Matrix Resurrections

   
   
   

un film molto più anarchico di quanto non sembri Valutazione 3 stelle su cinque

di Felicity


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lunedì 7 marzo 2022

Il primo livello di lettura di Matrix Resurrections è facile: in un’epoca in cui ogni grande Studio cerca di capitalizzare sulle sue storie più forti e amate, era difficile pensare che Matrix non venisse toccato, a maggior ragione ora che Warner Bros. ha lanciato la sua piattaforma di streaming, HBO Max, su cui arriveranno sequel, serie e spin-off di ogni tipo.
Lana Wachowski gioca apertamente con questa proposta arrivata dalla major: ambientato 60 anni dopo i fatti dei primi tre film, in Matrix Revolutions ritroviamo Neo nei panni di Thomas A. Anderson. L’inizio sembra molto simile a quello del 1999: un personaggio sembra addirittura abbattere la quarta parete e dire agli spettatori “conosciamo quella storia”. Eppure molte cose sono cambiate: il signor Anderson ora è uno sviluppatore di videogiochi e la sua creatura più famosa è Matrix. Sta lavorando a un nuovo progetto, ma il suo socio in affari lo scoraggia: le persone preferiscono combattere l’ansia con la nostalgia, quindi è meglio dar loro un’altra dose della stessa medicina.
Assistiamo così a brainstorming in cui sembra di vedere la stessa Lana Wachowski parlare con Warner Bros.: sequel, prequel, remake, la vera Matrix ormai è Hollywood, che ci tiene buoni dandoci prodotti sempre uguali, allontanando l’angoscia della morte (e dei bassi incassi) spremendo il più possibile idee e personaggi.
In realtà questa è una lettura ingenua: in altre forme d’arte più antiche, come la tragedia e la musica, si è sempre fatto. Gli autori greci scrivevano sequel dei loro drammi, Bach scomponeva le sue opere letteralmente rimontando e ribaltando alcuni pezzi. Il cinema, essendo un’arte più giovane, ci è semplicemente arrivato più tardi. Lana Wachowski lo sa benissimo e ci gioca consapevolmente, anche in modo poco sofisticato: Trinity viene definita “milf” e il nuovo Morpheus non indossa più abiti scuri ma completi coloratissimi e dice la sua frase a effetto uscendo da un gabinetto.
In tutta questa ironia metacinematografica quelli smarriti sono proprio Neo e Trinity: i loro ricordi sono stati cancellati, non sanno più chi sono, soprattutto non si ricordano l’uno dell’altra.
I fantasmi della sua vita precedente sembrano però tornare a far visita all’Eletto: per riuscire a distinguere tra realtà e finzione Anderson va quindi dall’analista.
Non è un caso se dall’Architetto siamo passati all’Analista: a Lana Wachowski non interessa sconvolgere di nuovo il cinema, rivoluzionare lo stile dei film d’azione. In Matrix 4 si smonta la mitologia della saga, rileggendola attraverso tutto ciò che è successo nell’industria cinematografica in 20 anni.
Non solo: Lana Wachowski ragiona anche sui cambiamenti sociali. Centrale è il discorso sulle donne: c’è chi dice che “una volta le donne erano facili da controllare”. Oggi Trinity, risoluta come non mai, dimostra che essere padrone della propria storia e scegliersi da sole il nome è fondamentale.
Arriviamo quindi al livello più profondo di Matrix Resurrections, quello che lo rende un film molto più anarchico di quanto non sembri.
Lana Wachowski ha messo il suo vissuto anche dentro questo Matrix Resurrections, stavolta in modo molto più consapevole.
Nel film c’è la sua esperienza da regista che fa un film dettato dal marketing per Warner Bros., c’è l’artista che ha creato uno stile riconoscibile e ne prende le distanze con affetto e c’è la donna a cui ora interessa essere sempre più padrona della propria storia e delle proprie storie.
Nel film si dice che “Matrix ti mette rumore in testa”: possiamo interpretarlo come Hollywood, i social, la politica poco interessata ai diritti civili, i pregiudizi della gente. Tutto ciò che affievolisce la nostra speranza e fa aumentare la nostra disperazione. L’Analista lo dice: “la speranza e la disperazione hanno un codice quasi identico”. Come si fa quindi a preservare il codice della speranza? Attraverso le storie e le emozioni che sanno trasmettere. L’emozione è uno strumento potentissimo: fatti e finzione possono essere facilmente confusi e manipolati se si sanno gestire le emozioni. È quello che fa un bravo narratore, ma anche un leader politico. Bisogna quindi capire da che parte stare. Sì, capire, non scegliere: in Matrix Resurrections si dice forte e chiaro che “la scelta è un’illusione: sai già cosa devi fare”. È proprio chi non conosce se stesso, chi non sa chi è, chi continua a ragionare in termini binari – “pillola rossa e pillola blu”, “maschio e femmina”, “giusto e sbagliato”, “noi contro di loro” – che può provocare disastri. E soprattutto che vive in una bugia. Alla fine la risposta di questo Matrix è semplicissima, ma non per questo meno efficace: la risposta è l’amore. Non soltanto quello romantico, ma sopratutto un amore accogliente, che abbraccia ogni forma, colore, volontà di espressione. L’amore che fa pensare in termini di “noi e loro”, che cerca di far evolvere e migliorare il mondo, invece che distruggerlo e mantenerlo immobile.

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