La zona d'interesse

Un film di Jonathan Glazer. Con Christian Friedel, Sandra Hüller, Johann Karthaus, Luis Noah Witte.
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Titolo originale The Zone of Interest. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 105 min. - Gran Bretagna, Polonia, USA 2023. - I Wonder Pictures uscita giovedì 22 febbraio 2024. MYMONETRO La zona d'interesse * * * * - valutazione media: 4,12 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

L'oggettività del quotidiano

di Fif


Feedback: 208 | altri commenti e recensioni di Fif
giovedì 29 febbraio 2024

Se avete ancora speranza nell’uomo, se vi appigliate quotidianamente con fatica ad ogni cencio di comunità per sentirvi meno soli in un percorso vitale di difficile lettura, non guardate la zona di interesse, non leggetene neanche le recensioni, attraversate prima di incontrarne i manifesti nei cinema che ce l’hanno in programmazione, perché se lo vedrete, poi, non potrete mai più far finta di non sapere, come fino all’attimo prima di quel maledetto avvio. Che poi non vederlo sarebbe forse la sua più ampia celebrazione, perfettamente in linea con l’indifferenza che il film trasuda, in ogni sua lentissima scena. È un horror in cui non è consentito urlare, non c’è nessuna scusa di sfogo, un climax monco che rincorre un apice che non arriva mai, in cui l’angoscia di chi guarda monta per restare. L’indifferenza è la chiave, pilastro di vite banali, già, la banalità del male, ma ancora più a portata di mano, lineare e piatta, la vita di una famigliola qualunque, il compleanno del padre lavoratore, i pettegolezzi tra le vicine prendendo un thè, giornate uguali di una moglie fiera del proprio giardino, bambini che giocano a rincorrersi. Solo che non è così, solo che fuori è l’inferno e quel fuori è già lì dentro. Se solo questo film insieme alla banalità ci consegnasse anche la retorica del male, allora di nuovo saremmo salvi, avremmo il solito contentino morale in cui crogiolarci, condonandoci l’anima in qualche consolazione autoimposta. Invece no. Qui la ricerca è diversa, emerge una domanda nuova: come e perché si può arrivare a non vedere più, a non saper più leggere l’umanità delle vite? Razionalizzare a tal punto che la cenere di corpi umani non è più feticcio su cui aggrappare le preghiere per un caro, ma mero fertilizzante per le piante. È disarmante. E lo è perché scava talmente tanto da arrivare alle basi di cosa sia giusto e sbagliato, quando non c’è più alcuna argomentazione per poter spiegare l’aggettivo se non sé stesso: è sbagliato perché è sbagliato, punto. Ma non basta. L’oggettività con cui la realtà si mostra, cruda e vera, è estenuante. Traspare che allora sul piano dell’oggettività non c’è spazio per l’uomo e che quindi l’uomo, inteso come umano, non è reale, è finzione di un mondo soggettivo che in quanto tale non esiste. L’uomo non è neanche bestia, è un non è, è astrazione, è negativo, in senso di contrario. Prova ne è che le uniche scene che riportano ad un umano sentimento sono in bianco e nero, a colori invertiti, lì si intravede il gioco spontaneo, ma una favola raccontata di sottofondo a quelle scene assume un tono aberrante quando il forno di Hansel e Gretel si confonde con quelli di Auschwitz, sottolineando come le premesse delle nostre infanzie siano state tutte sbagliate. C’è solo un momento, nel finale, in cui lo spettatore ha un sussulto, spera di uscire dall’apatia in cui è intorpidito, ed è quando il protagonista sembra stare male, vomita. In quella frazione di secondo si prova pietà, ma allo stesso tempo ci si augura che un equilibrio divino gli imputi qualche malattia, sarebbe giustizia, e sarebbe allora salvezza per tutti, nella semplificazione che ci sarebbe più comoda: lui condannato, noi innocenti. Ma è lì la rivoluzione di un punto di vista innovativo e geniale, la scena cambia e ci ritroviamo senza capirlo ad oggi, quando tutto quel male non è diventato che un museo in cui delle addette alla pulizia sistemano reperti, le scarpe di bambini potrebbero essere qualunque cosa, qualunque oggetto di qualunque persona, non è più importante di chi e perché, di nuovo quella linearità asettica e cinica che però è vita di qualcuno, ancora una volta l’abominio diventa normalità, si astrae il contesto e rimane la quotidianità. Non ci si salva con un’ipocrita rivincita dell’antagonista che muore sofferente, non ci è data questa scorciatoia e, infatti, un attimo dopo, la scena torna sul comandante Rudolf Hoss di nuovo in piedi. Lui è salvo, lo spettatore no. La trama non è risolta, il cattivo non è finito, l’indifferenza resta affidata agli incoscienti avventori, liberi di tornare ognuno alla propria quotidianità, tra le personali mura di cinta ben chiuse, indifferenti a ciò che c’è dietro, confondendo le spine del filo di confine con quelle delle rose sgargianti, ognuno sereno nella propria zona di interesse.

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