La bella estate

Il film rievoca le emozioni, i colori, e le fragili sottigliezze che Cesare Pavese aveva impresso in quelle pagine.
Mi ha riportato a quando ho letto per la prima volta La bella estate, ed ero piccola e avvolta nelle mie insicurezze, alla scoperta del mondo, nelle mie esperienze, e primo tra tutto, alla mia voglia di essere libera di amare chi volevo. Il film mi ha avvolto in quelle emozioni, che si erano cristallizzate in me.
Le musiche, i colori, la fotografia, i personaggi che parlano a partire dai loro corpi, espressività e sguardi.
Non era semplice portare Pavese al cinema, non avendo trama ma parlando solo di emozioni, riflessioni e sensazioni. Eppure, eccolo qui.
C’è un grande rispetto delle parole di Pavese e anche interpretazione, inevitabile data la sensibilità della regista. Non credo che altri avrebbero potuto creare un film più bello su questo libro. Semplicemente perché era destinato alla scrittura e interpretazione di Laura Luchetti, alle sue emozioni e la sua comprensione. E destinato all’alchimia creatasi tra attrici e attori presenti. Presenti non solo nella recitazione, ma con i loro corpi, i loro sguardi, e le loro voci. E forse, mi piace pensare, anche con le loro vite. Inutile dire che nulla è lasciato al caso, a partire dai costumi, dai luoghi, alla musica, luci e fotografia.
Un film ambientato negli anni Trenta, ma che ti fa dimenticare di questo perché universale, esattamente come Pavese fa nel suo libro e con le sue parole.
Non può che lasciarti all’introspezione, all’esplosività del proprio corpo negli anni della crescita. Con quella malinconia, quel dolore, ma quella forte voglia di conoscere e conoscersi, di esistere, che nonostante tutto, muove anima e corpo in questi anni.
Forse in questa recensione ho parlato anche molto di me, ma d’altronde, penso che l’arte della letteratura e del cinema, siano ciò che più ci muove come esseri umani, ancora una volta, alla scoperta di sé stessi. E questo film, ne è stato allora l’esempio.