ghisi
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venerdì 12 febbraio 2021
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scene da un nero matrimonio
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“Malcom & Marie”è un bel pezzo teatrale scritto e diretto da Sam Levinson, ilfiglio dell’impegnato regista Barry (“Good morning Vietnam” 1987, “Rain man” 1988, “Sleepers” 1996, “The Humbling” 2014).Il film, in bianco e nero a 35mm, narra la lunga notte che passano a Malibu un promettente regista di successo e la sua compagna dopo la sera dell’anteprima del primo lungometraggio di Malcolm"Assassination Nation".
Nella splendida villa fornita dalla compagnia di produzione, Malcom (interpretato da John David Washington)e Marie(interpretata da Zendaya) costituiscono una coppia innamorata, che vive insieme già da un po' di tempo, vista in una serata che avrebbe dovuto essere felice, ma che man mano vira in un dramma pieno di incomprensioni, di rivendicazioni e di misunderstanding.
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“Malcom & Marie”è un bel pezzo teatrale scritto e diretto da Sam Levinson, ilfiglio dell’impegnato regista Barry (“Good morning Vietnam” 1987, “Rain man” 1988, “Sleepers” 1996, “The Humbling” 2014).Il film, in bianco e nero a 35mm, narra la lunga notte che passano a Malibu un promettente regista di successo e la sua compagna dopo la sera dell’anteprima del primo lungometraggio di Malcolm"Assassination Nation".
Nella splendida villa fornita dalla compagnia di produzione, Malcom (interpretato da John David Washington)e Marie(interpretata da Zendaya) costituiscono una coppia innamorata, che vive insieme già da un po' di tempo, vista in una serata che avrebbe dovuto essere felice, ma che man mano vira in un dramma pieno di incomprensioni, di rivendicazioni e di misunderstanding. Il tutto avviene a partire da quello che sembra essere un piccolo dettaglio: Malcom durante la serata mondana ha ringraziato un centinaio di persone, compresi i tecnici delle luci, del suono ecc., ma non ha ringraziato Marie, la cui vita è stata più che un’ispirazione per questo film. Praticamente sembra che il film narri proprio la sua storia di ex tossicomane e di come sia riuscita ad uscirne attraverso grandi sofferenze e umiliazioni.
Simbolicamente questo potrebbe significare che il cinema senza la “vita reale” non potrebbe esistere. In effetti in questi ultimi anni è difficile trovare dei soggetti nuovi al cinema; la maggior parte dei film o sono tratti da biografie o storie vere oppure da romanzi o libri.
La serata, dunque, sembrava iniziata allegramente con Malcolm che stava bevendo, cantando e ballando sulla musica di James Brown, mentre lei si accingeva a cuocere un piatto di pasta al formaggio. Qui Marie inizia a fare le sue recriminazioni che daranno luogo a tutta una serie di reciproci rinfacciamenti seguendo i quali lo spettatore passa dall’uno all’altra, cercando di capire chi dei due abbia ragione e dove sia la verità.
Lei è, o lo era fino a poco fa, un’attrice che però non ha recitato in quel film che racconta la sua storia e di cui Malcom non le ha dato credito in pubblico. Marie, infatti, non è stata proprio menzionata. Perché? Lui afferma che lei non ha voluto fare il provino mentre lei sostiene che non era stata sufficientemente voluta. Marie è una brava attrice ed è convinta che molte scene le avrebbe recitate molto meglio dell’artista protagonista prescelta, se non altro perché erano storia di vita vissuta.
Malcolm è una persona estremamente narcisista tutta presa da se stessa, dal suo lavoro e dal suo ruolo di artista. È convinto che alla vita di lei si è solo appena ispirato e, per contro, le rinfaccia di averla aiutata molto e di aver contribuito notevolmente alla sua disintossicazione dalle droghe. Quindi non le attribuisce alcun merito nella stesura della sceneggiatura. Ciononostante, in modo fagocitante, le chiede il suo totale supporto.
A Malcom non sta bene neanche un’ottima critica appena uscita su una rivista specializzata - che definisce il suo film “un autentico capolavoro” - perché gli sembra che lo costringa nel cliché politico di regista afroamericano. La giornalista lo definisce “sgargiante e ribelle” e afferma che l’obiettivo dell’autore è quello di denunciare i comportamenti discriminatori del sistema sanitario nei confronti di una donna di colore. Il cinema, secondo Malcolm Elliot deve essere emozioni e non deve a tutti i costi contenere un messaggio.
Le parole del critico quindi non corrispondono, secondo lui, all’essenza del film e non captano quello che lui aveva in mente. Questa lunga tirata contro i critici cinematografici non è, ovviamente piaciuta troppo a chi scrive le recensioni professionalmente.
Nello stesso spezzone di monologo è la citazione di un gruppo di registi quali esempi, che hanno fatto film importanti - tra cui anche Gillo Pontecorvo con “La battaglia di Algeri - senza che il tema politico fosse l’elemento prevalente che ne ha condizionato lo sviluppo, né che la propria identità e “genere” ne condizionasse consapevolmente le scelte.
Così tra un riavvicinamento e una discussione va avanti tutta la notte (forse qua e la si sarebbe potuto tagliare qualche ripetizione).
Questo film mi ha evocato altri incontri/scontri di coppia. Celebre fra tutti l’accoppiata Elisabeth Taylor e Richard Burton in “Chi ha paura di Virginia Wolf” del 1966 di Mike Nichols, tratto dalla commedia teatrale di Edward Albee. Lei è la figlia del Rettore, sposata con George, il Professore di Storia con cui vive a Northampton, Massachusetts. Ha il vizio del bere che, unito alla noia e all'insoddisfazione, l'ha resa instabile. Una notte, di ritorno da un party in compagnia di una giovane coppia di amici, Martha e George cominciano a litigare rinfacciandosi le cose più orrende e insultandosi ignominiosamente.
Come non riscontrare anche un’analogia con un film un po' più recente “Venere in pelliccia” di Roman Polanski, la storia di un regista e di un'attrice che desidera ardentemente avere una parte. Questo è un adattamento per il cinema di uno spettacolo di David Ives del 2013. Molto del cinema di Polanski si nutre di ambiguità e del degrado che spesso si nasconde dietro apparenze di rispettabilità.
Forse si possono riscontare anche alcune tracce del grande Bergman in “Scene da un matrimonio” del 1973, solo che lì le scene sono tratte da sette anni di storia con una crosta spessa di perbenismo da scalfire, assente in “Malcom & Marie”.
Quello che comunque sorprende è la maturità di un regista relativamente giovane anche se figlio d’arte, noto più per alcune serie televisive come “Euphoria” che per veri e propri lungometraggi. Anche gli attori colpiscono per la loro inaspettata bravura, rivelando notevoli doti drammatiche: John David Washington, figlio del più noto (e amato) Denzel, l’avevamo visto nel recente “Tenet” di Christopher Nolan, mentre Zendaya - in “Euphoria” anche lei - aveva iniziato la sua carriera come cantante e ballerina.
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eugenio
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sabato 6 febbraio 2021
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uno spaccato teso ma senza lampi di una coppia
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Dramma da camera marcatamente polanskiano, girato l’estate scorsa, su Netflix dal 5 febbraio, Malcolm e Marie è un film che sembra dir tutto e niente, in un bianco e nero invasivo che Sam Levinson, regista e sceneggiatore, sceglie quasi come contorno aneicoico in cui ricostruire lacerti di vita quotidiana della coppia Malcom (John David Washington) e Marie (Zendaya) due afroamericani, della Los Angeles di oggi.
I due tornano a casa che è l’una di notte dalla prima del film di lui, sceneggiatore e regista che ha ottenuto un successo straordinario con la sua opera in passato respinta e ora osannata dai critici (un riferimento odierno?); eppure, c’è qualcosa che sembra non andare e che Lei, appunto, cerca di dissimulare, fallendo miseramente.
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Dramma da camera marcatamente polanskiano, girato l’estate scorsa, su Netflix dal 5 febbraio, Malcolm e Marie è un film che sembra dir tutto e niente, in un bianco e nero invasivo che Sam Levinson, regista e sceneggiatore, sceglie quasi come contorno aneicoico in cui ricostruire lacerti di vita quotidiana della coppia Malcom (John David Washington) e Marie (Zendaya) due afroamericani, della Los Angeles di oggi.
I due tornano a casa che è l’una di notte dalla prima del film di lui, sceneggiatore e regista che ha ottenuto un successo straordinario con la sua opera in passato respinta e ora osannata dai critici (un riferimento odierno?); eppure, c’è qualcosa che sembra non andare e che Lei, appunto, cerca di dissimulare, fallendo miseramente. Lui se ne accorge, le chiede le ragioni; Lei incerta gli svela: hai ringraziato tutti, ma proprio tutti tranne me, alla prima del tuo successo d’esordio.
Ma è solo un preteso (tra l’altro biografico del regista che si era dimenticato di ringraziare la moglie alla première di un suo film) evidente per iniziare la classica discussione “compagno-compagna”, per raccontarsi ambizioni fallite: quelle di Marie, ex tossico-dipendente dalle velleità artistiche e ora zerbino di Malcom; quelle di lui appunto che l’ha seguita sempre, coltivando comunque il fondamento della sua arte, genio invalido della macchina da presa, egocentrico narcisista che ha “usato” o meglio dire “copiato” il soggetto dalla storia di vita della compagna per i suoi scopi. Insomma, pappagallo lui, ex tossica arrabbiata lei, che si affrontano in un ring domestico, pulito e nitido, a sputarsi dietro offese di ogni tipo, ferendosi in critiche negative che non servono a crescere quanto a abbattersi e forse a non riuscire a risalire più l’erta china in cui sprofondano in un amalgama sessuale ove ritrovarsi.
Malcom e Marie non sembrano particolarmente simpatici e delle volte ci chiediamo se è proprio necessario assistere a questo menage a dois. La nostra prima reazione, che ci spinge a lasciar perdere e ad abbandonare la pellicola dopo mezz’ora (dura in tutto un’ora e quarantacinque), presto però cambia e man mano che l’interpretazione di Malcolm in un potente monologo verso metà film, si fa quasi solipsistica, proseguiamo, illudendoci che Levinson ci allieti amaramente, come fece Polanski in Carnage, in un fil rouge tardo ottocentesco (ahimè rovinato da un linguaggio moderno scurrile a volte), da Casa di Bambola. Ma niente, il tutto si tramuta in un fuoco fatuo. Marie, nel patinato bianco e nero 35 mm, non necessita di alcuna emancipazione: appare libera, ripresa addirittura nell’atto di andar in bagno (con tanto di citazioni alla Eyes Wide Shut di Kubrick) senza alcuna remora e estremamente volubile mentre Malcolm le regge la scena, persino quando scopre una recensione (di una giornalista….bianca del Los Angeles Times), positivissima ma secondo lui tale per motivi sbagliati, non ultimo aver considerato il suo film “politico” e “conciso nei suoi messaggi finali”. Ciò che proprio a Malcolm non va giù ovvero che il film debba avere per forza un messaggio preciso e chiaro; qualcosa contrario alla sua etica.
Insomma, niente di più. Il dialogo interiore di questo “artista” nasce, cresce e corre tutto nella sua testa in frequenti monologhi in cui dal rapporto di coppia, Levinson, cambia rotta declinando l’ode arrabbiata di Malcolm con Marie stesa sul divano, in un apologo sull’arte del cinema odierno fatto di crisi identitaria, vuoto di valori, politicamente corretto della classe radical chic di intellettuali critici pronti a soggiacere alla massa per mancanza di coraggio senza esporre liberamente il proprio pensiero critico.
Eppure, nonostante quest’attacco giustissimo e condivisibile, Malcolm e Marie non convince sino in fondo, non riesce a emozionare noi spettatori che ci aspettiamo qualcosa sino alla fine che non arriva se non l’assoluta mancanza di cuore ed elettricità. E non basta lamentarsi, declinare il tutto a un’ode di rabbia e vendetta, decretando l’amore come ultimo fine di un rapporto teso e nervoso. Per quanto stilisticamente perfetto e fotograficamente pulito, il film è bello senz’anima, privo proprio di quella qualità lamentata da Malcolm nel suo monologo: l’originalità. E, scusate se è poco.
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felicity
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mercoledì 30 giugno 2021
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intellettualismo patinato lontano dalla realtà
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In Malcolm & Marie Zendaya e John David Washington sono una coppia, lui regista, lei ex attrice. Rientrano a casa dopo la première del primo film di lui, che ha riscosso un grandissimo successo. Lui è sovreccitato e adrenalinico, lei fredda e scontrosa. Di lì a poco scoppierà la miccia che mette in moto il film: lui ha dimenticato di ringraziare lei nel suo discorso, non solo in quanto compagna di vita, ma anche come fonte d’ispirazione del film, che tratta del percorso di riabilitazione di una giovane tossicodipendente. Un litigio che si protrae per tutta la notte, fatto di violentissimi attacchi verbali, recriminazioni e colpi bassi al solo scopo di ferire l’altro.
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In Malcolm & Marie Zendaya e John David Washington sono una coppia, lui regista, lei ex attrice. Rientrano a casa dopo la première del primo film di lui, che ha riscosso un grandissimo successo. Lui è sovreccitato e adrenalinico, lei fredda e scontrosa. Di lì a poco scoppierà la miccia che mette in moto il film: lui ha dimenticato di ringraziare lei nel suo discorso, non solo in quanto compagna di vita, ma anche come fonte d’ispirazione del film, che tratta del percorso di riabilitazione di una giovane tossicodipendente. Un litigio che si protrae per tutta la notte, fatto di violentissimi attacchi verbali, recriminazioni e colpi bassi al solo scopo di ferire l’altro. E poi riappacificazioni, tenerezza, gioco. Una notte durante la quale si ripete un ciclo che assomiglia più ad un loop, e del quale non ci viene risparmiato niente.
Zendaya e Washington si muovono tra le mura imponenti e gelide di una villa di lusso che sembra un teatro di posa, un palcoscenico pronto a ospitare le loro performance. Ogni aspettativa emozionale è disattesa: non c’è nessuna sofferenza dietro le lacrime di Marie, non c’è rabbia né vendetta nei racconti dei tradimenti di Malcolm, dai baci non traspare nessun desiderio. Il focus del litigio ben presto si sposta dalla relazione a considerazioni sullo stato dell’arte, con attacchi affatto edulcorati al mondo della critica cinematografica e alla tendenza a politicizzare i contenuti culturali. Pensieri che di certo appartengono a Levinson e che messi in bocca a John David Washington appaiono come un sfogo sovraccarico. I protagonisti sono belli, giovani e ricchi, indossano abiti eleganti e vivono in una casa da sogno: Marie cucina sui tacchi a spillo, Malcolm urla e sbraita con la cravatta annodata al collo.
Levinson vorrebbe far riecheggiare Kubrick, Bergman, Cassavetes. Il risultato è un intellettualismo patinato, dato anche dall’uso del bianco e nero, lontano da qualsiasi realtà, ma tanto agognato da Netflix nel proprio percorso di ricerca di legittimazione. I lunghissimi monologhi di Malcolm in cui cita a raffica film e autori della storia del cinema appaiono estenuanti anche per il più incallito dei cinefili. La dimessa Marie, divisa tra il vivere di luce riflessa o all’ombra del successo del compagno, non ha nulla della disperazione autodistruttiva. Più che un dialogo a tre con lo spettatore, Malcolm & Marie resta un soliloquio compiaciuto dello stesso Levinson davanti al quale risulta difficile non provare l’istinto di ritrarsi.
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alice
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lunedì 14 marzo 2022
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un duello notturno di due anime in lotta tra loro
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Un'incomunicabilità ci introduce nel racconto di due anime molto diverse che prima di tutto si rivelano in contrasto con loro stesse. Non è un caso che le prime parole rivolte da Malcolm a Marie non vengano intese, che appena rientrati in casa lei si isoli e che mostri un sorriso accondiscendente di fronte all'autocelebrazione di lui.
Il motivo della tensione apparente ci viene svelato con molta calma, facendo dimenticare sotto un fiume di parole i veri problemi che affliggono la coppia. Infatti, la moltitudine di argomenti toccati sembrano quasi sviarci dal reale fattore scatenante del litigio. Entrambi condannano l’ipocrisia da cui si sentono circondati, ignorando, inizialmente, la loro.
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Un'incomunicabilità ci introduce nel racconto di due anime molto diverse che prima di tutto si rivelano in contrasto con loro stesse. Non è un caso che le prime parole rivolte da Malcolm a Marie non vengano intese, che appena rientrati in casa lei si isoli e che mostri un sorriso accondiscendente di fronte all'autocelebrazione di lui.
Il motivo della tensione apparente ci viene svelato con molta calma, facendo dimenticare sotto un fiume di parole i veri problemi che affliggono la coppia. Infatti, la moltitudine di argomenti toccati sembrano quasi sviarci dal reale fattore scatenante del litigio. Entrambi condannano l’ipocrisia da cui si sentono circondati, ignorando, inizialmente, la loro.
Tutte le parole spese, alla fine, sembrano perdere di significato davanti all'evidenza. Infatti, sarebbe bastato un piccolo "grazie" per arrivare alla pace, perché puoi amare o odiare una persona ma non puoi cancellarla dalla tua vita.
La musica ha il compito (riuscito) di suddividere l'accesa discussione, cadenzandone il ritmo e l'intensità come se fosse una danza piena di passione, in cui alla fine l'odio e l'amore si mescolano. Non a caso il film si apre nel silenzio (solo i grilli cantano) e la prima azione di Malcolm, appena entrato in casa, è quella di far partire un brano di JamesBrown (Down and out in New York City). Insieme alla musica inizia lo scontro e non casualmente la canzone che ci accompagna verso i titoli di coda s’intitoli Liberation (degli Outkast).
Le interpretazioni di Zendaya e John David Washington riescono a creare un microcosmo convincente, combinando grandi stravolgimenti emotivi a dialoghi lungi e tortuosi.
In particolare, il personaggio di Malcolm si interroga sull'arte cinematografica, iniziando una discussione riguardante la differenza tra autenticità e trasposizione sullo schermo. Ad un certo punto però non può più continuare a parlare al suo riflesso e risulta inevitabile il confronto con le sofferenze altrui. Il primo passo è abbandonare la macchina da presa ed entrare nel proprio film.
Questa considerazione mette in luce l’unica stortura del film, la mancanza di centralità. Il fulcro dovrebbe essere la coppia, ma la varietà dei discorsi risulta dispersiva, facendone risentire l'intera narrazione, che sembra porsi troppi obiettivi e richiamare su di sé eccessive aspettative.
Vorrebbe far riflettere e mettere in crisi le convenzioni dei cosiddetti benpensanti, ma la pretesa sarebbe stata soddisfatta se per metà del film non si fosse gravitati su un'infinità di argomenti.
Avrebbe dovuto modificare il processo narrativo. Infatti, con la medesima enfasi, si sarebbe riusciti a toccare tutti gli argomenti cari al regista, partendo dal rapporto tra Malcolm e Marie. In conclusione, l'obiettivo di delineare un conflitto viene raggiunto, non arrivando, però, alla profondità cui si aspirava.
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tunaboy
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martedì 29 giugno 2021
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recensione malcolm & marie
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Grazie alla sua serie tv “Euphoria”, Sam Levinson è riuscito a dimostrare il suo enorme talento sia nella regia che nella scrittura. Per questo motivo le aspettative sul suo nuovo film, “Malcolm & Marie”, erano estremamente alte: sfortunatamente, però, non è riuscito a soddisfarle.
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Grazie alla sua serie tv “Euphoria”, Sam Levinson è riuscito a dimostrare il suo enorme talento sia nella regia che nella scrittura. Per questo motivo le aspettative sul suo nuovo film, “Malcolm & Marie”, erano estremamente alte: sfortunatamente, però, non è riuscito a soddisfarle.
Al ritorno dalla prima del suo nuovo film, il giovane regista Malcolm comincia un grave litigio con la propria compagna. L’intero film è costituito da una narrazione quasi senza interruzioni di questo litigio, che, come un pendolo, oscillerà tra momenti di pura crudeltà a momenti di passionale amore, mettendo a nudo la fragile e disfunzionale relazione tra i protagonisti.
Il film, come già detto, si presenta come un prodotto deludente e insufficiente, anche se non manca di aspetti che oserei definire di eccellente qualità: la recitazione dei due attori protagonisti, nonché gli unici attori, risulta eccellente e di immenso talento, soprattutto considerando la bassa qualità del materiale con il quale erano obbligati a lavorare; la regia e la fotografia manifestano la grandissima creatività del regista, e parzialmente soddisfano le aspettative poste da “Euphoria”.
Questi barlumi di talento sono, però, oscurati da difetti ben più grandi e insistenti. Primo su tutti, abbiamo una sceneggiatura ripetitiva e ridondante: il litigio tra i protagonisti orbita, infatti, attorno agli stessi due o tre argomenti, ripetuti in modo ossessivo più volte e che, per quanto inizialmente risultassero validi, alla lunga vengono snaturati e resi quasi ridicoli dalla loro ripetizione. Inoltre, la trama stessa del film risulta pressoché inesistente: per quanto sia accettabile che in un prodotto basato sulla narrazione di un singolo evento non abbia eccessivi cambi di tono o colpi di scena, nel film non vediamo nessun accenno ad una qualunque evoluzione della trama o dei personaggi, con i due protagonisti che iniziano e finiscono il film nella stessa identica condizione sia fisica che spirituale. Infine, il ritmo stesso del film è confusionario e estremizzato: tra i vari cambi di tonalità della narrazione non vi è alcuna transizione, e quindi vediamo dei personaggi che in una scena stanno per sbranarsi e due secondi dopo si amano incondizionatamente.
Questi aspetti rendono, a mio parere, “Malcolm & Marie” un enorme spreco di talento che, se fosse stato trattato con più cura e attenzione, avrebbe potuto essere un film al pari delle aspettative.
Voto: 2.5/5
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