Killers of the Flower Moon

C’è questo dolore interiore che si trascina, è qualcosa che va al di là delle immagini, dei dialoghi, peraltro non particolarmente profondi: credo venga dall’effetto sulla coscienza, ma forse anche nell’inconscio, come se una comunicazione silenziosa della protagonista femminile, del suo bellissimo viso, sguardo, riuscisse a trasmettere l’acuta insicurezza sulla propria vita e quella del suo popolo in questo stillicidio di omicidi. Ed è una sorta di presentimento, di chiunque si senta diverso o straniero persino a casa sua, e poi la bellezza severa degli arredi delle case, la cifra oscura della luce, le catarsi dei riti, la mercificazione dei sentimenti più nobili.

Se il giorno dopo che l’hai visto ti trovi ancora prigioniero di questa solitudine che esprime; allora si tratta proprio di un grande film, ma dire grande è un diminutivo: si tratta di trovarsi nel terreno dell’inquietudine, che anche le colt coi loro spari improvvisi scandiscono con rintocchi irregolari che aprono e richiudono in lenti istanti la scena sulla morte, al suo silenzio ancora pregno della violenza di un’esecuzione, quasi un presagio sull’esecuzione del futuro già eseguito dei bianchi sui Nativi, che film come questo riportano per un istante alla luce dal melmoso oblio.