Premesso che solo un genio può trarre un film da un romanzo come quello di Pavese, perché ci si possa meglio rendere conto di quanto liberamente la regista si sia ispirata al breve romanzo di Pavese, trascrivo parte di quanto sul romanzo dice Valentina Zinnà in Critica letteraria, che condivido pienamente:
(...) La bella estate è un romanzo che in poco meno di cento pagine mostra magistralmente la crescita di una ragazza che alle soglie dell'età adulta si sente ancora bambina mentre vorrebbe essere già donna. Attorno a lei, le amiche frequentano già degli uomini, sanno già cosa vuol dire "andare nei prati" mentre lei si trova a occuparsi del fratello Severino e a gestire la casa come una donna di famiglia. Tuttavia è giovane, vivace, vuole entrare nella pienezza della vita, con quella sicura fiducia verso il futuro e quell'incoscienza caratteristica degli anni dell'adolescenza. L'incipit, in tal senso, è poetico e illuminante:
A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, o magari venisse giorno all'improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare camminare fino ai prati e fin dietro le colline. (p. 3)
(...) questa voglia di vivere appieno la vita e (...) questo senso di inadeguatezza che serpeggia silenziosamente dentro l'animo di Ginia preparano l'entrata in scena di uno dei personaggi determinanti della storia, Amelia: scostante e superba, più grande di tutte («compariva solo di tanto in tanto, le sere di quell'estate, e non dava confidenza a nessuno ma rideva con tutti, perché aveva diciannove o vent'anni», p. 8), attira subito l'attenzione di Ginia (...) Pavese riesce magistralmente a mettere in scena la crescita di una ragazza, che durante l'estate dei suoi sedici anni diventa donna (...) le attese febbricitanti con cui la protagonista attende e cerca il suo innamorato Guido, il batticuore con cui sale le scale, la tenerezza e le emozioni contrastanti che le stravolgono il cuore, la difficoltà e la bellezza delle prime esperienze. Tuttavia, ben presto, altre emozioni ben più fosche si uniscono a queste: il rapporto tra Amelia, Ginia, Rodrigues e Guido, infatti, diventa sempre più morboso e si agitano in Ginia dei sentimenti contrastanti, compresa la gelosia.(...) La bella estate, quindi, è il racconto di una stagione che cambierà per sempre la vita di Ginia e segna il suo passaggio all'età adulta, con tutto ciò che ne consegue: il suo progressivo allontanarsi dalla casa e da Severino, che compare sempre meno nel romanzo, al pari delle amiche, segnano la progressiva crescita della ragazza, così come la girandola di sentimenti che le sconvolge il cuore. Il finale, in tal senso, è emblematico, e in particolare la frase scelta per chiudere il romanzo (...) : "Andiamo dove vuoi, disse Ginia (ad Amelia ), conducimi tu".
Ecco, io non sono sicura, come lo è la regista, che Pavese racconti la presa di coscienza della sua omosessualità da parte di Ginia, bensì la sua emancipazione come donna.
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