marcloud
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mercoledì 26 agosto 2020
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la poetica di spike lee
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La poetica sulla New York di Spike Lee resta di un'attualità pazzesca e oggi come ieri, ci racconta delle tensioni razziali che sono presenti nel DNA degli Stati Uniti. Sicuramente la pellicola che ha reso Spike Lee un regista di culto per la comunità afro-americana e in generale per qualsiasi cinefilo.
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biscotto51
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sabato 11 luglio 2020
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una collezione di luoghi comuni
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Tra i grandi misteri dell'universo brilla questo film, il cui successo è inspiegabile. Situazioni vecchie, stantie, stereotipate, dialoghi profondi e acuti come quelli da bar, pensieri e riflessioni da terza elementare, personaggi che sono solo macchiette e sono talmente falsi e vuoti che sembrano inventati al momento, solo maschere che interpretanno un personaggio (lo svitato che vende volantini, i tre vecchietti che pontificano su tutto seduti sul marciapiede, i negri che accaldati aprono l'idrante per rinfrescarsi e annaffiare anche ci non ci starebbe, la nonnina alla finestra che riceve i fiori dal vecchio soprannominato "sindaco" e vai di questo passo, di questi cliché).
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Tra i grandi misteri dell'universo brilla questo film, il cui successo è inspiegabile. Situazioni vecchie, stantie, stereotipate, dialoghi profondi e acuti come quelli da bar, pensieri e riflessioni da terza elementare, personaggi che sono solo macchiette e sono talmente falsi e vuoti che sembrano inventati al momento, solo maschere che interpretanno un personaggio (lo svitato che vende volantini, i tre vecchietti che pontificano su tutto seduti sul marciapiede, i negri che accaldati aprono l'idrante per rinfrescarsi e annaffiare anche ci non ci starebbe, la nonnina alla finestra che riceve i fiori dal vecchio soprannominato "sindaco" e vai di questo passo, di questi cliché). Dopo un'ora non ce l'ho fatta più e ho spento. C'é un limite a tutto, soprattutto alla banalità, all'insulsaggine, alla piattezza. Film per bambini di prima elementare che non sanno niente del mondo e che si stupiscono della prima cosa che vedono perché non hanno visto altro.
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rmarci 05
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giovedì 11 luglio 2019
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l'incomunicabilità, la violenza, l'odio razziale
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Terzo film di Spike Lee, che illustra, con uno stile a metà tra il Neorealismo italiano e la violenza esplicita del miglior Scorsese, la quotidianità nei quartieri popolari di Brooklyn, dove le chiacchierate con gli amici, le giornate passate ai locali ed i pettegolezzi della radio si alternano ad improvvisi episodi di violenza che scoppiano tra le diverse comunità, ognuna delle quali difende e valorizza la propria cultura ma disprezza le altre, a causa di una preoccupante intolleranza a sfondo razzista insinuata all'interno della società contemporanea, americana e non solo. Essa è dominata, inoltre, dall'incomunicabilità e dal pregiudizio, elementi che determinano la totale diffidenza nei confronti del diverso.
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Terzo film di Spike Lee, che illustra, con uno stile a metà tra il Neorealismo italiano e la violenza esplicita del miglior Scorsese, la quotidianità nei quartieri popolari di Brooklyn, dove le chiacchierate con gli amici, le giornate passate ai locali ed i pettegolezzi della radio si alternano ad improvvisi episodi di violenza che scoppiano tra le diverse comunità, ognuna delle quali difende e valorizza la propria cultura ma disprezza le altre, a causa di una preoccupante intolleranza a sfondo razzista insinuata all'interno della società contemporanea, americana e non solo. Essa è dominata, inoltre, dall'incomunicabilità e dal pregiudizio, elementi che determinano la totale diffidenza nei confronti del diverso. Il giovane regista, nonostante la poca esperienza, affronta queste tematiche molto delicate con ammirevole lucidità e soprprendente fermezza, senza cadere mai nel vittimismo né tantomeno nel finto buonismo, ma preferendo, invece, sottolineare l'incapacità delle persone di dialogare tra loro senza l'utilizzo della violenza e condannando, inoltre, il comportamento inaccettabile delle forze dell'ordine che, anziché risolvere le tensioni sociali, le alimentano uccidendo ed intimidendo. Come osservatore esterno di questo vortice interminabile c'è lo stesso autore, interprete del personaggio di Mookie che, con sguardo rassegnato, si domanda se diverse comunità potranno mai convivere insieme. Con il supporto delle ottime interpretazioni, di una sceneggiatura solidissima arricchita da dialoghi geniali e della fotografia meravigliosamente kitsch, Spike Lee firma una delle sue opere più riuscite, personali e necessarie, nonché uno dei migliori film sul razzismo mai realizzati.
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carbonio14
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domenica 18 febbraio 2018
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da vedere assolutamente ma in lingua orginale
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del film mi piace molto l'aria quasi divertita che attraversa tutto il film fino all'ultima mezz'ora che, invece, è molto drammatica e forte.
consiglio sempre la lingua originale perchè il doppiaggio risente moltissimo degli anni passati.
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emanuelemarchetto
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sabato 18 marzo 2017
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il film più rappresentativo di spike lee
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Due nomination agli Oscar: migliore sceneggiatura originale e come miglior attore non protagonista (Danny Aiello).
Siamo a Brooklyn durante la giornata più calda dell'anno e seguiamo le vicende di diversi abitanti del quartiere, intenti a combattere l'afa. In special modo seguiamo le vicende di Mookie (Spike Lee), afroamericano che lavora per una pizzeria tenuta da italo-americani, gli unici bianchi del quartiere.
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Due nomination agli Oscar: migliore sceneggiatura originale e come miglior attore non protagonista (Danny Aiello).
Siamo a Brooklyn durante la giornata più calda dell'anno e seguiamo le vicende di diversi abitanti del quartiere, intenti a combattere l'afa. In special modo seguiamo le vicende di Mookie (Spike Lee), afroamericano che lavora per una pizzeria tenuta da italo-americani, gli unici bianchi del quartiere. Le tensioni razziali che serpeggiano serpeggiano tra i personaggi, diventano concrete quando Radio Raheem perde la vita per mano della polizia. Questo provoca una rivota degli afro-americani, con conseguente distruzione della pizzeria.
Il terzo film di Spike Lee prende liberamente spunto da alcuni avvenimenti reali. In particolar modo dal cosiddetto "Howard Beach Incident": il 20 dicembre 1986 un operaio di 23 anni venne ucciso, insieme a due suoi amici, per mano di alcuni italo-americani proprietari di una pizzeria, scatenando così la dura reazione della comunità afro-americana.
Dice il regista: "Storicamente i rapporti tra italiani-americani e africani-americani sono sempre stati caratterizzati da una dinamica particolare, che talvolta si trasforma in violenza". In "Fa' la cosa giusta" le tensioni razziali in un quartiere tradizionalmente abitato da neri si moltiplicano, mostrando in modo più sfaccettato l'intolleranza che è insita nell'uomo. Ci sono anche dei coreani proprietari di un negozio che vengono discriminati per i prodotti che vendono e per il modo di parlare, sia dai neri; sia da dei giovani portoricani. Ampliando lo spettro delle minoranze, Spike Lee racconta una specie di guerra tra poveri, dove ogni fazione esibisce orgogliosa simboli e vittorie della propria etnia, schermandosi dietro al pregiudizio che loro stessi hanno subito: vedi per esempio le foto appese nella pizzeria che raffigurano attori italo-americani di successo. A questo proposito, la scena più rappresentativa è quella in cui un ragazzo bianco sporca per sbaglio le Jordan nuove di un ragazzo nero: questo porta a una piccola rivolta di un gruppetto di afro-americani che intimano il suddetto ragazzo di "tornarsene nel Massachusetts". La sequenza è una previsione ironica di quello che avverrà dopo nel film.
In questo modo le varie etnie diventano quasi degli stereotipi viventi, fieri della propria diversità e per questo poco aperti all'integrazione.
Curiosità: nello stesso anno Spike Lee ha girato lo spot delle Nike Jordan insieme all'omonimo giocatore di pallacanestro. Questo rende la presenza delle scarpe nel film, a mio parere, il più geniale product placement della storia.
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davidino.k.b.
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martedì 27 ottobre 2015
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tutti contro tutti
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bianchi contro neri contro poliziotti contro cinesi contro tutti. Grande Spike
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il befe
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lunedì 9 marzo 2015
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capolavoro
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marilena
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lunedì 22 settembre 2014
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un film da vedere, sconcertante
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In un primo momentola popolazione di colore di quell'angolo di brooklin è odiosa. ma poi capisci che il film è vero, coglie momenti di una situazione di conflitto perenne , di razzismo..Sembra non esserci scampo a questa situazione complessa. Nei film sulla schiavitù sai sempre da che parte stare, ma qui tutto è difficile. Mi sembra che questo film rifletta il disorientamento della gente che non capisce a chi dare torto a chi ragione. Disorientamento che tanti , come me e proprio in quest'epoca,,provano in quest'epoca.
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alex41
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lunedì 12 agosto 2013
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un vero pugno nello stomaco
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Un film avanti con gli anni, uno dei migliori film di Spike Lee che, con questo film, è entrato nel mondo del cinema dimostrando di essere un grande appassionato, nonché un regista 360 gradi (ha diretto perfino videoclip, documentari e spot pubblicitari). La storia è ambientata in una specie di ghetto in cui vivono gente di colore tra bande, vecchi pensionati e semplici lavoratori, ma anche italoamericani e coreani. Il film ci vuole mostrare, con un vero pugno nello stomaco, di come vivono queste diverse etnie tra scontri, insulti e battibecchi, fino a uno dei finali più terrificanti che abbia mai visto: Spike Lee dimostra di essere un mago coi controglioni della cinepresa, capace di farti immedesimare nei suoi personaggi fino alla fine e a vivere l'esperienza in prima persona come nessun'altro è in grado di fare (forse solo Kubrick).
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Un film avanti con gli anni, uno dei migliori film di Spike Lee che, con questo film, è entrato nel mondo del cinema dimostrando di essere un grande appassionato, nonché un regista 360 gradi (ha diretto perfino videoclip, documentari e spot pubblicitari). La storia è ambientata in una specie di ghetto in cui vivono gente di colore tra bande, vecchi pensionati e semplici lavoratori, ma anche italoamericani e coreani. Il film ci vuole mostrare, con un vero pugno nello stomaco, di come vivono queste diverse etnie tra scontri, insulti e battibecchi, fino a uno dei finali più terrificanti che abbia mai visto: Spike Lee dimostra di essere un mago coi controglioni della cinepresa, capace di farti immedesimare nei suoi personaggi fino alla fine e a vivere l'esperienza in prima persona come nessun'altro è in grado di fare (forse solo Kubrick). Degne di nota sono poi la fotografia eccezionale, in cui il colore che domina è il giallo, una sceneggiatura degna del miglior Tarantino e una regia piena di controcampi, lunghe panoramiche, piani sequenza e perfino steadycam, fino alla strepitosa colonna sonora "Fight The Power" dei Public Enemy. Ciò che però veramente mi ha colpito di questo film è come riesce a dipingere dei personaggi talmente incredibili quasi comparabili a un film come "Pulp Fiction": oltre a Mookie (interpretato dallo stesso Spike Lee) sono memorabili Sal (un Danny Aiello da Oscar), Vito (un John Turturro irriconoscibile e spettacolare), l'odioso Buggin Out (un bravissimo Giancarlo Esposito), l'inquietante Radio Raheem (grandissimo Bill Nunn), il dj Senor Love (un Samuel L. Jackson giovanissimo) fino al Sindaco (un eccezionale Ossie Davis), forse il personaggio migliore del film. Da ricordare anche un giovane e allora sconosciuto Martin Lawrence nel ruolo di un ragazzo di strada. Un film quindi da vedere, un (quasi) capolavoro che riesce ancora a distanza di anni a stupire, con un significato solido e uno sviluppo incredibile, quasi da documentario. Vedere per credere, su Lee si va sempre sul sicuro!
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don luca
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sabato 6 luglio 2013
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caro lee, quale sarebbe la cosa giusta?
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Il giovincello regista Spike Lee esprime il disagio sociale della comunità afroamericana di un quartiere di Brooklyn sulle note di "Fight The Power" dei Public Enemy, nonchè uno dei gruppi pioneri dell'Hip-Hop. La regia è più che buona, accompagnata da un ottima fotografia. Cast discreto. Ma la vera pecca è il contenuto, contradittorio e ipocrita.
Per quel che mi riguarda, una giornata nel ghetto non basta a giustificare la violenza gratutia esercitata sul pizzaiolo italo-americano. Infatti, il finale è un qualcosa di più insulso si sia mai visto nel cinema. Saebbe questa, la "cosa giusta", caro Lee?
E' curioso come il regista, spesso sensibile alla descriminazione, quando i personaggi di questo suo film, la maggior parte neri, non fanno altro che parlare del colore della pelle, soprattutto l'odioso Buggin Out.
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Il giovincello regista Spike Lee esprime il disagio sociale della comunità afroamericana di un quartiere di Brooklyn sulle note di "Fight The Power" dei Public Enemy, nonchè uno dei gruppi pioneri dell'Hip-Hop. La regia è più che buona, accompagnata da un ottima fotografia. Cast discreto. Ma la vera pecca è il contenuto, contradittorio e ipocrita.
Per quel che mi riguarda, una giornata nel ghetto non basta a giustificare la violenza gratutia esercitata sul pizzaiolo italo-americano. Infatti, il finale è un qualcosa di più insulso si sia mai visto nel cinema. Saebbe questa, la "cosa giusta", caro Lee?
E' curioso come il regista, spesso sensibile alla descriminazione, quando i personaggi di questo suo film, la maggior parte neri, non fanno altro che parlare del colore della pelle, soprattutto l'odioso Buggin Out.
E' come se in tutto il film, Lee avesse cercato prima di infangare il razzismo e poi, nel finale, avesse deciso di promuovere la pelle nera attraverso una violenza stupida e ingiustificata. E' questa la cosa giusta?
Il bello èche poi, nelle interviste, Lee ha il coraggio di lamentarsi dei film di Tarantino, pechè costui usa troppo frequentemente la parola "negro.
Insomma, sarebbe stato un ottimo film a mio parere senza quel finale decisamente arrogante e stupido.
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