mauro.t
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mercoledì 4 maggio 2022
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barriere di classe
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Tratto dal libro “Il Quai de Ouistreham” di Florence Aubenas. Marianne è una scrittrice che si finge disoccupata per farsi assumere da una agenzia di pulizie. Il suo obiettivo è quello di vivere l’esperienza dall’interno e scrivere con maggior cognizione delle condizioni di questi lavoratori. La protagonista si fa un viaggio in una realtà di sfruttamento e precariato, in particolare tra i pulitori dei traghetti, con cessi luridi da nettare e tempi stakanovisti da rispettare. In questo ambiente fa conoscenza con donne e uomini di condizione sociale molto diversa, con cui inizia a costruire relazioni fatte di complicità e amicizia, che la coinvolgono molto sul piano umano.
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Tratto dal libro “Il Quai de Ouistreham” di Florence Aubenas. Marianne è una scrittrice che si finge disoccupata per farsi assumere da una agenzia di pulizie. Il suo obiettivo è quello di vivere l’esperienza dall’interno e scrivere con maggior cognizione delle condizioni di questi lavoratori. La protagonista si fa un viaggio in una realtà di sfruttamento e precariato, in particolare tra i pulitori dei traghetti, con cessi luridi da nettare e tempi stakanovisti da rispettare. In questo ambiente fa conoscenza con donne e uomini di condizione sociale molto diversa, con cui inizia a costruire relazioni fatte di complicità e amicizia, che la coinvolgono molto sul piano umano. Ma tutto, ahimè, si basa sulla bugia originaria: lei non è quella che ha dichiarato di essere. Alla presentazione del libro, alcune lavoratrici intervengono e la ringraziano, ma non tutte. Chrystele, la ragazza madre con cui aveva stabilito il rapporto più stretto, si sente tradita e le rimprovera di appartenere ad un mondo privilegiato.
Il film riesce a dare un’immagine molto viva di questo ambiente sociale, usando veri/e lavoratori/trici come attori/ici e rendendo di grande intensità i loro rapporti. La scrittrice sperimenta una qualità di relazione che probabilmente non conosceva. Splendida la scena in cui Marianne e Chrystele sono entrambe davanti allo specchio, mentre la prima indossa la collanina che la seconda le ha appena regalato, e Chrystele dice: “Per favore, non dire che non dovevo…”, scena che trasmette con grande efficacia senso di amicizia, generosità, orgoglio. Ma c’è un filo di populismo nella rappresentazione di quell’ambiente sottoproletario: ci si vede solo semplicità, allegria, solidarietà, un microcosmo di relazioni idilliache.
Il tema centrale del film però non è la condizione delle lavoratrici delle pulizie, ma la difficoltà di due mondi così diversi di entrare in relazione autentica. Tema reale, ma che toglie il primo piano alla denuncia sociale, e viene rappresentato con un’enfasi che si accompagna anche in questo caso a un filo di moralismo populista: è ovvio che l’esperienza transitoria di lavoro di Marianne non può essere dello stesso genere di quella delle colleghe, perché può uscirne quando vuole, ma la scrittrice ha dato visibilità a quei lavoratori e di meglio non poteva fare. Dall’altra parte Chrystele si tiene il suo odio di classe, e non possiamo rimproverare niente neppure a lei, perché è vero che le qualità delle loro vite rimangono distanti anni luce.
In ogni caso un film assolutamente da vedere.
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eugenio
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giovedì 20 ottobre 2022
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misto pesce sulla manica
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Emmanuelle Carrere, tra i più famosi scrittori francesi, riprende in mano la camera da regista per inquadrare dal suo “intellettuale” ma curioso punto di vista, le condizioni lavorative delle donne sui traghetti che attraversano la Manica. Dal particolare, al generale, l’idea di Carrere è lodevole ovvero porre attenzione a un’attività estenuante scoperchiando quel vaso di Pandora frutto di emigrazione e allarmante sfruttamento, non proprio consone a un paese civile come la Francia e che già illustri cineasti passati avevano ben saputo tradurre (come Cantet o i fratelli Dardenne, questi ultimi con lo sguardo sempre rivolto alle fasce più deboli) con intento più documentaristico che narrativo.
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Emmanuelle Carrere, tra i più famosi scrittori francesi, riprende in mano la camera da regista per inquadrare dal suo “intellettuale” ma curioso punto di vista, le condizioni lavorative delle donne sui traghetti che attraversano la Manica. Dal particolare, al generale, l’idea di Carrere è lodevole ovvero porre attenzione a un’attività estenuante scoperchiando quel vaso di Pandora frutto di emigrazione e allarmante sfruttamento, non proprio consone a un paese civile come la Francia e che già illustri cineasti passati avevano ben saputo tradurre (come Cantet o i fratelli Dardenne, questi ultimi con lo sguardo sempre rivolto alle fasce più deboli) con intento più documentaristico che narrativo.
Alla base di “Tra due mondi”, vi è il romanzo romanzo-inchiesta di Florence Aubenas La scatola rossa. La donna, sotto mentite spoglie, si fece assumere proprio come inserviente, cogliendo un ambiente disagiato ma colmo di grande umanità e affetto. Nella pellicola, la protagonista Marianne ha il volto di Juliette Binoche, unica attrice ad aver vinto l’Oscar e i premi per la miglior interpretazione femminile a Venezia, Cannes e Berlino e, come nei film neorealisti di un tempo, i relativi co-primari non sono professionisti ma reali lavoratori ripresi proprio nella loro quotidianità figlia di ritmi massacranti.
Marianne perderà la sua identità, conoscerà la sofferenza e la fatica, legherà con altre donne, conscia che non potrà mai esistere un punto di incontro tra chi, dedicandosi a un mestiere intellettuale, può arrogarsi il privilegio di avere delle “donne di servizio” che qui, mal retribuite, manifestano la loro complessa umanità e per certi versi, profonda sorellanza e solidarietà, ben oltre l’algida patina borghese.
In fondo sta tutto qui il senso della bidimensionale pellicola di Carrere, nell’intento parzialmente riuscito misto-pesce di voler tradurre in cinema il lavoro di una sua collega, rimanendo ancorato in un contesto assai precario e senza confini come può essere il mare aperto, ad una impossibile convivenza tra chi riposa e chi pulisce. Un film dicotomico appunto, dal taglio personale, capace di esporre la propria discettazione, assai colta e programmatica evidenziando il coraggio di chi la affronta.
Tra i punti di interesse de Tra due mondi figura la necessità di dare voce a chi non la ha e per questo, anche Ken Loach potrebbe strizzare l’occhio per il taglio sicuro e deciso nel voler testimoniare la sentita necessità della cultura cosiddetta “alta” di farsi portavoce del forte disagio della società francese meno abbiente. Cinema come specchio dei nostri tempi, del resto è un’arte ma allora come mai al termine, permane quella sensazione di un film riuscito solo a metà? Forse perché al film di Carrere manca un elemento importante ovvero la profonda empatia. Che non è poco.
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