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C’è una ragione per cui le commedie francesi riescono dove le pellicole italiane falliscono: perché sono semplici. Che, per amor di Dio, non significa essere superficiali, ma capaci di delineare una storia da A a B senza aggiungere variabili di sorta che rendono la trama complicata con protagonisti affiatati ed empatici. Aggiungere tanta carne al fuoco piuttosto che lavorare in sottrazione è azzardo pericoloso e mal ripagato e per fortuna Rumba Therapy, partendo da un inizio assolutamente stravisto preda di trascorse commedie americane (leggasi Step Up e Shall We Dance?) riesce a evitare con grazia e manco a dirlo leggerezza, proseguendo il filone di Tutti in piedi con protagonista l’attore/regista Franck Dubosc.
Lo stesso qui interpreta Tony, cinquantenne guidatore di scuola-bus che ha abbandonato la moglie Carmen (Karina Marimon) e la figlia Maria (Louna Espinosa) appena nata, per inseguire il sogno americano. Sogno che manco a dirlo non si è avverato e lui è rimasto fumatore impenitente, a guardare la vita dal finestrino retrovisore cogliendo i piccoli istanti dei bambini che porta ogni giorno a scuola e divenendo, manco a dirlo, “uno di loro” con quel piglio di frustrante malinconia che ben traspare nella traduzione dal francese all’inglese di parolacce tradotte. Ma Tony, stivaloni da cowboy, giubbotto in pelle e camminata alla John Wayne, è solo la maschera sfumata di una esistenza mai realizzata e complice “il pretesto” di una malattia cardiaca, è spinto, sua sponte, a riallacciare i rapporti con i familiari, con una moglie che si è rifatta una vita, ma soprattutto con una figlia, ora insegnante di ballo a Parigi, in una scuola chiamata “Rumba La Vida”. Deciderà quindi, per cercare di recuperare il tempo perduto, di frequentare, seguendo sotto falso nome, le lezioni di ballo di Maria, allo scopo di trovare l’occasione giusta per parlarle esprimendo con una comunicazione alternativa a quella verbale, i non detti di oltre vent’anni di vita. Non sarà facile.
Franck Dubosc esce dal campo minato dei facili sentimentalismi vincitore, rendendo “universale” tramite il linguaggio del corpo del ballo, una storia drammatica di abbandono. E lo fa con un cast che ben traduce le vite interiori dei personaggi, cogliendoli nella loro debolezza e fragilità. Tutti sono perfetti e lavorano allo scopo, anche i co-primari, ben oltre le aspettative come l’insegnante di ballo “congolese” Fanny che segue le lezioni di rumba su youtube, l’amico Gilles segretamente innamorato di Tony e il medico cinico (cammeo dello scrittore Houellebecq). La scelta delle canzoni e delle delusioni che la vicenda inanella sono tradotte senza virtuosismi, come dovrebbe essere una commedia, con un’assunzione drammatica che ben si fa esperienza di vita al culmine di quello che suffraga l’uomo e la donna: il matrimonio, dove padre e figlia danzeranno recuperando i lacerti perduti della loro vita.
Balla che ti passaquel magone che il rimorso e il non detto scivolano giù. Perché il ballo è terapia e Rumba Therapy ce lo dice in fondo dal titolo, ne è un bel testimonial di buoni sentimenti che con taglio melodrammatico confonde risate e lacrime, stordendoci piacevolmente e restituendoci alla serenità della vita.
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