Oppenheimer

Il padre della bomba atomica e il magma della coscienza

" Fammi entrare Bomba sorgi da quell'angolo da topo gravido non temere le nazioni del Mondo con le scope alzate O Bomba ti amo voglio baciare il tuo clank mangiare il tuo Bum": così, in versi liberissimi, scriveva nel 1964 Gregory Corso, grande poeta della Beat Generation che alla fine venne a vivere e a morire proprio qui a Roma. The bomb è la sua poesia più celebre, una provocatoria dichiarazione d'amore all'ordigno atomico che prometteva morte e distruzione a tutto il mondo. E alla micidiale bomba e al suo inquieto creatore è dedicato l'ultimo film di Nolan, che ovunque sta conquistando il pubblico e consensi. « Adesso sono diventato Morte, il distruttore dei mondi » dice amaramente Oppenheimer, citando il verso più celebre della Bhagavadgita. Il film racconta bene le spinte opposte che si agitano nella coscienza del padre della bomba: da un lato sente che deve portare a termine quel progetto micidiale prima dei Nazisti, che la guerra potrà finire solo se gli americani avranno a disposizione l'arma decisiva; dall'altro è agitato da scrupoli, sensi di colpa, angosce infinite per quello che potrà accadere nel futuro, se un futuro ci sarà ancora. La parte migliore del film è quella dedicata alla costruzione della cittadina e del laboratorio a Los Alamos, quell'unione di " fisica e New Mexico" che per Oppenheimer era un sogno felice. E le immagini del " Trinity test" sono strepitose: tutto tace mentre lo schermo si riempie di un magma ribollente, fontana e cascata di fuoco, energia, distruzione. È il centro del film, uno spettacolo affascinante e mostruoso. Purtroppo non tutto funziona altrettanto bene nel racconto della vita di Oppenheimer, trascinato per tre ore che in certi momenti sembrano non passare mai. Il problema sta nella sceneggiatura, che avanza e torna indietro troppe volte, ripetendo inutilmente momenti già visti e assorbiti. Il processo a cui Oppenheimer è ignobilmente sottoposto perché sospettato di essere comunista e forse addirittura di passare informazioni all'Unione Sovietica doveva concludere il film: ma Noland anticipa questa persecuzione vergognosa, ce la mostra a lungo già all'inizio e poi la riprende nell'ultima ora, indebolendo la tensione narrativa. Ci sono ancora scene molto intense, come l'incontro con Truman, o la decisiva conversazione con Einstein, ma ormai l'attenzione si è fiaccata, le carte sono già scoperte, viste e riviste, e il film si conclude stancamente. Fa piacere immaginare che tanti ragazzi stanno andando al cinema per vedere " Oppenheimer", che scopriranno una pagina fondamentale della nostra storia recente, mai studiata a scuola, però nell'insieme il film mi sembra un'occasione sprecata. Troppe parole, troppe spiegazioni, troppi giri a vuoto: potevano essere due ore memorabili, invece sono tre ore che via via perdono ritmo e intensità. Allora andiamo a vedere questo film, ma poi rileggiamo "The bomb" di Gregory Corso, l'orrore condensato in un testo che ha la forma grafica del fungo atomico e la potenza sintetica e straordinaria della poesia. E portiamo un fiore riconoscente a Gregory, sepolto nel cimitero acattolico sotto la Piramide Cestia.
Da La Repubblica, 1 settembre 2023


di Marco Lodoli, 1 settembre 2023