Avatar - La via dell'acqua

L'ode di Cameron al mondo meticcio

Jake Sully è sempre su Pandora e ha messo su famiglia. Sono passati alcuni anni dalla fine di Avatar, il kolossal 3D di James Cameron che nel 2009 stracciò ogni record di in-cassi. Sully è ormai, esclusivamente, un Na'vi, non più l'avatar di se stesso: è un omone blu alto tre metri ed è sposato con Neytiri, la principessa che aveva conquistato nel primo film. Hanno una bella collezione di figli una delle quali, di nome Kiri, è "adottiva": ci viene spiegato che la dottoressa Grace, morta alla fine del primo film, era "misteriosamente" rimasta incinta (metafora mariana? Chissà) e aveva partorito una bimba meticcia, che ha l'aspetto dei Na'vi ma poteri del tutto insoliti che verranno buoni nel corso della trama. Sully e Neytiri vivrebbero felici e contenti, finché...Avatar 2 La va dell'acqua è un degnissimo successore del primo film, con alcune differenze che fra poco analizzeremo. Cominciamo a dire che è canonicamente diviso in tre atti, di circa un'ora I'uno. Nel primo gli umani cattivi tornano su Pandora: il perfido marine Quaritch è stato clonato in forma Na'vi. Ora è lui il vero avatar, un guerriero blu e ferocissimo che assieme ad altre truppe invade Pandora per vendicarsi di Sully. Nel secondo atto, quindi, Sully e la sua famiglia emigrano in un emisfero di Pandora dove vivono dei Na'vi di una diversa stirpe, "acquatica": se nel primo film gli indigeni del pianeta erano decisamente i nativi americani, qui diventano polinesiani, e sono verdognoli anziché azzurri. Sully e Neytiri chiedono, diciamo così, asilo politico: Sono profughi, devono nascondersi. Il popolo delle acque li accoglie con diffidenza, perché sono "diversi", mai figli si ambientano velocemente e tutto sembra andare bene, finché.. Nel terzo atto Cameron dà fuoco alle polveri, o rompe le acque, fate voi: i marines scoprono ovviamente il rifugio di Sully e l'avatar di Quaritch dà il via alla caccia, che svolgendosi sul mare fa sì che l'ultima mezz'ora sia quasi un remake di Titanic. Forte di una tecnologia ormai mirabolante, Cameron sfoga tutto il suo amore per le riprese subacquee, impaginando una battaglia finale che si può definire solo con un aggettivo: travolgente. Se nei primi due atti il film ha qua e là delle zoppie di sceneggiatura assai evidenti (inizialmente sembra che gli umani abbiano abbandonato Pandora, poi sbucano da tutte le parti), nel terzo l'azione la fa da padrona. E tutto è giocato sul disperato tentativo, da parte di Neytiri e Sully, di salvare i propri figli catturati dal nemico, un po' come Sigourney Weaver doveva salvare una bimba non sua nel finale di Aliens 2. In ultima analisi Avatar 2 è un film sulla famiglia, ed è curioso come Cameron ei suoi sceneggiatori Rick Jaffa e Amanda Silver regalino alla famigliola Na'vi le stesse nevrosi che potremmo ritrovare in un college movie hollywoodiano. Se il primo Avatar era un film radicale, ecologista, anti-militare e anti-colonialista (era in sostanza la storia di un soldato che "tradisce" e si trasforma nel nemico, un po' come Kevin Costner in Balla coi lupi), questo secondo capitolo racconta la storia di una famiglia unita da valori ancestrali. È però un film fortemente inclusivo, perché viene sottolineata di continuo la natura meticcia di Sully e dei suoi figli. E l'ecologia ritorna in modo potente: i Na'vi delle isole vivono in armonia con il mare e coni pesci, e nella trama sono centrali i Tulkun, sorta di balene (create in digitale, con più occhi e pinne del dovuto) che sono fratelli dei nativi e si riveleranno una formidabile arma anti-marine nella battaglia finale. Quasi superfluo aggiungere che il film - da oggi nei cinema con 1.200 copie- è di una magnificenza visiva che lascia stupefatti, e che il 3D arriva a livelli fin qui mai toccati. Vedetelo, se potete, con gli occhialetti d'ordinanza: è davvero un altro film rispetto alla versione "piatta". Gli attori sono sempre gli stessi: tutti irriconoscibili grazie agli effetti digitali, a cominciare da Sigourney Weaver che, interpretando Kiri, fa la figlia di se stessa.
Da La Repubblica, 14 dicembre 2022


di Alberto Crespi, 14 dicembre 2022