La zona d'interesse

Un film di Jonathan Glazer. Con Christian Friedel, Sandra Hüller, Johann Karthaus, Luis Noah Witte.
continua»
Titolo originale The Zone of Interest. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 105 min. - Gran Bretagna, Polonia, USA 2023. - I Wonder Pictures uscita giovedì 22 febbraio 2024. MYMONETRO La zona d'interesse * * * * - valutazione media: 4,12 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Una famiglia felice Valutazione 4 stelle su cinque

di nino raffa


Feedback: 4338 | altri commenti e recensioni di nino raffa
mercoledì 15 maggio 2024

“Tutte le famiglie felici sono uguali”, così il famoso incipit di Anna Karenina. Non sappiamo se Tolstoj confermerebbe dopo aver visto La zona d’interesse.
Auschwitz, 1943. Rudolf Hoss, inventore e comandante del campo di sterminio, abita con la moglie Hedwig e i cinque figli, un villino appena oltre il muro col filo spinato. Oltre il rigoglioso giardino - il gazebo, l’orto, la serra, una piccola piscina - s’intravedono i massicci caseggiati dai tetti rossi, più in lontananza le ciminiere dei crematori. A tratti si sentono ordini brutali, grida e spari, senza che tutto ciò turbi la tranquilla routine della famiglia: governo della casa, ufficio, scuola, visite di amici, picnic sulle rive del fiume, cavalcate nei boschi, qualche festicciola. Una famiglia normale, mediamente felice. Il campo quasi non c’è. Quando la vite sarà cresciuta sul muro, non si vedrà più nulla.
 
Jonathan Glazer – autore e regista – ci presenta un’Auschwitz domestica. Nello studio di Rudolf i rappresentanti della ditta Topf & Söhne illustrano le meraviglie d’efficienza dei nuovi crematori. L’ufficiale conta sulla scrivania le mazzette di marchi e dollari rubate ai deportati. La pelliccia di visone che Hedwig prova soddisfatta allo specchio ha la stessa provenienza. Il concime che fa crescere così rigogliose azalee e girasoli è la cenere dei forni; la stessa che purtroppo disturba le gite al fiume dei ragazzi. Internata è naturalmente l’amante di Rudolf; e forse anche Hedwig si concede parallele distrazioni.
 
Tante volte l’olocausto è stato raccontato dal punto di vista dei carnefici: convinto o sofferto atto d’ufficio, oppure privato sadismo. La zona d’interesse ne scopre invece la dimensione di sogno borghese realizzato. Rudolf è un ottimo direttore d’impresa. Organizzatore, maestro della logistica, seleziona e gestisce il personale per le necessità della produzione bellica, occupandosi della peculiari procedure di licenziamento richieste dai suoi capi. Unisce la sensibilità all’efficienza, imponendo alle SS di rispettare i lillà quale elemento di decoro del Campo. Hedwig, chiamata dal marito la regina di Auschwitz,ha talento per l’architettura da giardino.
A dispetto del cosiddetto male assoluto, Auschwitz è contingente ai possibili significati del termine umanità. Hedwig e Rudolf sono umanità-natura allo stato puro che segue gli scopi che si è data, usando i mezzi a disposizione. Selezione naturale prodotta dal nazismo, ma i due si sarebbero comunque distinti nel comunismo di Stalin o nel capitalismo più estremo. In qualunque società individualista o materialista retta dalla mancanza di amore.
Hannah Arendt scrisse che Heichmann  “non capì mai cosa stava facendo”; mancava di idee e immaginazione, e ciò lo predispose ai suoi crimini. Concluse che “carenza di idee e lontananza della realtà possono essere molto più pericolosi degl’istinti malvagi innati nell’uomo”. Gli Hoss hanno obiettivi, personalità, capacità e determinazione. Danno l’impressione di capire, coltivano idee e pianificano il futuro. Sono in grado di immaginare un mondo diverso, ma questo semplicemente non li interessa. La mancanza di malvagità non li sottrae dalle azioni più abiette.
Sul finire del ‘43 Rudolf, viene trasferito ad altro incarico, ma insieme alla moglie fa di tutto per restare. Il villino al di là del muro è il loro ideale. Non abitano l’inferno per caso o ubbidienza. Credono sia il paradiso. L’hanno costruito e combattono per mantenerlo. Ci sono molti che voglionoAuschwitz al posto loro.
 
Glazer ci invita a leggere la trama dal rovescio. Il grazioso villino è lo specchio delle baracche, delle camere a gas e dei crematori, da cui differisce per estetica, per sostituzione del grigio con i  colori: non per sostanza. Gli Hoss non solo fanno parte di Auschwitz, ma in un certo senso ne sono il centro. Sono il motore dell’orrore, per il comando di lui, naturalmente, ma di più per la mentalità che incarnano, senza la quale il Campo sarebbe inconcepibile.  
E anche se si tentasse di non capirlo c’è uno strano suono che li accompagna. Una nota angosciante fa da sfondo a molte scene, lacerando il velo delle apparenze. Un suono indefinibile, ora percepibile come lo strazio delle vittime, ora stridente, ora monotono e crescente avanzare della macchina dello sterminio. Anche un verso demoniaco di Erinni che invocano vendetta. Forse è proprio la voce del Campo, che grida più di ogni immagine alla quale – anche se non dovremmo – ormai siamo abituati.
Arriva in visita la madre di lei, antisemita convinta, ma dopo una notte nella stanza delle ragazze con vista sul rosseggiare inestinguibile dei camini, scappa all'alba. Lascia una lettera - un avviso, un allarme dall'esterno - ma Hedwig la getta nel fuoco indispettita.
 
La distanza storica comporta sempre dei rischi valutativi. Chi sarebbero Rudolf e Hedwig oggi? Magari dei rispettati imprenditori, residenti in una splendida masseria, che impiegano braccianti extracomunitari pagati 20 euro al giorno per sedici ore di lavoro.
E insieme alla responsabilità personale, e penale, probabilmente ne esiste una collettiva, o politica. A cosa servono film come La zona d’interesse? In generale, che senso ha coltivare la Memoria? Di solito rispondiamo: perché non si ripeta. Ma sappiamo di mentire. Quando la Memoria non è un mestiere, al meglio è una confortante illusione. E intanto Auschwitz continua funzionare indisturbato in molti luoghi del mondo. Affittiamo un villino sul litorale del canale di Sicilia, facciamo una vacanza in resort su quelle spiagge, nascosti dietro il muro del mare. Ma il vento ci porta il sinistro lamento dei barconi, oppure l’eco dei campi di concentramento libici che noi – repubblicani e democratici – abbiamo contribuito a costruire attraverso i nostri rappresentati.
 
Arendt diffidava da quelli che cercano un Eichmann in ciascuno di noi, temendo che ciò potesse  giustificare i veri Eichmann. Ma forse dopo tre generazioni l’esercizio potrebbe tornare utile. Non sappiamo cosa sia il male, né dove risiedano le sue radici. Le troppe sfaccettature – dal sadismo alla distrazione – ci confondono. Del bene però sappiamo che è molto esigente. Non c'è alcun bene in una casa tranquilla, in una famiglia serena, in un buon giro di amicizie, se non si cerca e riconosce l’inferno che c’è fuori, adoperandosi - avrebbe detto Italo Calvino - a dare spazio a ciò che inferno non è.
Sono così comuni gli abitanti dell’inferno? Coloro che lo accettano fino a diventarne parte e finiscono per non vederlo? Nel finale, Rudolf va a una festa da ballo con altri ufficiali nazisti, sale nel loggiato del grande salone e pensa a come si potrebbero gasare tutti i partecipanti. Ancora l’assenza di giudizio morale: la ragione come mero ordinamento dei mezzi ai fini. Gasare ebrei o commilitoni, non differisce. Il lavoro ben riuscito - l’ordine - è l’unica morale. Che tipo di ordine o lavoro, non ha importanza.
Più tardi, uscendo dall’ufficio, ha dei conati di vomito; come se di fronte all’assenza di spirito, e a un’intelligenza cieca, il corpo rimanesse l’unica/ultima sentinella a difesa del bene. Il corpo come autonoma fonte etica. E si aprirebbe, in parallelo, una lettura freudiana del vomito: una scissione dentro il protagonista, con l’inconscio che emerge e si ribella. Dura un minuto. Rudolf si riprende e va verso l’uscita. Verso il destino suo e delle sue vittime. 
 
Nelle ultime sequenze vediamo Auschwitz adesso, mentre il personale fa le pulizie. Il perpetrarsi dell'ordine maniacale e l’allusione al lavoro che rende liberi: Arbeit macht frei letto a rovescio, come rovesciata era la B della famosa scritta sul cancello. Il lavoro come sfiancamento e annientamento spirituale, la libertà come morte. Le addette alle pulizie, nel tirare a lucido pavimenti e vetri, replicano i gesti dell'orrore, ma allo stesso tempo si comportano in maniera normale. Si lavora e si fa pulizia a Auschwitz come in ogni altro posto. E del resto, come si dovrebbe? Pregando, piangendo, stando in ginocchio? Il lavoro è lavoro, e va fatto comunque. E poi ci sono tutte le altre cose della nostra vita. Solo perché siamo ad  Auschwitz dovremmo dimenticare la spesa, il mutuo, le prossime vacanze? La Memoria è occasionale, frequentata per brevi momenti, in assenza di pensieri più urgenti. Sotto questa luce, Auschwitz è un posto quasi qualunque.
Cos'è il Campo dopo ottant’anni? Un museo che stacca biglietti come il Louvre o gli Uffizi? Una struttura produttiva, come l'aveva pensata il suo inventore? Un'attrazione turistica attraversata da scolaresche distratte dagli smartphone? La montagna delle scarpe dietro le vetrate è un’installazione post moderna?
 
Glazer rileggendo liberamente l’omonimo romanzo, dirige una pellicola significativa, il cui soggetto eccede necessariamente l’opera in sé. Ottima Sandra Huller (Hedwig) nei panni della donna di umili origini ascesa ai fasti della borghesia. Della colonna sonora di Mica Levi, asse portante del film, si è già detto.
Rudolf Hoss fu tra i più capaci artefici della soluzione finale. Nonostante i meriti, non andò oltre il grado di tenente colonnello delle SS; come il suo superiore Eichmann che lamentò continuamente quest’ingiustizia durante il processo. Nella primavera del ’44, a guerra di fatto persa, Hoss venne incaricato dello sterminio di circa 800.000 ebrei ungheresi. L’operazione, battezzata in suo onore Hoss Action, venne eseguita con la consueta efficienza, nonostante i russi alle porte. Fuggito e poi catturato dagli inglesi, testimoniò a Norimberga, fu processato nel ‘47 dalla Corte Suprema di Varsavia e impiccato nel piazzale di Auschwitz. Hedwig Hoss morirà nel 1989 negli Stati Uniti dove si era trasferita con la figlia.
Uno degli psichiatri che visitò Adolf Eichmann nel ‘61, prima del famoso processo a Gerusalemme, dichiarò che l’ufficiale nazista era perfettamente normale, “più normale di quello che sono io dopo averlo visitato”.
Dovremmo provare qualcosa di simile mentre scorrono i titoli di coda.




[+] lascia un commento a nino raffa »
Sei d'accordo con la recensione di nino raffa?

Sì, sono d'accordo No, non sono d'accordo
100%
No
0%
Scrivi la tua recensione
Leggi i commenti del pubblico

Ultimi commenti e recensioni di nino raffa:

Vedi tutti i commenti di nino raffa »
La zona d'interesse | Indice

Recensioni & Opinionisti Premi
Multimedia Shop & Showtime
Premio Oscar (7)
National Board (1)
Spirit Awards (1)
Golden Globes (3)
Festival di Cannes (1)
European Film Awards (6)
Critics Choice Award (1)
BAFTA (12)


Articoli & News
Immagini
1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | 11 | 12 | 13 | 14 | 15 | 16 | 17 | 18 | 19 | 20 |
Link esterni
Scheda | Cast | News | Trailer | Foto | Frasi | Pubblico | Forum | Shop |
prossimamente al cinema Film al cinema Novità in dvd Film in tv
Altri prossimamente » Altri film al cinema » Altri film in dvd » Altri film in tv »
home | cinema | database | film | uscite | dvd | tv | box office | prossimamente | colonne sonore | Accedi | trailer | TROVASTREAMING |
Copyright© 2000 - 2024 MYmovies® // Mo-Net All rights reserved. P.IVA: 05056400483 - Licenza Siae n. 2792/I/2742 - credits | contatti | redazione@mymovies.it
Normativa sulla privacy | Termini e condizioni d'uso
pubblicità