Giurato Numero 2

   
   
   

Ombre sui giurati

di Fabio Ferzetti L'Espresso

Da almeno quarant'anni Clint Eastwood non deve dimostrare niente a nessuno. Ma ora che ne ha compiuti 94 il suo stile prosciugato ha raggiunto una concentrazione pressoché assoluta. Non un gesto, non una parola, non un momento di troppo. Come si conviene a questo film che rielabora uno dei classici più amati e copiati del cinema Usa ("La parola ai giurati", Sidney Lumet, 1957). Per scuotere le nostre certezze introducendo una variante diabolica. Che tra l'altro consente al vecchio Clint di dire la sua, attraverso i dettagli, anche sulla nostra era. Lo schema è noto quanto infallibile. Un processo, dodici giurati, un sospetto omicida segnato da una serie di indizi così schiaccianti che sembra condannato in partenza. E un giurato che ostinatamente, meticolosamente, smonta ogni apparente certezza per rimettere tutto in discussione. Costringendo gli altri giurati (e noi) a riflettere non solo sui propri pregiudizi ma su Legge, giustizia, verità. Ovvero sulla società che su quei concetti si fonda. La novità, che Eastwood rivela fin dall'inizio, sta nella quasi certa colpevolezza (quasi...) del giurato numero 2, un giovane con la faccia pulita, qualche ombra nel passato e una figlia in arrivo (Nicholas Hoult, l'ex bambino di "About a Boy"). Com'è morta quella ragazza che tutto il bar vide litigare col compagno manesco in una sera di pioggia (vide e filmò: i cellulari hanno sostitu ito da tempo le Colt)? Inseguita e picchiata dal tipaccio? O investita sotto il diluvio dall'insospettabile giurato n. 2, che solo in aula intuisce di non aver colpito un cervo quella notte con la jeep? Tra indizi ribaltati, giurati inamovibili, duelli oratori (l'aspirante procuratrice legale Toni Collette, come sempre meravigliosa, contro il difensore Chris Messina, anche lui formidabile), ce n'è abbastanza per costruire un "courtroom drama" trascinante, e Eastwood non trascura certo lo spettacolo, pur ironizzandoci sopra (attenti alle auto: il giurato migliore, grande J.K. Simmons, è quello con la vettura più dimessa). Ma non è questo che gli interessa veramente. Il cuore del film, che cresce implacabile fino alla fine, anche se le musiche sono scontate e la caratterizzazione dei personaggi non sempre sottile, è proprio il dilemma morale che ramifica in direzioni inattese gettando una luce cruda sui protagonisti, dunque su un'intera società, con economia di mezzi pari alla forza del racconto. Non sorprende che Hollywood abbia voltato le spalle a Eastwood, confinando "Giurato numero 2" in sole 31 sale in I tutti gli Usa. Per il cinema artificioso e vuoto di oggi il suo classicismo è veleno.
Da L'Espresso, 22 novembre 2024


di Fabio Ferzetti, 22 novembre 2024

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