In concorso a #Venezia78, la cineasta innalza l'instancabile playlist di versioni alternative intorno al voodoo oramai sintetico di New Orleans, tra vintage e flussi erratici del contemporaneo
di Sergio Sozzo Sentieri Selvaggi
"Ci vediamo nel sequel", ci saluta ad un certo punto Fuzz il dj-spacciatore, l'unica figura veramente benevola incontrata dalla nostra fuggitiva Mona Lisa Lee, ragazzina coreana in grado di controllare la mente delle persone, "demone" che ancora una volta walks home alone at night attraversando il pittoresco sottobosco della vita notturna di New Orleans alla ricerca della libertà dal manicomio dove è stata imprigionata per più di dieci anni. E' una battuta ad effetto ma è anche il quesito più pulsante che si agita sotto le immagini di Amirpour: qual è la forma effettiva inseguita da questo cinema? In quale formato vive un'operazione come Mona Lisa and the Blood Moon? A cinque anni da The Bad Batch, Amirpour si conferma nel bene e nel male sguardo centrale del contemporaneo proprio nel momento in cui un'opera come questa esplicita il proprio linguaggio nostalgico-cinefilo in ogni inquadratura (l'autrice parla dei film fantasy per ragazzi visti da bambina in tv e di come ci si ritrovava in quanto "creatura extraterrestre" piombata in USA dall'Iran, ma è difficile non riconoscere l'influenza decisiva di Jim Jarmusch e di tutta quella generazione di autori indie nell'intero impianto), e allo stesso tempo riprende costantemente tutta una serie di modalità "espanse" care alla fruizione erratica e ai flussi di questa generazione. [...]
di Sergio Sozzo, articolo completo (3092 caratteri spazi inclusi) su Sentieri Selvaggi 6 settembre 2021