jonnylogan
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lunedì 26 agosto 2024
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nel vortice dell''oblio
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Primo lungometraggio firmato Paolo Sorrentino che dopo anni di corti e assistenze alla regia, decise, nel 2001, di dar vita a una narrazione differente, capace di dimostrare il proprio tocco cinematografico innato, dando voce a personaggi e situazioni capaci di descrivere la nostra esistenza in maniera trasversale, innovativa ma comunque profonda. Mischiando tattica calcistica, riferimenti musicali - tutte le canzoni cantate da Toni Servillo sono scritte da suo fratello Peppe (voce e storico leader della Piccola Orchestra Avion Travel) e dallo stesso regista - facendo incastrare ogni tessera del puzzle in maniera sincrona ma imprevedibile sino all'ultima curva.
Nel corso della narrazione è inevitabile vedere l'ombra di un senso di sconfitta che pervade entrambi i protagonisti, imprevedibilmente omonimi e altrettanto diversi fra loro.
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Primo lungometraggio firmato Paolo Sorrentino che dopo anni di corti e assistenze alla regia, decise, nel 2001, di dar vita a una narrazione differente, capace di dimostrare il proprio tocco cinematografico innato, dando voce a personaggi e situazioni capaci di descrivere la nostra esistenza in maniera trasversale, innovativa ma comunque profonda. Mischiando tattica calcistica, riferimenti musicali - tutte le canzoni cantate da Toni Servillo sono scritte da suo fratello Peppe (voce e storico leader della Piccola Orchestra Avion Travel) e dallo stesso regista - facendo incastrare ogni tessera del puzzle in maniera sincrona ma imprevedibile sino all'ultima curva.
Nel corso della narrazione è inevitabile vedere l'ombra di un senso di sconfitta che pervade entrambi i protagonisti, imprevedibilmente omonimi e altrettanto diversi fra loro. Incapaci di fare altro nella vita se non essere all'infinito parte del loro microcosmo professionale e personale: l’uno un calciatore di successo, ispirato dalla figura di Agostino Di Bartolomei, per la serietà con la quale indifferentemente scende in campo o si pone nei confronti di chiunque. L’altro un cantante neo melodico che pare ispirato alla figura di Franco Califano, per via delle medesime ombre di successo e caduta che ne hanno caratterizzato tutta l'esistenza. Una storia nata quindi per raccontare le vite parallele di questi due uomini programmati sin da subito per ‘uscire sconfitti’. Due omonimi che come dicevamo risultano essere profondamente differenti. Il primo fin troppo serio, taciturno e desideroso di riconvertirsi nel ruolo di allenatore. Perché al calcio non può proprio rinunciare. L’altro uno sbruffone incapace di vedere la propria vita lontano dal palco sul quale sale ormai da quarant’anni.
Per entrambi però il destino è dietro l’angolo, pronto a spezzarne i sogni e a farli incontrare, solo per qualche istante, per farli rendere consapevoli di come la vita possa dare e riprendere in pochi istanti, quelli sufficienti a una gamba per potersi fratturare o a un cantante supponente per commettere un errore capace di spazzarlo via in pochi secondi.
Completano quest’opera prima, solo all'apparenza troppo lenta, ma anche altrettanto accattivante: un soggetto solido, poi ripreso successivamente dallo stesso Sorrentino per il suo Hanno tutti ragione, libro in concorso al premio strega 2010 nel quale fa nuovamente capolino ‘Tony’ Pisapia, in questo caso con il nome di ‘Tony’ Pagoda. A questi si aggiungono; una serie di recitazioni intense, chiare, efficaci, fra le quali vanno sottolineate oltre alla prova del solito impeccabile Servillo, ancora oggi a distanza di oltre venti anni vero feticcio e portafortuna di Sorrentino, capace di dar vita a un monologo finale iconico e che riproponiamo nel link video a seguire. Anche quella di Andrea Renzi, che in tempi più recenti abbiamo saputo apprezzare in Gomorra - La serie (id.; 2014 - 2021), qui nel ruolo di un calciatore decisamente fuori da qualunque gioco di potere.
Vincitore del Nastro d'argento 2002 e del CIAK d'oro 2002 per l'esordio alla regia e alla sceneggiatura di Paolo Sorrentino. Accolto da pubblico e critica come una pellicola imprescindibile fra quelle degli ultimi venti anni, L'uomo in più rappresenta uno sguardo nella vita di ognuno di noi e di come il destino possa voltarci le spalle senza guardare in faccia a nessuno.
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ennio
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giovedì 18 ottobre 2018
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film autoreferenziale, con poco entusiasmo
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La prima parte del film è passabile, il personaggio di Servillo mette buonumore, e lui canta pure benino. Nella seconda parte il film si perde in dilungamenti inutili, scene slegate dal contesto, ricorrendo spesso ad altrettanto non necessari momenti onirico-simbolici. Ci si salva dal sonno solo grazie a qualche momento da one-man-show di Servillo.
Per il resto la trama è alquanto banale. Due uomini tristi, uno per carattere l'altro per destino esistenziale, che casualmente portano lo stesso nome e che altrettanto casualmente non hanno nulla a che vedere l'uno con l'altro. Resta da capire se Andrea Renzi, che interpreta il calciatore, sia un attore così così oppure un attore talmente bravo da recitare in modo così realistico la parte di un uomo tanto ingenuo quanto triste e indifeso di fronte ai casi della vita.
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La prima parte del film è passabile, il personaggio di Servillo mette buonumore, e lui canta pure benino. Nella seconda parte il film si perde in dilungamenti inutili, scene slegate dal contesto, ricorrendo spesso ad altrettanto non necessari momenti onirico-simbolici. Ci si salva dal sonno solo grazie a qualche momento da one-man-show di Servillo.
Per il resto la trama è alquanto banale. Due uomini tristi, uno per carattere l'altro per destino esistenziale, che casualmente portano lo stesso nome e che altrettanto casualmente non hanno nulla a che vedere l'uno con l'altro. Resta da capire se Andrea Renzi, che interpreta il calciatore, sia un attore così così oppure un attore talmente bravo da recitare in modo così realistico la parte di un uomo tanto ingenuo quanto triste e indifeso di fronte ai casi della vita.
Alla fine l'impressione è quella di un prodotto autocelebrativo, dai dialoghi alle musiche alla fotografia la regìa sembra dire "ecco sono Sorrentino e faccio più o meno sempre lo stesso film, impacchettato sempre allo stesso modo"
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martedì 7 agosto 2018
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film pessimo e volgare
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Ho cominciato a visionario in tv su IRIS. Mi piacciono molto i films che trattano di eventi legate a squadre, allenatori, competizioni sportive. Gli americani , con grandi attori, ne hanno fatti tanti realistici e ottimamente costruiti! Questo italiano, come d'uso, volgare, con attori che parlano in becero dialetto, parolacce in quantità, ceffi che si misurano con atteggiamenti guappeschi! In sostanza un film vomitevole e non fruibile da persone civili! In Italia, purtroppo, la cinematografia e' molto ma molto scadente!
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gabri0001
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venerdì 29 maggio 2015
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gli uomini in piu'
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Nel film, Antonio Pisapia, (il calciatore), propone di utilizzare in campo la tattica chiamata “l’uomo in piu” da cui prende titolo il film.
Nel film, il regista segue le vite di due personaggi omonimi, facendo vedere il loro successo e poi, la loro discesa.
Il titolo, che può avere moltissimi significati, fa chiaramente notare allo spettatore che non c’è un uomo in piu’, ma ben due: il calciatore e il cantante.
Quando la madre di Antonio, (il cantante), gli dice ‹‹Dovevi morirci tu in quel mare e non tuo fratello››; si sente appunto come un uomo in piu’.
E quando all’omonimo calciatore viene detto che non potrà fare l’allenatore, anche lui si sente così.
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Nel film, Antonio Pisapia, (il calciatore), propone di utilizzare in campo la tattica chiamata “l’uomo in piu” da cui prende titolo il film.
Nel film, il regista segue le vite di due personaggi omonimi, facendo vedere il loro successo e poi, la loro discesa.
Il titolo, che può avere moltissimi significati, fa chiaramente notare allo spettatore che non c’è un uomo in piu’, ma ben due: il calciatore e il cantante.
Quando la madre di Antonio, (il cantante), gli dice ‹‹Dovevi morirci tu in quel mare e non tuo fratello››; si sente appunto come un uomo in piu’.
E quando all’omonimo calciatore viene detto che non potrà fare l’allenatore, anche lui si sente così.
Nel momento in cui il calciatore compie il suicidio, è perché capisce che ormai, nel mondo, non c’è un posto per lui.
E quando il cantante uccide l’uomo che non ha fatto diventare allenatore l’amico, è come se avesse potuto vendicare sé stesso perché anche lui era nelle stesse condizioni dell’amico.
Quindi, gli uomini in piu’ in questo mondo, sono loro due.
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fabio1957
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giovedì 5 marzo 2015
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struggente
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Primo film di Sorrentino e forse di Servillo.Lontanamente ispirato alla storia di Agostino Di Bartolomei,mitico giocatore della Roma e a Franco Califano il cantante "Califfo".La trama racconta due storie che si incrociano accidentalmente e si svolgono quasi in parallelo,i dialoghi sono essenziali e calibrati,la sceneggiatura è sobria ma solida.L'interpretazione di Servillo è straordinaria,preludio a un cinema fatto di assordanti silenzi e grandi espressività,il suo cinismo, la durezza, la schiettezza del suo personaggio, fanno da contraltare alla delicatezza e fragilità dell'altro protagonista ,poetico, crepuscolare, malinconico e perdente.
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Primo film di Sorrentino e forse di Servillo.Lontanamente ispirato alla storia di Agostino Di Bartolomei,mitico giocatore della Roma e a Franco Califano il cantante "Califfo".La trama racconta due storie che si incrociano accidentalmente e si svolgono quasi in parallelo,i dialoghi sono essenziali e calibrati,la sceneggiatura è sobria ma solida.L'interpretazione di Servillo è straordinaria,preludio a un cinema fatto di assordanti silenzi e grandi espressività,il suo cinismo, la durezza, la schiettezza del suo personaggio, fanno da contraltare alla delicatezza e fragilità dell'altro protagonista ,poetico, crepuscolare, malinconico e perdente.
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stefano capasso
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giovedì 20 novembre 2014
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estroversi e introversi
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Nella Napoli degli anni 80, due personaggi omonimi che rispondono al nome di Antonio Pisapia, sono al culmine della carriera: uno come calciatore l'altro è un cantautore. Due persone molto diverse, uno dalla personalità timida, integro e leale; l''altro, il cantante, cocainomane, privo di scrupoli. Entrambi cadono in disgrazia e tenteranno di rientrare nel giro che conta a modo loro
Primo film di Paolo Sorrentino, che mette in evidenza buone intuizioni e diversi punti che rimangono poco chiari. Evidentemente ispirato alle storie di Califano e Di Bartolomei, emerge dalla storia, la capacita di a sopravvivenza del cantante, capace di gettarsi alle spalle le ferite della vita, di adattarsi meglio al momento della vita che cambia, a differenza del calciatore imprigionato lealmente al suo mondo ideale.
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Nella Napoli degli anni 80, due personaggi omonimi che rispondono al nome di Antonio Pisapia, sono al culmine della carriera: uno come calciatore l'altro è un cantautore. Due persone molto diverse, uno dalla personalità timida, integro e leale; l''altro, il cantante, cocainomane, privo di scrupoli. Entrambi cadono in disgrazia e tenteranno di rientrare nel giro che conta a modo loro
Primo film di Paolo Sorrentino, che mette in evidenza buone intuizioni e diversi punti che rimangono poco chiari. Evidentemente ispirato alle storie di Califano e Di Bartolomei, emerge dalla storia, la capacita di a sopravvivenza del cantante, capace di gettarsi alle spalle le ferite della vita, di adattarsi meglio al momento della vita che cambia, a differenza del calciatore imprigionato lealmente al suo mondo ideale.
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jackmalone
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domenica 4 maggio 2014
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il coraggio di non vivere
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Due persone famose che hanno in comune solo il nome : il cantante di successo che sta invecchiando ha passato indenne problemi personali e persino il carcere , menefreghista ,cocainomane, anaffettivo nei rapporti familiari sembra spuntarla finchè la sua carriera finisce, non per il suo vissuto e la sua condotta amorale, ma perchè incastrato da una minorenne consenziente . L'altro, un calciatore leale e appassionato che rifiuta il calcio scommesse e una volta infortunato cerca in tutti i modi di risalire la china cercando di diventare allentore: troverà solo porte chiuse fino al suicidio finale, solo e abbandonato da tutti. E' lui l'uomo in più? Chi non è abbastanza forte da superare la disillusione e gli avversi colpi della sorte non può lasciare nulla dietro di sè e non dovrebbe nemmeno esistere.
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Due persone famose che hanno in comune solo il nome : il cantante di successo che sta invecchiando ha passato indenne problemi personali e persino il carcere , menefreghista ,cocainomane, anaffettivo nei rapporti familiari sembra spuntarla finchè la sua carriera finisce, non per il suo vissuto e la sua condotta amorale, ma perchè incastrato da una minorenne consenziente . L'altro, un calciatore leale e appassionato che rifiuta il calcio scommesse e una volta infortunato cerca in tutti i modi di risalire la china cercando di diventare allentore: troverà solo porte chiuse fino al suicidio finale, solo e abbandonato da tutti. E' lui l'uomo in più? Chi non è abbastanza forte da superare la disillusione e gli avversi colpi della sorte non può lasciare nulla dietro di sè e non dovrebbe nemmeno esistere. Il cantante invece cerca di riscattarsi , prova a cambiare mestiere, diventa assassino per pareggiare i conti con un inutile senso di giustizia ma solo perchè ha capito che è tutto perduto e che l'unica cosa che nella vita lo ha reso felice è cucinare il pesce per qualcuno che lo apprezzi come gli è capitato solo in carcere. Il carcere o la morte sono lo stesso rifugio ,la rinuncia,il gettare la spugna : troppo comodo per chi dalla vita ha avuto tutto e rimane comunque un privilegiato.
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dario
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domenica 8 settembre 2013
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manierato
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Il guaio sta nella costruzione tutta arrtificiale delle due vicende. Tutto è evidente sin dalle prime inquadrature. Il regsta fa un esercizio di calligrafia con un testo bislacco, parolaio e non credibile. La discesa all'inferno dei due è in realtà una spinta vigorosa e persino ammantata di sadismo. Un sadismo a buon mercato, s'intende. Il film odora di pretesto per consentire un esercizio presuntuoso, virtuosistico senza mezzi intellettuali adeguati. Tecnicamente la regia non è male, ma la sceneggiatura è povera e l'interpretazione statica, orizzontale e manierata. Ne esce un prodotto modesto, concettualmente imbarazzante, spento. Servillo meno sopra le righe del solito.
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Il guaio sta nella costruzione tutta arrtificiale delle due vicende. Tutto è evidente sin dalle prime inquadrature. Il regsta fa un esercizio di calligrafia con un testo bislacco, parolaio e non credibile. La discesa all'inferno dei due è in realtà una spinta vigorosa e persino ammantata di sadismo. Un sadismo a buon mercato, s'intende. Il film odora di pretesto per consentire un esercizio presuntuoso, virtuosistico senza mezzi intellettuali adeguati. Tecnicamente la regia non è male, ma la sceneggiatura è povera e l'interpretazione statica, orizzontale e manierata. Ne esce un prodotto modesto, concettualmente imbarazzante, spento. Servillo meno sopra le righe del solito. Film inutile.
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gianleo67
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lunedì 4 marzo 2013
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ineffabile omonimia della diversità
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Storia di Antonio Pisapia, anzi due. Nati il 15 Agosto dalle parti di Napoli, l'uno cantautore melodico raffinato e guascone di periferia, l'altro riservato ma solido stopper di un blasonato club di seria A (il Napoli?) che studia a Coverciano e sogna di fare il tecnico di calcio. Le loro storie, tra vicissitudini, compromessi (mancati e non) e un lento declino, scorrono parallele fino a sfiorarsi ed incrociarsi in un epilogo drammatico e movimentato.
A vent'anni dagli eventi narrati (gli inizi degli anni '80) la penna e la macchina da presa di Sorrentino scandiscono un sorprendente esordio cinematografico in cui il vissuto di personaggi tanto uguali nel nome (lo stesso) quanto diversi nella vita, tracciano la triste parabola di esistenze che sembrano toccare i vertici di un'epoca di edonismo e facile successo professionale e dove si intravedono già i segni di una decadenza inarrestabile, le piccole crepe di esistenze in bilico tra il sentimento di onnipotenza dell'uomo di successo e l'incombenza di fattori imponderabili che ne dominano le scelte e i destini.
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Storia di Antonio Pisapia, anzi due. Nati il 15 Agosto dalle parti di Napoli, l'uno cantautore melodico raffinato e guascone di periferia, l'altro riservato ma solido stopper di un blasonato club di seria A (il Napoli?) che studia a Coverciano e sogna di fare il tecnico di calcio. Le loro storie, tra vicissitudini, compromessi (mancati e non) e un lento declino, scorrono parallele fino a sfiorarsi ed incrociarsi in un epilogo drammatico e movimentato.
A vent'anni dagli eventi narrati (gli inizi degli anni '80) la penna e la macchina da presa di Sorrentino scandiscono un sorprendente esordio cinematografico in cui il vissuto di personaggi tanto uguali nel nome (lo stesso) quanto diversi nella vita, tracciano la triste parabola di esistenze che sembrano toccare i vertici di un'epoca di edonismo e facile successo professionale e dove si intravedono già i segni di una decadenza inarrestabile, le piccole crepe di esistenze in bilico tra il sentimento di onnipotenza dell'uomo di successo e l'incombenza di fattori imponderabili che ne dominano le scelte e i destini.
Il quadro tracciato dal regista napoletano è uno spaccato sempre in bilico sul filo del grottesco e che pure racconta con caustico e misurato cinismo il carattere e la natura profonda di un'Italia che abbozza e che ammicca, che cerca le vie traverse di un facile arrivismo; un Paese dove l'etica e l'onestà sono termini tanto inusitati e incomprensibili quanto può esserlo il senso di scelte che provino a coniugarne istanze e principi (la carriera del calciatore è segnata dal fatidico momento in cui fa il 'gran rifiuto').
L'umanità descritta da Sorrentino è una summa teatraleggiante di vizi privati e pubbliche virtù, un rutilante carnevale di maschere che dissimulano l'aridità profonda di caratteri e personaggi che perseguono il destino miserabile dei loro egoismi (il cantautore che sodomizza una minorenne nel letto della figlia coetanea, la bella torinese che vorrebbe irretire l'aitante calciatore, il manager cocainomane e spregiudicato voltagabbana, il presidente beffardo e insensibile) riscattato solo da un finale anarchico e liberatorio dove la irrefrenabile caparietà di un superlativo Servillo fanno deflagrare il senso di rivalsa e di giustizia di una indomita e mai addomesticata ferinità. Con la dinamica padronaza di un linguaggio soggettivo e l'uso plastico del piano sequenza l'autore costruisce una perfetta concomitanza di destini convergenti: gli Antonio Pisapia da Mergellina dentro le spirali antisimmetriche della loro involuzione umana e professionale fino alla drammatica resa dei conti finale dove i codici meta-televisivi confluiscono in due confessioni pubbliche di disarmante umanità e i loro destini si incrociano nella beffarda casualità di un appuntamento mancato. Straordinaria la colonna sonora tra emozioni pop e l'energia della disco music ('I will survive') accompagnano l'ascesa e il declino di un miraggio anni '80 che naufraga miseramente dietro la rete di un aereoporto o le grate di una cella. Ineffabile omonimia della diversità.
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maximilione
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martedì 16 ottobre 2012
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una nuova speranza per il cinema italiano
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Tutta la straziante ed intensa poetica del primo lungometraggio di Paolo Sorrentino sembra palesarsi immediatamente a parole con le due citazioni d'apertura, che assumono -con il senno di poi- l'importanza strategica di un prologo vero e proprio. Due citazioni che si succedono, si mescolano, si intercambiano, agiscono una sull'altra fino a condensarsi in un'unica conclusione, che a conti fatti coi
ncide con la trama stessa del film.
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Tutta la straziante ed intensa poetica del primo lungometraggio di Paolo Sorrentino sembra palesarsi immediatamente a parole con le due citazioni d'apertura, che assumono -con il senno di poi- l'importanza strategica di un prologo vero e proprio. Due citazioni che si succedono, si mescolano, si intercambiano, agiscono una sull'altra fino a condensarsi in un'unica conclusione, che a conti fatti coi
ncide con la trama stessa del film.
"Che posso dire? E' meglio aver amato e perso, piuttosto che mettere lineolum nei vostri salotti" e "Il pareggio non esiste" (pronunciata da un certo Pelè, in un riferimento calcistico che ritornerà prepotentemente a livello diegetico). Entrambe le frasi, nella loro rilevanza di bianco su nero, costituiscono l'oscura ma perfetta metafora della condizione dell'uomo posto di fronte alle circostanze della vita. Entrambe si rendono portavoci della più intima aspirazione umana alla libertà di scegliere e di agire, della razionale necessità di vivere secondo le proprie regole e del conseguente rigetto di ogni ordine limitante imposto dall'alto, da un'autorità, umana o cosmica che sia. Come a dire: sul palcoscenico dell'esistenza non esistono mezze misure o consolazioni; o vince la vita, con tutta la montagna di storture e laceranti compromessi che ne seguono, o vince l'uomo. Così, prima di rappresentare un rigoroso spaccato della Napoli degli anni '80 -il decennio dell'esagerazione e della degenerazione- o uno spietato attacco a quelle illusorie fabbriche di sogni che sono il mondo del calcio e quello della musica, "L'uomo in più" si presenta come un film sulla solitudine, sul rimorso, sulla difficoltà di risalire la china dell'esistenza e sull'atroce e beffarda lotta che sempre e ovunque l'uomo consuma contro le inspiegabili circostanze della vita. I due protagonisti omonimi, ma tutt'altro che uguali, vivono in scena il crollo delle proprie sicurezze e la caduta inarrestabile nel baratro del fallimento, immersi in una cronologia filmica lineare ma dominata da lunghe ellissi e in una narrazione che procede per parallelismi. Infatti, tra l'Antonio calciatore e il Tony cantautore (due personaggi che richiamano rispettivamente le biografie dei celebri Di Bartolomei e Califano) c'è molto più di un nome a far da collante. La macchina da presa di Sorrentino s'insinua rumorosamente nelle loro grigie esistenze e ne illumina, passo dopo passo, i punti di contatto. E più che mostrare (o dimostrare) semplicisticamente l'identico itinerario di degenerazione morale e solitudine che investe i protagonisti, l'autore napoletano riesce con grande forza registica a illuminarne le cause più intime, forse inconsce. Così ritorna, come un filo rosso e costante per tutta la durata della pellicola, quell'uomo in più del titolo, citato in modo esplicito solo nel finale, a mo' di funereo ed omaggistico epilogo. Uomo in più inteso non solo come schema di gioco rivoluzionario (quattro punte invece di tre) su cui Antonio Pisapia lavora senza sosta nè distrazione per anni ma soprattutto come indispensabilità di una presenza, necessità dell'altro, o forse degli altri. L'uomo in più di cui parla il film diventa il motore capace rendere il cammino dei protagonisti una vita e non una semplice e arrancata esistenza. L'egocentrico cantante e l'ingenuo e riflessivo calciatore, nella loro sterile caduta verso l'asettico mondo dell'oblio e della solitudine, sentono sulla propria pelle la mancanza di un uomo in più, di un pubblico (che li applauda magari) cioè di quella presenza altra che gli permetta di risalire la china, ritrovare sè stessi e riprendere il proprio posto nello stadio della vita.
Ma l'uomo in più del titolo, all'interno del montaggio alternato del film, si riferisce in misura maggiore a ciò che ognuno dei due protagonisti rappresenta per l'altro. E soprattutto in questo si esprime la grandezza del regista che, raccontando storie parallele e penetrandole con forza spiazzante, riesce a istituire un indelebile legame tra due solitudini e a trapiantare magicamente su celluloide la forza irrazionale del destino, per il quale nulla può impedire a due anime affini di riconoscersi e trovarsi, seppur nel breve attimo di uno sguardo imprevisto. E proprio nel finale, i due volti si scontrano in uno sguardo eterno, irripetibile, liberatorio. Solo allora la complessa battaglia con la vita in cui i due protagonisti si dibattono senza pace si esaurisce: tutto diventa chiaro, entrambi comprendono cosa fare per recuperare la propria libertà. Uno sceglie la morte, l'altro il carcere.
Questa sterminata plurivocità del centro nodale della pellicola (il tema dell'uomo in più che si trasfigura diegeticamente come tattica di gioco e metaforicamente prima come necessità di un pubblico poi come rapporto privilegiato tra due anime affini) riflette la poliedrica complessità strutturale del cinema di Sorrentino. Alla vastità tematica si lega quella narrativa, registica e persino musicale. Il film alterna tragico e grottesco, passando per l'immenso ventaglio di varietà intermedio, senza tralasciare neanche il tuffo nell'onirico; la musica, che pure diventa un elemento centrale, va dalla disco-dance a quella leggera fino al pop anni '80. Il tutto si snoda sotto le redini di una regia iper-esibita, esplicita, palesata; di una macchina da presa impazzita, mai doma, sempre inusuale e tesa a valorizzare l'artificio cinematografico più che la naturalezza realista di un cinema inteso come statica e immobile finestra sul mondo.
Sin dal suo primo lungometraggio, dunque, Sorrentino si distacca nettamente dalla mediocrità -purtroppo- dominante di tanto cinema italiano contemporaneo grazie a uno stile registico nuovo e fresco e ad una capacità di scrittura pluriprospettica e aperta. L'innovazione del regista napoletano scarta i luoghi comuni e si batte contro il trionfo dell'apparenza (assai ricorrente in altri autori nostrani) attraverso una sceneggiatura mai banale e sempre passibile di stupire. Un solo esempio: Antonio incontra una donna che sembra poterlo salvare, mentre Tony perde la possibilità di gestire un ristorante, attività sempre sognata e possibile riscatto per il protagonista. Eppure, nel duplice e parallelo tentativo di risalire la china, proprio Antonio, che più ci crede, finirà per fallire, approdando al suicidio mentre Tony, dopo aver vendicato anche lo sconosciuto "compagno", riuscirà a trovare la sua personale libertà tra le sbarre di una prigione, avvolto da calore umano, divo di un pubblico di ammiratori che apprezzano la sua cucina e finiscono per applaudirlo con sincerità.
Nulla da eccepire: il cinema italiano esiste, nonostante tutto.
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