figliounico
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lunedì 15 maggio 2023
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la paura dell'altro
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L’appartamento, simbolo dell’accogliente, sicuro, protettivo grembo materno ed al contempo proiezione nello spazio esterno del proprio mondo interiore, confina sempre pericolosamente con quello, apparentemente innocuo, del nostro prossimo, i vicini diabolici di Rosemary’s baby, i condomini cinici del L’inquilino del terzo piano, gli ospiti corrotti della villa sul mare in Che?. La location, ricorrente nell’opera di Polanski, della casa, la cui intimità, in Carnage, è violata dai genitori del compagno di scuola del figlio, e, negli altri film, è assediata, in un contesto più ampio, dalla bonarietà invadente del vicino, in realtà presenza aliena minacciosa ed inquietante, è una metafora della precarietà esistenziale dell’individuo e del primo nucleo familiare nelle comunità ancestrali, alla mercé dei suoi riti esoterici, in balìa della selvatica bestialità tribale degli uomini, per natura più vicini ai demoni che agli dei, appena celata sotto l’ipocrita consuetudine delle buone maniere con cui la civiltà ha imbellettato la vera natura dei rapporti umani.
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L’appartamento, simbolo dell’accogliente, sicuro, protettivo grembo materno ed al contempo proiezione nello spazio esterno del proprio mondo interiore, confina sempre pericolosamente con quello, apparentemente innocuo, del nostro prossimo, i vicini diabolici di Rosemary’s baby, i condomini cinici del L’inquilino del terzo piano, gli ospiti corrotti della villa sul mare in Che?. La location, ricorrente nell’opera di Polanski, della casa, la cui intimità, in Carnage, è violata dai genitori del compagno di scuola del figlio, e, negli altri film, è assediata, in un contesto più ampio, dalla bonarietà invadente del vicino, in realtà presenza aliena minacciosa ed inquietante, è una metafora della precarietà esistenziale dell’individuo e del primo nucleo familiare nelle comunità ancestrali, alla mercé dei suoi riti esoterici, in balìa della selvatica bestialità tribale degli uomini, per natura più vicini ai demoni che agli dei, appena celata sotto l’ipocrita consuetudine delle buone maniere con cui la civiltà ha imbellettato la vera natura dei rapporti umani. Tutto il resto è grande cinema, ovvero sintesi armoniosa di inquadrature perfette, di immagini curate nei minimi particolari, di dialoghi eleganti, di magnifiche interpretazioni, indimenticabile quella di Mia Farrow, che incarna nel pallore di un visetto da bambina spaurita l’innocenza tradita di Rosemary, e di John Cassavetes, il marito che per la fama ed il successo vende la propria anima al diavolo offrendo la donna che ama per la procreazione dell’anticristo, di musica, infine, con la memorabile colonna sonora di Krzysztof Komeda, morto l’anno dopo l’uscita del film, nel 1969, a soli 38 anni. Nel 1969 la moglie di Polanski, Sharon Tate, fu barbaramente trucidata da una setta satanica mentre era all’ottavo mese di gravidanza, così che la realtà sembrò essere la continuazione della rappresentazione scenica e l’orrore del rito sacrificale l’incarnazione dell’incubo immaginato dall’autore del film che da artefice della propria opera fu trasformato dal destino in semplice attore sul palcoscenico della vita, chiamato ad interpretare la parte del marito della vittima. Un film senza tempo, accompagnato dalla nomea di opera maledetta e profetica, che, sebbene sia stato girato nel 1968, rivisto oggi, ripete il miracolo della fascinazione perpetua che esercitano sull’animo umano le grandi opere d’arte, rinnovando ogni volta nell’inconscio dello spettatore la paura atavica verso “l’Altro” da sé stesso.
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howlingfantod
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giovedì 27 dicembre 2018
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sembra che ti abbia morso un topo!!!
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I grandi film a ogni visione aggiungono qualcosa. Rosemary’s baby appartiene alla categoria. Forse perché parla anche del nostro tempi intrisi di paranoia e sfondi distopici. La paranoia è la protagonista principale del film, più dell’eterea, bellissima e giovanissima Mia Farrow nei panni di Rosemary Woodhouse che con il novello marito Guy, un sanguigno John Cassevetes nei panni di un attore in crisi di parti va a vivere in un appartamento nuovo a Manhattan. L’appartamento, lo spazio chiuso emblema dell’ossessione, uno degli archetipi del cinema di Polanski da “The Locataire” in avanti, diventa il proscenio del gioco al massacro che si scatenerà. L’appartamento dei vicini è abitato da due anziani e invadenti coniugi con lui Roman Castevet (significativa in chiave interpretativa la traslitterazione del cognome del co-protagonsita Guy-Cassevetes e il nome di Polanski stesso) e la moglie Minnie nei suoi grotteschi abiti.
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I grandi film a ogni visione aggiungono qualcosa. Rosemary’s baby appartiene alla categoria. Forse perché parla anche del nostro tempi intrisi di paranoia e sfondi distopici. La paranoia è la protagonista principale del film, più dell’eterea, bellissima e giovanissima Mia Farrow nei panni di Rosemary Woodhouse che con il novello marito Guy, un sanguigno John Cassevetes nei panni di un attore in crisi di parti va a vivere in un appartamento nuovo a Manhattan. L’appartamento, lo spazio chiuso emblema dell’ossessione, uno degli archetipi del cinema di Polanski da “The Locataire” in avanti, diventa il proscenio del gioco al massacro che si scatenerà. L’appartamento dei vicini è abitato da due anziani e invadenti coniugi con lui Roman Castevet (significativa in chiave interpretativa la traslitterazione del cognome del co-protagonsita Guy-Cassevetes e il nome di Polanski stesso) e la moglie Minnie nei suoi grotteschi abiti. In realtà si scopriranno essere i capostipiti di una setta di satanisti con Roman stesso figlio di un già noto stregone coinvolto in avvenimenti dai truculenti esiti.Lo stacco al tranquillo menage a due, pur con l’aggiunta delle figure dei bizzarri ma apparentemente innocui vicini di casa e che fino a quel punto fa apparire il film come una tranquilla commedia borghese, avviene in modo dirompente con il colpo da maestro che un peso massimo come Polanski sa mettere in atto nella scena del delirio, sempre in bilico fra sogno e realtà, nello strupro-rito collettivo, quando Rosemary viene posseduta dalla creatura mostruosa, si suppone Satana in persona, rimanendo gravida, come si scoprirà essere stato pianificato dall’inizio. “Sembra che ti abbia mostro un topo” le dice un sacerdote che le appare nell’incubo: i topi sono simbolicamente i preti, sacro e demoniaco si mescolano. E’ questa mirabile scena lo snodo del film. Cambio di genere in modo netto e repentino: dalla commediuola sciocca, senza che lo spettatore abbia avuto il tempo di decifrare i contorni, si passa al thriller, al gotico, al demoniaco. La scena successiva si svolge di nuovo la mattina, al risveglio, nel letto sfatto come nella più classica commedia sentimentale con Guy che dice ammiccante a Rosemary che è stata una notte infuocata, come se nulla di strano fosse accaduto, visto che lei non ricorda quasi niente a causa della luciferina pozione somministratagli la sera prima dal marito in combutta coi satanisti. Quel quasi è la chiave perché Rosemary, in parte già sospettosa, è riuscita a rimanere parzialmente vigile non avendo bevuto tutta la pozione somministratagli dal marito che in pratica ha venduto l’anima al diavolo per la sua arte, in concreto per ricevere la parte in un’importante commedia. Sono queste continue interpolazioni incubo-realtà, angelico-demoniaco a inquietare e a prendere per mano lo spettatore che nella compenetrazione dei due piani si smarrisce come se si trovasse in una casa stregata dalla quale non riesce a uscire, come si sente Rosemary in preda al complotto dei “brutti stregoni”, lei con la quale ci troviamo a svolgere lo stesso percorso, progressivamente sempre più inquietante, in un’immedesimazione pressoché totale, un espediente d’autore che aumenta a dismisura il contenuto ansiogeno del film.Non è solo un classico film di genere, imitato a più non posso con esiti discutibili, perché Rosemary’s Baby e anche molto di più, è un capolavoro che nei suoi meccanismi interni genera una profonda riflessione sull’ arte.
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elgatoloco
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giovedì 9 novembre 2017
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caèolavoro assoluto
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Tratto da un bel libro di Ira Levin(conosco il romanzo e posso assicurare che esso, scritto un anno prima del grande film di Polanskyi ne è degnissimo, certo nella diversità di stilemi espressivi), "Rosemary's Baby"(1968, il che dovrebbe far pensare a qualcosa...)è purtroppo più famoso per la vicenda legata alla moglie del regista-creatore Roman Polasnki,SHaron Tate, barbaramente uccisa da Charles Manson e dalle sue girls che per il valore intirnesco dell'opera. E'invece il film della crisi, della metafora della dissoluzione , sociale e personale, che per il pessimista Polanski(e Levin, con modalità dvierse)è destinata non a"rosse primavere", ma all'ekypurosis, alla combustione intesa come autocombustione-il tutto esemplificato dalla "presenza satanica", con l'incredibile coppia di vecchiette, che fungono da antefatto al disastro.
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Tratto da un bel libro di Ira Levin(conosco il romanzo e posso assicurare che esso, scritto un anno prima del grande film di Polanskyi ne è degnissimo, certo nella diversità di stilemi espressivi), "Rosemary's Baby"(1968, il che dovrebbe far pensare a qualcosa...)è purtroppo più famoso per la vicenda legata alla moglie del regista-creatore Roman Polasnki,SHaron Tate, barbaramente uccisa da Charles Manson e dalle sue girls che per il valore intirnesco dell'opera. E'invece il film della crisi, della metafora della dissoluzione , sociale e personale, che per il pessimista Polanski(e Levin, con modalità dvierse)è destinata non a"rosse primavere", ma all'ekypurosis, alla combustione intesa come autocombustione-il tutto esemplificato dalla "presenza satanica", con l'incredibile coppia di vecchiette, che fungono da antefatto al disastro... C'è un'atmosfera cupa che pervade il film((del resto anche il successivo"What?", posteriore di più di un lustro-1974-ha in sé elmenti di "crisi", di"malcelata disperazione", pur in mezzo a cià che sembra humor...), ma in mezzo alla stessa incontriamo ciò che potrebbe esserene l'antitesi(manca però, volutamente, la"sintesi")ossia l'humor, non solo nelle scene con le due vecchiette, e ciò è decisamente accentuato dalla fotografia, dove i toni cupi, scuri, il nero, fanno da contrasto a elmenti multicromatici, certo non senza richiamare il demoniaco. Un film che meriterebbe una lettura attenta, puntuale, analitica, per cogliere o meglio ricostruire il tutto a partire dai singoli elmenti, dai"capitoli", ossia dai gruppi di sequenze che compongono il film. John Cassavates è un marito -"indemoniato"(?)più che convincente, da attore(ed egli steso regista di ricerca)di grande spessore, come una Mia Farrow che qui segna probabilmente il top della propria carriera. Ma anche tutte le altre"presenze"sono di livello assoluto, a conferma della grandezza di un autore che ha subito boicottaggi per vicende extra-artistiche, extra-filmiche, dato che negli"States"era considerato uno"stranger"indesiderato e indesiderabile, quasi un"radical"(non chic, però...)pericoloso o quasi... El Gato
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no_data
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martedì 20 dicembre 2016
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brividi. autentici brividi.
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Scuote qeusto film. Un'ansia che cresce fino a materializzarsi nel finale. Il terrore, il male assoluto si manifesta solo nelle ultime scene. L'armonia e la spensieratezza del principio della pellicola si perde mano a mano che avanza la carriera del protagonista.
Un vero capolavoro, un film che come una sottilissima lama inizia a trafiggerti per darti il colpo di grazia dopo il "The End". Brividi che continuano per ore. Vero terrore che rende i successivi "horror" alla stregua di macchiette.
Lo sconsiglio vivamente a chi si lascia impressionare. Grande, grande Polanski.
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francis metal
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sabato 26 novembre 2016
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mi ha segnato la vita, io amo rosemary
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Questa volta non posso risparmiare le lodi, è un perfetto thriller/horror, da tutti i punti di vista, non saprei dove iniziare a parlare bene di questo film: la regia è perfetta, le musiche anche, la recitazione, la sceneggiatura, i riferimenti alla stregoneria che VERAMENTE veniva praticata in quell'epoca, la scelta della location, dove poi morirà John Lennon... Tra l'altro si tratta di un romanzo mediocre reso capolavoro da Polanski.
Anche se dopo anni il regista ha rivelato quale delle due possibili interpretazioni è quella corretta sulla base degli elementi del film si può giungere ad entrambe le conclusioni: Rosemary era matta o era vittima della stregoneria?
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lunedì 17 ottobre 2016
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accademia dell'horror
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Rosemary è una giovane donna che si trasferisce in un elegante palazzo di New York assieme al marito (attore alle prime armi), pronti ad iniziare la loro vita di coppia adulta ...
Ad accoglierli nel nuovo condominio (dove recentemente ci sono stati casi di morti inquietanti ...) una coppia di simpatici ed affabili signori anziani, che con il passare dei giorni, entrano a far parte sempre di più nella vita di tutti i giorni della giovane coppia ... Fra stranezze e fatti inaspettati, Rosemary rimane incinta. Sarà l'inizio (ovvero il "fine") di un viaggio all'interno di un inevitabile incubo domestico.
Pochi film nella storia del cinema sono stati in grado di inquetare e suscitare un crescente senso di angoscia quanto il film di Polansky !! Pietra miliare del cinema del soprannaturale, che può essere confrontato solamente con un altro capolavoro del genere, L'Esorcista di Friedkin.
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Rosemary è una giovane donna che si trasferisce in un elegante palazzo di New York assieme al marito (attore alle prime armi), pronti ad iniziare la loro vita di coppia adulta ...
Ad accoglierli nel nuovo condominio (dove recentemente ci sono stati casi di morti inquietanti ...) una coppia di simpatici ed affabili signori anziani, che con il passare dei giorni, entrano a far parte sempre di più nella vita di tutti i giorni della giovane coppia ... Fra stranezze e fatti inaspettati, Rosemary rimane incinta. Sarà l'inizio (ovvero il "fine") di un viaggio all'interno di un inevitabile incubo domestico.
Pochi film nella storia del cinema sono stati in grado di inquetare e suscitare un crescente senso di angoscia quanto il film di Polansky !! Pietra miliare del cinema del soprannaturale, che può essere confrontato solamente con un altro capolavoro del genere, L'Esorcista di Friedkin.
L'ecosistema metropolitano, quello frastornante e denso di persone, in cui si ci si dovrebbe sentire sempre rassicurati dalla presenza di un marito, di un vicino, di un dottore, di un amico ... diventa paradossalmente il teatro del terrore e dell'impotenza di fronte alla presa degli eventi. La casa, da luogo sicuro, diventa l'ambiente in cui si muove un nemico subdolo, che provoca il male sorridendo, capace di traviare e fare leva sulle debolezze dell'animo umano. La porta accanto non è più un rifugio sicuro a cui chiedere aiuto, ma l'ingresso di un mondo fatto di misteri inquietanti.
Il confine fra naturale/reale e soprannaturale è poco delineato, e lo spettatore non comprende quasi mai dove finisce uno ed inizia l'altro, cosa che diventa valore aggiounto in quanto non destabilizza la progressione della vicenda.
L'ingombranza dei coniugi Castevet irrompe prepotentemente nella vita dell'ingenua e timida Rosemary, vittima prescelta per il perpetrarsi di un'occulta quanto spaventosa tradizione.
Il turbamento più grande di questo film, al di là dell'elemento soprannaturale fulcro della vicenda, risiede nella più totale solitudine di Rosemary, impotente e circondata ormai da impostori e menzogne più grandi di quello che pensa, fino alla presa di coscienza finale della la vera natura delle persone che la circondano, chiaro riferimento critico alla società borghese e al malessere che regna in essa, alla sua incapacità di generare una società incorruttibile.
La sequenza finale è da scuola del cinema: un incubo sotto la più disarmente naturalezza dei protagonisti che decreta la resa totale al male.
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great steven
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domenica 31 gennaio 2016
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un incubo all'ultimo respiro in piena regola.
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ROSEMARY'S BABY – NASTRO ROSSO A NEW YORK (USA, 1968) diretto da ROMAN POLANSKI. Interpretato da MIA FARROW, JOHN CASSAVETES, RUTH GORDON, SIDNEY BLACKMER, MAURICE EVANS, RALPH BELLAMY, ANGELA DORIAN, PATSY KELL, ELISHA COOK JR.
Rosemary ha sposato di recente l’attore Guy Woodhouse, e la coppia sta per stabilirsi in un appartamento di New York. I due non hanno figli, ma sperano di metterne al mondo al più presto. Un giorno Rosemary fa amicizia con Teresa, un’ex vagabonda tossicodipendente che ora vive insieme ai signori Castavetes, Roman e Minnie, che l’hanno adottata praticamente come una figlia. Ma quando Teresa si defenestra dal balcone e muore suicida, l’evento tragico segna il definitivo ingresso dei Castavetes nella vita, anche intima, di Rosemary e Guy.
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ROSEMARY'S BABY – NASTRO ROSSO A NEW YORK (USA, 1968) diretto da ROMAN POLANSKI. Interpretato da MIA FARROW, JOHN CASSAVETES, RUTH GORDON, SIDNEY BLACKMER, MAURICE EVANS, RALPH BELLAMY, ANGELA DORIAN, PATSY KELL, ELISHA COOK JR.
Rosemary ha sposato di recente l’attore Guy Woodhouse, e la coppia sta per stabilirsi in un appartamento di New York. I due non hanno figli, ma sperano di metterne al mondo al più presto. Un giorno Rosemary fa amicizia con Teresa, un’ex vagabonda tossicodipendente che ora vive insieme ai signori Castavetes, Roman e Minnie, che l’hanno adottata praticamente come una figlia. Ma quando Teresa si defenestra dal balcone e muore suicida, l’evento tragico segna il definitivo ingresso dei Castavetes nella vita, anche intima, di Rosemary e Guy. Quest’ultimo, intenzionato più che mai ad avere successo sul palcoscenico, arriva a stringere un tacito patto col diavolo che coinvolge strettamente sua moglie. Poco a poco, Rosemary comincia a sentirsi infastidita dalle visite sempre più invadenti e oppressive di Roman e Minnie, finché non giunge a sospettare una congiura demoniaca architettata dai due vicini insieme al marito, a danno di lei e soprattutto del bambino che le sta crescendo in grembo. Quando il pargolo viene partorito, ha le sembianze del "figlio di Satana", e Rosemary deve arrendersi e constatare che il seme del male le è stato iniettato nel ventre e che, per pagare tutta la fortuna che lei e il consorte hanno ricevuto, questo è stato il relativo, e inevitabile, scotto. Il primo grande capolavoro di Polanski, un thriller perfettamente congegnato nella ricerca non affannosa della suspense e nella dovizia di particolari intriganti e inquietanti che crescono con l’aumento progressivo della tensione per l’intera durata del film, la cui narrazione non perde un colpo e aggiunge, nel sottotesto, una dose massiccia di umorismo nero o addirittura caustico nella descrizione di un ambiente tipicamente newyorkese del benessere che purtroppo si fonda prevalentemente sulla meritocrazia, sul clientelismo, sulle giuste conoscenze (che spesso si traducono in raccomandazioni) e, ultimo elemento ma solo in quest’elenco, sulla sopportazione di rapporti di vicinato frequentemente sfacciati e indelicati. Un quartetto di attori principali messo insieme e capace di rendere sulla scena una relazione di gruppo che evita accuratamente la recitazione corale e permette ad ogni interprete di esprimersi con pienezza ed efficacia nel suo personaggio, magari con una leggerissima discriminazione di genere: M. Farrow è una protagonista inquieta e tormentata che cerca un’esistenza "normale" e rincorre gli affetti che però sovente le arrivano a mancare, mentre R. Gordon (Oscar per la migliore attrice non protagonista) brilla di luce propria nell’imbastire la parte querula, pettegola e insistente di una donna di mezz’età che si interessa costantemente di affari che non la riguardano per poi rivelarsi, non all’improvviso ma in maniera perfidamente graduale, collaboratrice nel patto diabolico che infiltra il germe della malignità nel corpo di Rosemary. E non è da mettere in secondo piano il fatto che Rosemary, per quanto risulti una vittima inconsapevole, burattino nelle mani di un gioco soprannaturale che le rimane pressoché sconosciuto nonostante le sue ricorrenti incursioni notturne nei sogni di lei, tenti di agguantare uno spiraglio, seppur minuscolo, di serenità interiore e innato desiderio materno mentre intorno a lei aleggiano con una spaventosa continuità le vogliose intenzioni di affermazione del marito, i commenti sarcastici e sadici delle petulanti amiche di famiglia e specialmente la presenza ingombrante e invasiva di Roman e Minnie, coniugi all’apparenza espansivi e socievoli, per quanto comunque incontestabilmente narcisisti, che hanno già ben chiaro in mente un piano da architettare a discapito di una povera donna nella cui mente, dopo il parto, aleggerà per un tremendo momento il pensiero di non voler accudire il bambino. A tal proposito, anche a livello grafico, è eccezionale l’idea di mostrare, per due fuggevoli secondi, il volto mostruoso, ma anche bisognoso di affetto e a suo modo sfortunato, del fantolino demoniaco. Polanski dirige un apologo sulle figure genitoriali e sulla necessità del male per conquistare importanti obiettivi di vita in una metropoli statunitense indifferente che accoglie questi caratteri squilibrati plasmandoli a proprio piacimento e punendo chi non merita sanzioni o tribolazioni. In questo senso, il suo congenito gusto per l’impunità e la tortura psicologica è già molto puntiglioso e maturo in questa pellicola che sicuramente si è ritagliata gagliardamente un posto d’onore nel cinema thriller di tutti i tempi per come analizza, con sardonico compiacimento, le volontà delle figure umane che popolano la sua storia. Tratto dall’omonimo romanzo (1967) di Ira Levin. L’opera ha avuto anche un sequel realizzato esclusivamente per la televisione, uscito nel 1976 e ingenuamente intitolato Guardate cosa è successo al figlio di Rosemary.
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alfa999
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giovedì 20 agosto 2015
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fantastico.
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Un diamante infinito dell'arte cinematografica.
Profondità concettuale massima paragonabile solo all' "esorcista" per grandezza ed esemplarità.
Pellicola sconvolgente per perfezione e profondità: una discesa agli inferi della attuale struttura sociale contrassegnata da contraddizioni disumane di inaudita potenza.
Accanto al grandioso progresso tecnico infatti emerge sempre più evidente l'obsolescenza catastrofica della forma sociale presente segnata dal trionfo oggettivo e ispo tempore alimentato da una sorta di brainwashing permanente delle superstizioni ideologiche più aberranti e incredibili.
Al centro di questo universo di violenza e manipolazione dirompente il film director pone una giovane splendida donna la cui libertà di movimento viene progressivamente a ridursi fino al trionfo della violenza e della manipolazione.
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Un diamante infinito dell'arte cinematografica.
Profondità concettuale massima paragonabile solo all' "esorcista" per grandezza ed esemplarità.
Pellicola sconvolgente per perfezione e profondità: una discesa agli inferi della attuale struttura sociale contrassegnata da contraddizioni disumane di inaudita potenza.
Accanto al grandioso progresso tecnico infatti emerge sempre più evidente l'obsolescenza catastrofica della forma sociale presente segnata dal trionfo oggettivo e ispo tempore alimentato da una sorta di brainwashing permanente delle superstizioni ideologiche più aberranti e incredibili.
Al centro di questo universo di violenza e manipolazione dirompente il film director pone una giovane splendida donna la cui libertà di movimento viene progressivamente a ridursi fino al trionfo della violenza e della manipolazione.
Ella come metofora della unità essenziale della specie, come detentrice del potere di perpetuare la vita e i suoi intimi arcani, cercherà alla fine di recuperare tale unità di fondo.
Ella come simbolo di impotenza diviene inevitabilemente la fonte di ogni potenza, di ogni possibilità: questo nonostante tutti gli incubi gravanti attorno e entro di lei a verifica di una elementare constatazione circa la centralità assoluta della donna come soluzione in potenza.
Il regista opera con una capacità eccellente di determinazione della tensione emotiva e psicologica.
Splendida la cantilena che segna l'inizio e la terminazione di questa opera d'arte.
La Farrow superlativa, enorme , perfetta: dalla fase iniziale quando il director indugia sui suoi dolci movimenti sostenuti da teneri diamanti alla sequenza finale immensa.
Tale sequenza di closing vermante da cult: la congrega nera. le farneticazioni dello psicopatico di turno, gli incubi legati alle potenti determinazioni sociali storiche che gravano sopra ognuno di noi: di fronte a questo solo una giovane splendida donna che si avvicina alla culla satanica e cerca di rispondere con l'amore materno a tutto il potere immenso dell'inferno scatenato attorno ed entro di lei e di noi che abbiamo il privilegio di assistere a questo immenso, sconvolgente capolavoro.
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il befe
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domenica 1 marzo 2015
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capolavoro
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