propria weltanschauung. In effetti, lo scioglimento del film sembra dar ragione a Nathalie, alla sua ricerca di libertà e valori
Tuttavia, sotto il profilo psicologico, il ritratto proposto appare poco verosimile e, forse, un po’ ideologico. Scotomizza la dimensione della perdita, intrinseca nello stesso concetto di esistenza e ci consegna un percorso ellittico, che coglie i momenti della ricostruzione e della riaffermazione personale, ma non quelli del dolore, della mancanza, del conflitto e dell’ambivalenza che ne costituiscono parte integrante e necessaria.
W.
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