Tutto il cinema di Beppe Cino è una lunga meditazione antropologica che si muove tra le istanze di un’evoluzione permanente e la dimensione più intima della psicoanalisi, un cinema spirituale che affonda la sua ricerca dentro le vedute del mondo reale. Non si balocca col genere, ma analizza i registri della realtà esistente, shakespearianamente: “le ultime sillabe del tempo ricordato”. Beppe Cino si pone la domanda fondamentale che tutto il cinema ha oramai abbandonato, esiliato: “cosa ci rende umani?” Il dialogo col sacro risponde alla domanda sulla dimensione umana e ci mostra, d’un colpo, tutti i contrasti e, nello spezzarli, li ricompone. Il regista compone quindi un “film poema” che si squaderna in stanze cariche di simboli ed ecco, allora, che fin dal titolo tutto e cardine, stelo e argine. Dietro il lavoro del regista c’è la consapevolezza che la cultura occidentale, l’occidente è in profonda crisi, non in quanto luogo, ma, piuttosto, come concetto adamantino della scienza della logica. Beppe Cino vede il sacro, la religiosità come un “necesse est”: la protagonista è animata dalla curiosità e non dall’obbligo di un amore di parte, di fede. Il discorso si fa, da subito, denso: la visione mistico-profetica arriva a cogliere l’anima liberata dalle sovrastrutture. Il percorso iniziatico ricorda la visione francescana ove Dio fa presente a Francesco che avrà il compito di ricostruire la chiesa. Per Francesco quel messaggio si riferisce alla Porziuncola di Assisi, la consapevolezza che il Creatore sta parlando di tutta la chiesa cristiana arriverà successivamente. Allo stesso modo la bidella di una piccola comunità ha la visione della Vergine Maria che le dice di liberarla: la donna interpreta alla lettera (francescanamente) il messaggio della Madonna e, nel far questo, innesca una serie di eventi che portano lei e gli altri verso la riconciliazione. Beppe Cino pensa a tale concetto in senso universale. In un momento di nuove schiavitù, di totale crisi dei valori, il nostro autore rimette in ordine l’equazione essoterica che ha sostituito Dio col denaro, e la riscrive nel senso esoterico di un nuovo dialogo col sacro che abolisca “l’homo homini lupus” in una dimensione che superi ed abbatta, per sempre, l’idea di confine o di razza. Nessun rifermento è fatto a caso: tutto è messo sotto gli occhi dello spettatore quasi a svelare il mito del significato. Laddove il film appare didascalico vi è il desiderio, da parte di Beppe Cino, di porsi in un atteggiamento definitivo e chiarificatore attraverso un linguaggio immediatamente decidibile che è quello della commedia elisabettiana, commedia che ci prepara a comprendere il midollo stesso della vita: la condizione umana. Ecco perché il popolo ha la mappa per orientarsi e, di contro, nobili e baroni sono figure di cera. È fondamentale comprendere che il regista non assolve nessuno ma nemmeno si pone a giudice. Non vuole essere un film consolatorio ma una pietra miliare che ci mostri quanta strada abbiamo ancora da compiere. Prof. Riccardo Bernini
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