luca scial�
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mercoledì 23 gennaio 2013
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la genialità di un evasore
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In un carcere gestito dai tedeschi nella Francia occupata del '43, un componente della resistenza, consapevole di essere stato condannato a morte, medita la fuga. Giorno per giorno la progetta, costruendosi genialmente gli attrezzi con quello che trova. Viene poi aiutato da un altro detenuto che lui inizialmente crede di essere una spia. Fondamentale anche l'appoggio psicologico degli altri detenuti.
Bresson traspone un racconto di André Devigny, facendoci entrare nella psiche del personaggio, rendendoci tutti un po' imprigionati ingiustamente con la voglia di evadere. L'utilizzo di attori non professionisti rende il film ancora più realistico.
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blade
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lunedì 7 marzo 2011
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una conquista ...
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..... interiore. Del protagonista della storia del film, dello scrittore, del regista e grazie a tutto questo anche per il cinema. Me lo sono gustato davvero fino in fondo.
Non vorrewi dire cose impegnate perchè già si sanno e molti le hanno già dette, ma solo pensieri a ruota libera,
mi hq ricordato la maniacalità di Kubrick per l'attenzione posta sugli elementi inquadrati dalla telecamera, in questo caso noi vediamo nel film un po' come un cavallo coi paraocchi perchè vediamo solo ciò che il protagonista vede, questo atteggiamento non è abituale per noi nel cinema ma grazie a questo Bresson crea un condotto magnetico
attraverso cui noi viviamo emozioni e sentiamo come se fossimo spettatori attenti e silenziosi presenti alla scena, presenti alla determinazione al rigore alla concentrazione che una situazione come questa richiede.
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..... interiore. Del protagonista della storia del film, dello scrittore, del regista e grazie a tutto questo anche per il cinema. Me lo sono gustato davvero fino in fondo.
Non vorrewi dire cose impegnate perchè già si sanno e molti le hanno già dette, ma solo pensieri a ruota libera,
mi hq ricordato la maniacalità di Kubrick per l'attenzione posta sugli elementi inquadrati dalla telecamera, in questo caso noi vediamo nel film un po' come un cavallo coi paraocchi perchè vediamo solo ciò che il protagonista vede, questo atteggiamento non è abituale per noi nel cinema ma grazie a questo Bresson crea un condotto magnetico
attraverso cui noi viviamo emozioni e sentiamo come se fossimo spettatori attenti e silenziosi presenti alla scena, presenti alla determinazione al rigore alla concentrazione che una situazione come questa richiede. più unico che raro vedere un film così completo in tutti gli aspetti comunicativi. Sono contento di averlo visto, finalmente un gran cinema.
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g. romagna
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venerdì 13 agosto 2010
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un condannato a morte è fuggito
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Un partigiano francese imprigionato dai nazisti durante il regime di Vichy progetta nei minimi dettagli la fuga che dovrà salvarlo dalla condanna a morte. Le circostanze gli impongono di attuare il suo piano assieme ad un compagno di cella. La voce narrante del protagonista descrive minuziosamente ogni fase preparatoria, dal sabotaggio della porta della cella alla fabbricazione della corda con relativo gancio, tantochè sono poche le scene in cui lo vediamo parlare direttamente. Stile scarno ed essenziale che più non si potrebbe (è un film che racconta un fatto esattamente nella maniera in cui si è svolto, come ci scrive Bresson subito dopo i titoli di testa), le cui attese "buzzatiane" culminano in un finale vivo e carico di tensione, seppur minimale ed assolutamente non dramatizzata od esaltata in alcun modo.
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Un partigiano francese imprigionato dai nazisti durante il regime di Vichy progetta nei minimi dettagli la fuga che dovrà salvarlo dalla condanna a morte. Le circostanze gli impongono di attuare il suo piano assieme ad un compagno di cella. La voce narrante del protagonista descrive minuziosamente ogni fase preparatoria, dal sabotaggio della porta della cella alla fabbricazione della corda con relativo gancio, tantochè sono poche le scene in cui lo vediamo parlare direttamente. Stile scarno ed essenziale che più non si potrebbe (è un film che racconta un fatto esattamente nella maniera in cui si è svolto, come ci scrive Bresson subito dopo i titoli di testa), le cui attese "buzzatiane" culminano in un finale vivo e carico di tensione, seppur minimale ed assolutamente non dramatizzata od esaltata in alcun modo. Interpretato più che validamente solo da attori non professionisti, il film si avvale delle musiche di Mozart, utilizzate per sottolineare con grande efficacia solo i momenti salienti della vicenda.
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mirror
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lunedì 14 giugno 2010
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capolavoro
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quando il cinema diventa cinematografo e la visione diventa arte. Magnifico
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il cinefilo
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martedì 8 giugno 2010
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una pietra miliare del cinema francese
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Il film incomincia con l'inquadratura di un carcere francese di detenuti vittime dei nazisti(l'anno è il 1943)e con una didascalia di Robert Bresson che rivendica come il film sia stato tratto da eventi realmente accaduti e cui seguono i titoli di testa avvalendosi contemporaneamente della musica di W.A.Mozart.
Quest'opera racconta la vicenda di un detenuto francese,condannato ad essere giustiziato per la sua appartenenza ai gruppi ribelli contro gli invasori tedeschi,e dei suoi minuziosi preparativi per un piano di fuga dalla prigione ma alla fine gli servirà un aiuto per poter fuggire prima della sua fucilazione.
Il regista,già dalle prime sequenze di questa "antica" pellicola,rivela al pubblico una cura affascinante e quasi maniacale delle inquadrature e lo fà attraverso un rigoroso e "statico" uso della cinepresa con la quale anche gli oggetti e i dettagli apparentemente più insignificanti(le manette,il cucchiaio,il buco della serratura,le mani del protagonista,i grimaldelli ecc.
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Il film incomincia con l'inquadratura di un carcere francese di detenuti vittime dei nazisti(l'anno è il 1943)e con una didascalia di Robert Bresson che rivendica come il film sia stato tratto da eventi realmente accaduti e cui seguono i titoli di testa avvalendosi contemporaneamente della musica di W.A.Mozart.
Quest'opera racconta la vicenda di un detenuto francese,condannato ad essere giustiziato per la sua appartenenza ai gruppi ribelli contro gli invasori tedeschi,e dei suoi minuziosi preparativi per un piano di fuga dalla prigione ma alla fine gli servirà un aiuto per poter fuggire prima della sua fucilazione.
Il regista,già dalle prime sequenze di questa "antica" pellicola,rivela al pubblico una cura affascinante e quasi maniacale delle inquadrature e lo fà attraverso un rigoroso e "statico" uso della cinepresa con la quale anche gli oggetti e i dettagli apparentemente più insignificanti(le manette,il cucchiaio,il buco della serratura,le mani del protagonista,i grimaldelli ecc.)diventano veri e propri "protagonisti silenziosi" del film e sono gli elementi fondamentali che conferiscono,gestiti da R.Bresson,una maggiore "poesia" a una grossa parte dei principali piani-sequenza del film.
Il protagonista principale(l'attore è francois Leterrier)si trova prigioniero,insieme a un vasto gruppo di "disperati",di un sistema tirannico(il nazismo)a cui comunque,non perdendosi d'animo,non ha intenzione di arrendersi(la sua determinazione alla fuga è una dimostrazione di questo coraggio)ed è deciso a tentare di tenere alto il morale dei suoi compagni prigionieri.
Questo capolavoro(non ci sono altri termini)può vantare,tra i tanti pregi,la sequenza dei due prigionieri che mettono in atto la loro fuga che è straordinaria,in termini di realizzazione,per la sua "intensa statica semplicità".
L'assenza di qualsivoglia sottofondo musicale(le musiche di Mozart sono relegate in pochissimi punti del film)si rivela essere un autentica "carta vincente" poichè amplifica in maniera notevole la dimensione quasi religiosa che il ritmo lento e didascalico conferisce agli oggetti e ai personaggi.
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breberto
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martedì 19 febbraio 2008
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più grande ad ogni ulteriore visione
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Ricordo quando - giovanissimo appassionato di cinema - vidi questo film circa 50 anni fa, al suo primo apparire sugli schermi. Avevo letto recensioni favorevoli e quindi doveva essere bello, mi doveva piacere: non è che non lo capii ma, poveretto me, non mi piacque, anche se forse non osai confessarlo. Era troppo lontano dal tipo di film che mi piacevano allora, i melodrammi hollywoodiani o i polizieschi. Rivisto più volte attraverso i decenni e ancora ieri sera, ora posso dire che - smaliziato sul linguaggio cinematografico di Bresson, così scarno, volutamente povero, ma tanto ricco e personale, il film mi piace molto e che l'ultima mezz'ora poi, dall'apparizione nella cella del protagonista del giovane Jost (che fuggirà con lui) mi procura una vera emozione.
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Ricordo quando - giovanissimo appassionato di cinema - vidi questo film circa 50 anni fa, al suo primo apparire sugli schermi. Avevo letto recensioni favorevoli e quindi doveva essere bello, mi doveva piacere: non è che non lo capii ma, poveretto me, non mi piacque, anche se forse non osai confessarlo. Era troppo lontano dal tipo di film che mi piacevano allora, i melodrammi hollywoodiani o i polizieschi. Rivisto più volte attraverso i decenni e ancora ieri sera, ora posso dire che - smaliziato sul linguaggio cinematografico di Bresson, così scarno, volutamente povero, ma tanto ricco e personale, il film mi piace molto e che l'ultima mezz'ora poi, dall'apparizione nella cella del protagonista del giovane Jost (che fuggirà con lui) mi procura una vera emozione. Il linguaggio di Bresson è quello che sarà poi nei film successivi: brevi sequenze con poco parlato, interrotte da dissolvenze incrociate, camera addosso al personaggio principale (qui c'è di diverso da altri film bressoniani la voce fuori campo) pochi ambienti mai ripresi in campo lungo: la cella (che non vediamo mai se non a pezzetti, mai nella sua totalità) le scale, il cortile per l'ora d'aria, il lavatoio. Poche e smozzicate battute scambiate con i compagni di prigionia, mentre dei soldati che vigilano non si vede mai il viso. Grande importanza dei rumori, quasi nulla la colonna musicale, limitata alle prime battute della Messa in do minote K.427 di Mozart, il tema degli archi, prima dell'attacco del coro: questo breve brano viene ripetuto più volte nel corso del film (la stessa cosa accade per alcune battute di una sonata per piano di Schubert in AU HASARD BALTHAZAR). Bresson descrive come un entomologo il lungo e paziente lavoro del protagonista nel preparare e attuare il suo piano di fuga. La fuga diventa per Fontaine qualche cosa come una vittoria contro il male, qualcosa che si carica di un grande valore spirituale. Non vi sono colpi di scena, la drammaturgia è tutta interiore. Certo è un cinema ascetico, che non concede nulla alle leggi e alle convenzioni di quello che abitualmente si intende per spettacolo cinematografico: ma il risultato è che, in alcuni decenni, ho potuto rivedere questo film con godimento crescente e conquistarlo sempre di più.
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[+] l'ho visto una sola volta..
(di prag)
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