Funérailles

Un film di Antonio Bido. Con Alessandra Chieli, Fausto Morciano, Stefania Casini, Vladimiro Sist.
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Horror, uscita giovedì 23 maggio 2024. MYMONETRO Funérailles * * * 1/2 - valutazione media: 3,67 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Quando il pentagramma ti spacca il cuore Valutazione 4 stelle su cinque

di MONFARDINI ILARIA


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lunedì 20 maggio 2024

 “Non si deve niente ai morti, e i morti non devono niente a noi”.
Antonio Bido è un regista veneto che ha raggiunto la notorietà nel mondo del cinema di genere italiano negli Anni Settanta, lasciandoci chicche quali i due thriller Il Gatto dagli Occhi di Giada (1977) e Solamente Nero (1978). Dopo il film d’azione Blue Tornado del 1991 Bido sembra aver abbandonato il mondo del cinema per concentrarsi soprattutto su documentari e videoclip. Nel 2019 fa uscire un bel documentario autobiografico dal titolo I miei Sogni in Pellicola, in cui ricostruisce in maniera decisamente accattivante tutta la sua carriera, infarcendolo di interviste ai colleghi ed amici di una vita. Ma Antonio non ha scordato il cinema, e finalmente quest’anno vedrà la luce nelle sale il suo nuovissimo film, dal titolo emblematico di Funérailles (Non ti voglio), che ho avuto la fortuna di poter vedere in anteprima. Sebbene si tratti di un’opera davvero complessa e stratificata, decisamente diversa dai film precedenti del cineasta e non facilmente ascrivibile ad un genere specifico, anche se tendente al noir, proverò a darvene la mia personalissima visione, purtroppo mutila dal fatto che non posso e non voglio assolutamente rischiare spoiler per non togliervi il piacere di andare a vederla sul grande schermo non appena sarà proiettata.
Miriam è un’affermata pianista, sposata con Andrea, anche lui pianista ma meno noto ed acclamato della moglie. Tra i due il rapporto è strano, si amano, ma mentre lui vorrebbe avere un figlio da lei, così da completare la famiglia, Miriam pensa invece solo alla sua sfolgorante carriera, non perdendo occasione di umiliare il marito facendolo sentire inferiore e arrivando persino a sospettare che lui sia invidioso del suo successo. Tra flashback del passato felice e dell’adolescenza complicata di Miriam, ed un presente triste e vuoto in cui la loro storia sembra essersi conclusa malamente, si svolge il racconto strano ed ambiguo di una coppia la cui differente visione del mondo e dell’amore porterà sul baratro della follia e della perdizione.
Bido torna al lungometraggio dopo 33 anni, e lo fa con l’intenzione, che non sarà disillusa, di lasciare il segno. Lo si capisce subito dai primi frame e dalla maestosa fotografia di Gianni Del Popolo, talmente satura di colori da risultare quasi fiabesca, avvolgendoci immediatamente col suo tocco e portandoci a capofitto dentro la vita di Andrea e Miriam. Non è difficile intuire sin dall’inizio come il film si svolga in una dimensione onirica, sospesa, in un tempo del sogno dove i protagonisti nuotano in una sorta di liquido amniotico che non ci permette mai realmente di capire quali siano i fatti che si svolgono realmente e quali facciano invece parte della loro immaginazione e, perché no, delle loro follie ed ossessioni. Tra gli alberi occhieggia una figura che ci porta quasi a pensare che Bido si sia voluto inerpicare nel territorio della ghost story, quella di una bambina che spinge una carrozzina per le bambole, ma molto presto impareremo a collocare questa visione, solo all’apparenza inquietante, nello spazio che le compete. Nulla è a caso in Funérailles, ogni dettaglio, ogni colore, ogni frase, sono stati studiati meticolosamente per essere al loro posto, e formare sempre più chiaramente il quadro d’insieme di questa ineluttabile tragedia familiare.
Il tappeto sonoro, con musiche originali di Francesco Tresca e brani di musica classica e lirica, ha fin da subito un grande impatto, e la cosa risulta ovvia dal fatto che i protagonisti sono due pianisti, ed è proprio il pianoforte lo strumento che li lega e li allontana sempre più, in un vortice macabro nel quale il dramma è in agguato. Dopo uno splendido incipit a colori, Bido inizia a portarci indietro nel tempo, con raffinatissimi flashback in un elegante bianco e nero, durante il quale ripercorriamo la storia di Miriam bambina, col suo approccio alla musica ed il rapporto burrascoso coi genitori, e quella del suo amore con Andrea, fino ad arrivare al presente, grigio e vuoto ma sottolineato dai colori della brillante fotografia. In questo mondo onirico si inseriscono personaggi quasi surreali, tra cui la madre ed il padre di Miriam, fantasmi, visioni, o persone ancora in carne ed ossa, chissà, la bambina con la carrozzina e l’impresario della coppia, forse colui che tra tutti rappresenta meglio la sfera della realtà, che interrompe, con le sue entrate in scena, il flusso del sogno in cui siamo trasportati. Stesso discorso vale per le location, tutte collocate tra Ariccia e Velletri, come il piccolo auditorium dove Andrea si esibisce all’inizio o la splendida villa isolata dove si svolge buona parte del film: tutti sembrano luoghi irreali, da sogno, pronti a sparire o comunque modificarsi al primo battito di ciglia, con un cromatismo accentuato che li rende quasi parti di un quadro.
“Ombre, ricordi e crepe”, questo, ci dice Miriam, è tutto ciò che sembra esserle rimasto della sua vita: l’introspezione è un altro dei punti forti su cui si impernia Funérailles, presentandoci pochi personaggi ma tutti molto ben caratterizzati, anche le pochissime figure di contorno. Bido e Del Popolo costruiscono poi un montaggio sincopato che più volte calca la mano sull’atmosfera da incubo, e non è un caso che in una delle scene più sofferte del film questa sia stata accompagnata dalle lugubri note del Faust di Charles Gounod, così come la scelta del titolo della pellicola sia caduta su una disperata marcia funebre di Franz Liszt, che apre e chiude l’intera vicenda. Nonostante il tema di Eros che si incrocia con Thanatos sia vecchio quanto il mondo, Bido e la moglie, la sceneggiatrice Marisa Andalò, hanno saputo sfruttarlo per realizzare un’opera sanguigna, originale e dolorosa come non mai, in cui, come spesso accade, è l’uomo, con le sue innumerevoli perversioni, a fare più paura di qualsiasi mostro generato dalla fantasia di qualche scrittore.
Durante l’intera narrazione si passa senza soluzione di continuità dal territorio del sogno a quello dell’incubo, e le paure della protagonista sembrano sovente prendere vita, incarnarsi, assumere aspetto corporeo, reale, avviluppando tutto sempre più in una confusione che non può che essere malsana, alimentata dal dramma infantile di Miriam, e da quello della solitudine, che sta vivendo adesso. Lo spettatore è portato a condividere con lei la labilità dei confini tra il reale e l’irreale, tra ciò che è e ciò che sembra, tra il sogno, l’incubo e forse il desiderio recondito. Il regista ci mostra per immagini come non ci sia nulla al mondo che faccia più paura dei meandri oscuri in cui può invischiarsi la mente umana, facendoci perdere completamente o, in casi fortunati, solo parzialmente, l’aderenza con la realtà.
Il trauma infantile, o comunque un evento drammatico avvenuto in gioventù, è alla base dei due thriller bidiani, e questo ultimo lavoro non fa eccezione. Spesso negli Anni Settanta i grandi del cinema italiano di genere si sono basati, per i loro assassini, proprio su queste tematiche, basti pensare alla maggior parte dei killer dei film di Dario Argento, che raramente coglievano dal presente l’input per le loro nefandezze. Dopo aver vissuto, quindi, un terribile trauma che le ha segnato la fanciullezza, Miriam si rintana nelle note, nel pianoforte, l’unico, a suo dire, che può capirla fino in fondo, finché l’amore per Andrea sembrerebbe “salvarla” dalla sua solitudine, ma così non è. Nonostante l’amore che prova per lui, i suoi pregressi con gli uomini la portano a seguire il desiderio che la spinge verso la sua personale idea di felicità, che però lei vede riflesso davanti a sé in una sorta di trasposizione onirica fatale del famoso quadro di John Everett Millais Ophelia. E proprio nella dolce Ofelia shakespeariana si incarna bene la vita di Miriam, il cui amore, corrotto da eventi esterni non ponderabili che affondano nel passato, sembra averla spinta definitivamente nei gorghi della follia. Funérailles suona come una sorta di monito, contro l’ambizione smodata, la totale fiducia in se stessi e nelle proprie doti e capacità, che offuscano spesso chi ci sta accanto, anche se, in questo caso, pare che tutto ciò sia usato da Miriam come una sorta di riscatto dal suo passato: tuttavia questo tipo di atteggiamento autoconclusivo non può che spingere pian piano il soggetto operante in fondo ad un baratro di solitudine e follia, fino alla perdita totale del proprio io, nel quale massimamente si confidava. Nel film c’è anche la personale condanna di Bido a temi quanto mai scottanti e sempre, ahimè, attualissimi, come l’incesto, la violenza sulle donne e l’impossibilità, ancora oggi, per una donna di decidere liberamente del suo futuro, della sua vita, della sua personale scelta di non essere madre senza essere giudicata. Il regista, infatti, si pone, a seconda dei casi, in modi diversi davanti alla sua protagonista, talvolta schierandosi palesemente dalla sua parte, quasi compatendola, talaltra invece avversando un certo suo tipo di atteggiamento.
La gravidanza, il corpo che cambia, che si trasforma, il terrore di avere la vita e la carriera completamente sconvolte dalla nascita di un bebè, insieme a un timore più personale che getta le radici nel pregresso della protagonista, è il fulcro su cui si dipana buona parte della vicenda. Talvolta Miriam sembra arida, snaturata, addirittura contro natura, quando afferma che un figlio sia una perdita di tempo, fa venire i brividi, e la violenza con cui essa proclamerà il suo diritto a non essere madre talvolta è così cruda ed esasperata da terrorizzare letteralmente lo spettatore, più di tanti mostri fittizi.
Elegante. Questo è l’aggettivo che più di tutti trovo calzare a pennello al nostro Funérailles. Elegante nella regia, nella fotografia, nei dialoghi, nelle interpretazioni, persino nelle scene violente, valorizzate dagli splendidi effetti di Sergio Stivaletti e la sua fidata squadra, che riescono a fare più male di tanto splatter gratuito, colpendo le corde più recondite di ognuno di noi. La scelta del cast è oltremodo perfetta, a mio modesto parere. Ad interpretare Miriam Grieco troviamo la talentuosa attrice umbra Alessandra Chieli, che è anche una valente musicista, quindi si è saputa benissimo calare nei panni della pianista affamata di fama con un passato difficile che cerca di negare anche a se stessa. La sua formazione teatrale è in questo caso indispensabile per la perfetta immedesimazione col personaggio, che fa suo in tutte le più piccole sfumature. Al suo fianco, nei panni di Andrea, il pugliese Fausto Morciano, anche lui con una lunga e brillante carriera teatrale alle spalle. Espressivo ed elegante come la sua partner, gioca il ruolo dell’uomo innamorato e assoggettato alla sua donna ed alla sua arte, che però non riesce a imbrigliare totalmente i suoi desideri, cosa che porterà alla disintegrazione di tutti i suoi sogni. Ricorrente, come un mantra, la sua invocazione disperata nei confronti della moglie: “Cos’altro vuoi per essere soddisfatta?” Nel ruolo caustico della madre di Miriam, invadente ed autoritaria, quasi un personaggio timburtoniano, troviamo la grandissima Stefania Casini, l’indimenticabile Sarah del capolavoro argentiano del 1977 Suspiria, che vanta collaborazioni con nomi del calibro di Aldo Lado, Bernardo Bertolucci, Antonio Margheriti, Carlo Vanzina e lo stesso Bido, da cui è diretta in Solamente Nero.
Insomma, con un occhio alle atmosfere del passato ed uno ai temi più scottanti ed attuali del nostro tempo, tra tutti il perpetuarsi violento del patriarcato, Antonio Bido ritorna brillantemente sulle scene cinematografiche, facendoci sperare che adesso non le abbandoni più per un bel po’. 

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