rondinella
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domenica 7 novembre 2021
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orso d'oro 2012, tante vite salvate dai laboratori teatrali nelle carceri.
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Ormai è risaputo, il teatro in carcere abbassa sensibilmente la recidiva. Così è stato per buona parte del cast di CESARE DEVE MORIRE. Uno per tutti Salvatore Striano che dopo quell'Orso d'Oro ha fatto tanta strada nel cinema, nel teatro e ha scritto tre libri liberamente ispirati alla sua vita. I Fratelli Taviani hanno voluto scommettere sui detenuti e hanno vinto!
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rmarci 05
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martedì 9 luglio 2019
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un film geniale, necessario e coraggioso
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I fratelli Taviani, acclamati autori del cinema italiano contemporaneo, riesumano il Giulio Cesare di W. Shakespeare trasportandolo all'interno degli ambienti inospitali e decadenti del carcere di Rebibbia in un film estremamente originale, che ha il principale merito di far scoprire l'arte ai detenuti rendendoli consapevoli del patrimonio culturale che hanno perduto e sottolineando l'importanza che l'arte può avere come strumento per un percorso di redenzione, di riscatto sociale. Ciò avviene grazie anche alla recitazione in dialetto, in modo che gli interpreti possano immedesimarsi maggiormente nei personaggi fino a ritrovare loro stessi all'interno dell'opera di Shakespeare, un testo letterario notoriamente senza tempo che affronta tematiche ancora oggi molto attuali come la congiura, il tradimento, le menzogne, la perdita ed il prezzo del potere.
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I fratelli Taviani, acclamati autori del cinema italiano contemporaneo, riesumano il Giulio Cesare di W. Shakespeare trasportandolo all'interno degli ambienti inospitali e decadenti del carcere di Rebibbia in un film estremamente originale, che ha il principale merito di far scoprire l'arte ai detenuti rendendoli consapevoli del patrimonio culturale che hanno perduto e sottolineando l'importanza che l'arte può avere come strumento per un percorso di redenzione, di riscatto sociale. Ciò avviene grazie anche alla recitazione in dialetto, in modo che gli interpreti possano immedesimarsi maggiormente nei personaggi fino a ritrovare loro stessi all'interno dell'opera di Shakespeare, un testo letterario notoriamente senza tempo che affronta tematiche ancora oggi molto attuali come la congiura, il tradimento, le menzogne, la perdita ed il prezzo del potere. Quello che conta inoltre, è la rappresentazione e la preparazione dello spettacolo teatrale: esso è ambientato all'interno del carcere, con un utilizzo molto limitato delle scenografie e dei costumi. I due registi, infatti, puntano soprattutto sulla straordinaria bravura degli interpreti, sull'affascinante fotografia in bianco e nero e sulla colonna sonora avvolgente ed ipnotica. Tutte scelte stilistiche che, fortunatamente, sono valori aggiunti alla buona riuscita dell'opera. In conclusione, un film impegnativo e a tratti difficile da seguire, ma indubbiamente necessario, geniale ed incredibilmente coraggioso.
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dario
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giovedì 4 giugno 2015
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originale
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Gli nuoce la mancanza di narrazione. Le scene sono a se stanti e risentono della solita teatralità, tipica delle opere tratte da testi classici. Si decanta più che recitare. Non poco gli attori (improvvisati) riescono a contenere il fenomeno grazie ad una semplicità che li fa convincenti, molto più di tanti professionisti. Regia manierata ma efficace, meglio scenografia e fotografia. Belle le metafore sottese.
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dario
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giovedì 4 giugno 2015
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originale
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Gli nuoce la mancanza di narrazione. Non c'è crescita drammatica, ma tante scene teatralizzate, secondo la solita abitudine di decantare invece di recitare, tipica della messa in scena di testi classici. Non poco si salva grazie agli attori, più bravi, qui, di tanti professionisti. Regia rigida, manierata, ma sincera e d'effetto, Meglio la scenografia. Belle metafore all'interno.
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enzo70
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martedì 4 febbraio 2014
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un film necessario per capire
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“Fine pena mai” il sottotitolo all’inizio del film, film che finisce con questa frase: “da quando ho conosciuto l’arte questa cella è diventata una prigione”. Film di rara potenza e freschezza espressiva, esercizio durissimo di trasposizione di dolore e speranza, dove la seconda prevale sulla prima, il cinema italiano matura un debito enorme con questi due registi ultraottantenni per un film su un tema attuale come quello della detenzione che ha il tono dell’eternità dell’arte di Shakespeare. Non c’è l’irriverenza di Nanni Loy nello splendido scugnizzi, i Taviani mettono sul proscenio i detenuti di Rebibbia, tutti con pene definitive importanti, il che significa una vita in carcere, e gli chiedono di interpretare un classico della tragedia di sempre, di farlo in dialetto, con semplicità, per non perdere il pathos del tradimento di Giulio Cesare da parte di Bruto.
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“Fine pena mai” il sottotitolo all’inizio del film, film che finisce con questa frase: “da quando ho conosciuto l’arte questa cella è diventata una prigione”. Film di rara potenza e freschezza espressiva, esercizio durissimo di trasposizione di dolore e speranza, dove la seconda prevale sulla prima, il cinema italiano matura un debito enorme con questi due registi ultraottantenni per un film su un tema attuale come quello della detenzione che ha il tono dell’eternità dell’arte di Shakespeare. Non c’è l’irriverenza di Nanni Loy nello splendido scugnizzi, i Taviani mettono sul proscenio i detenuti di Rebibbia, tutti con pene definitive importanti, il che significa una vita in carcere, e gli chiedono di interpretare un classico della tragedia di sempre, di farlo in dialetto, con semplicità, per non perdere il pathos del tradimento di Giulio Cesare da parte di Bruto. E se l’arte deve toccare le corde del cuore, questo film parte da quelli dei protagonisti, attori non per caso, la vita è fatta di bivi, tanti bivi. Il dibattito sul tema della detenzione, anzi sulla funzione della stessa, dovrebbe partire da uno spirito alto, quello dei film dei Taviani, perché questa strana nazione è fatta da gente che parla senza sapere di cosa parla e di gente che fa un film così dove alla fine non sai di cosa parlare perché senti il dolore degli altri. Come in una commedia di Shakespeare recitata a Rebibbia.
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jayan
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lunedì 30 dicembre 2013
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da quando ho conosciuto l'arte questa cella è dive
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"Da quando ho conosciuto l'arte questa cella è diventata una prigione". Questa frase viene detta alla fine della rappresentazione teatrale all'interno della prigione di Rebibbia, dove i carcerati, anche alcuni ergastolani, hanno recitato "Cesare deve morire" di W. Shakespeare. E' un messaggio forte. I carcerati, che prima accetavano supinamente la loro realtà, ora, dopo aver provato la libertà di vivere fuori le sbarre, seppur con l'immaginazione, non riescono più ad accettarla. E' un finale triste: il ritorno alla realtà dopo il sogno della libertà. E infatti è stato proprio un sogno, e ora si sono svegliati alla durezza della vita carceraria.
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"Da quando ho conosciuto l'arte questa cella è diventata una prigione". Questa frase viene detta alla fine della rappresentazione teatrale all'interno della prigione di Rebibbia, dove i carcerati, anche alcuni ergastolani, hanno recitato "Cesare deve morire" di W. Shakespeare. E' un messaggio forte. I carcerati, che prima accetavano supinamente la loro realtà, ora, dopo aver provato la libertà di vivere fuori le sbarre, seppur con l'immaginazione, non riescono più ad accettarla. E' un finale triste: il ritorno alla realtà dopo il sogno della libertà. E infatti è stato proprio un sogno, e ora si sono svegliati alla durezza della vita carceraria. Gli attori, quasi tutti veri carcerati, hanno recitato benissimo questa opera teatrale, e lo hanno fatto in modo teatrale, come andava fatta. I registi, i fratelli Taviani, hanno la capacità di trasformare un'opera di Shakespeare in un dramma della vita, ripreso dal cinema, ma rimanendo dietro le "mura" di un palcoscenico di teatro. I prigionieri si immedesimano talmente nella recitazione che credono davvero di essere uomini liberi. E quando saranno uccisi i protagonisti e l'opera sarà finita, e dovranno tornare tristi nelle loro celle, allora finirà la loro vita. Un attimo di libertà che si è spento come una candela che ha consumato la cera. Un film capolavoro! Pienamente meritato il premio Orso d'Oro al Festival di Berlino e i 5 premi al Davide di Donatello. Sempre originali e creativi i fratelli Taviani. Con questo film hanno raggiunto l'apice.
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rosemberg
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lunedì 2 dicembre 2013
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sta' cella me pare na' prigione
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Con una frase memorabile termina il docu-dramma dei fratelli Taviani (meritatissimo orso d'oro al festival di Berlino del 2012) intitolato "Cesare deve morire": siamo in una cella,precisamente nella cella dove alloggia un certo Cosimo Rega,delinquente di primissimo ordine che,dopo aver recitato la parte di Cassio nel Giulio Cesare di Shakespeare dice :"Da quando ho conosciuto l'arte sta' cella me pare na' prigione". La storia si svolge nel carcere di Rebibbia,dove il il regista teatrale Fabio Cavalli sceglie di mettere in atto per l'opera teatrale annuale il famoso dramma shakespeariano e di farlo interpretare (l'avrete capito) dagli stessi carcerati.
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Con una frase memorabile termina il docu-dramma dei fratelli Taviani (meritatissimo orso d'oro al festival di Berlino del 2012) intitolato "Cesare deve morire": siamo in una cella,precisamente nella cella dove alloggia un certo Cosimo Rega,delinquente di primissimo ordine che,dopo aver recitato la parte di Cassio nel Giulio Cesare di Shakespeare dice :"Da quando ho conosciuto l'arte sta' cella me pare na' prigione". La storia si svolge nel carcere di Rebibbia,dove il il regista teatrale Fabio Cavalli sceglie di mettere in atto per l'opera teatrale annuale il famoso dramma shakespeariano e di farlo interpretare (l'avrete capito) dagli stessi carcerati. La cosa di per sé è audace e particolarmente "umana",ma non straordinaria quanto il fatto di farli recitare ognuno nel suo dialetto di origine. E così abbiamo un Giulio Cesare che parla un romanaccio da nobile,un Bruto che si esprime usando una specie di napoletano-casertano,un Cassio napoletano per eccellenza,un Decio pugliese e così via. Varie sono le parti memorabili di questo film di 76 minuti,vari i momenti in cui,nonostante l'enfasi delle prove e l'assoluta partecipazione emotiva dei carcerati riusciamo,noi miseri spettatori,a cogliere la frustrazione e il dolore di uomini costretti a vivere 24 ore su 24 in gabbia. E così di notte assistiamo,o meglio ascoltiamo,i pensieri di uomini che,a causa di strade inaffidabili (bella la scena in cui "Cassio" dice di avere l'impressione che Shakespeare sia vissuto per le vie più malfamate di Napoli) o di scelte di vita quasi obbligate,si ritrovano in galera,lontani da tutto,lontani dal mondo. Alla fine quello che rimane della trama è il ritorno di uomini sconfitti alle loro gabbie,accompagnati da semplici guardiani nei loro personalissimi e silenziosi inferni di cemento. L'arte non li salverà da niente,ma questa non è certo una novità. Ed è questa consapevolezza a rendere il film meno banale di quel che sembrava inizialmente.
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graziano bianco
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sabato 23 marzo 2013
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grandissimo
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questo è un film fatto con pochissimi mezzi ed è riuscitissimo...voglio solo dire a chi fa cinema in italia che questo è l'esempio rampante di cosa manca al cinema italiano ,sono le idee, cosa che i fratelli taviani ancora hanno...il film è assolutamente da vedere....
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pensierocivile
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lunedì 4 febbraio 2013
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nessuno sciopero della fame
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Film importante, doloroso, coraggioso, vitale, che va ben al di là della resa cinematografica, comunque di buon livello. I Taviani non gridano, lasciano che a raccontare sia il teatro, la preparazione, la possibilità di partecipare e, ignorando ogni artificio retorico, arrivano ai valori assoluti senza bisogno di alcuno sciopero della fame. Terribile è l'avvio, ripreso poi nel finale, con il ritorno alla "vita" o in attesa di poter raccontare altro, terribili sono quelle celle che si chiudono dopo una gioia, ma non c'è assoluzione, il racconto è racconto, le condanne sono un timbro sotto i volti. CESARE DEVE MORIRE raggiunge vette di grande cinema nell'uso degli ambienti, laddove il carcere scompare, scenografia fantastica e crudele, "sfruttato" per l'attesa del giorno dello spettacolo.
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Film importante, doloroso, coraggioso, vitale, che va ben al di là della resa cinematografica, comunque di buon livello. I Taviani non gridano, lasciano che a raccontare sia il teatro, la preparazione, la possibilità di partecipare e, ignorando ogni artificio retorico, arrivano ai valori assoluti senza bisogno di alcuno sciopero della fame. Terribile è l'avvio, ripreso poi nel finale, con il ritorno alla "vita" o in attesa di poter raccontare altro, terribili sono quelle celle che si chiudono dopo una gioia, ma non c'è assoluzione, il racconto è racconto, le condanne sono un timbro sotto i volti. CESARE DEVE MORIRE raggiunge vette di grande cinema nell'uso degli ambienti, laddove il carcere scompare, scenografia fantastica e crudele, "sfruttato" per l'attesa del giorno dello spettacolo. Meno riuscito l'innesto di episodi di vita carceraria, quando il registro di colpo cambia e gli attori devono inseguire la realtà, mostrare caratteri, contrasti e sentimenti: forse si chiede troppo ad interpreti che riempiono i rispettivi personaggi di un talento grezzo ma innegabile.
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stefano.capuzzi
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martedì 29 gennaio 2013
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lentissimo
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Un film decisamente lento, anche per chi apprezza parecchio il teatro. In più si son dimenticati che siamo in Italia, e quindi, se la metà del film non la capisco perchè è parlata con pesante cadenza ( o dialetto) del sud Italia, questo andrebbe scritto nella locandina o dovrebbero mettere i sottotitoli.
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