Judas and the Black Messiah, candidato a cinque premi Oscar (nomination più prestigiosa, quella per il Miglior film, compresa),ovvero il lavoro su Fred Hampton, leader delle Pantere Nere, rappresenta perfettamente la fatica che continua a fare il cinema a trattare la cultura afroamericana.
Quando è uscito Black Panther ed è stato un successo, si è detto che la sua importanza e la sua influenza sarebbero andate ben oltre il cinema di supereroi. Ora non è più una teoria, bensì una certezza. Judas and the Black Messiah, un lavoro di alto profilo prodotto da una major come la Warner che mette in scena una storia americana quasi mai raccontata prima, è proprio figlio di Black Panther. E, ironia della sorte, parla di Pantere Nere, quelle vere, il movimento armato e rivoluzionario che si è battuto – e in forme diverse ancora si batte – per i diritti degli afroamericani.
Judas and the Black Messiah è, più precisamente, il racconto del suo capo più importante e carismatico, Fred Hampton, assassinato dall’FBI perché considerato pericoloso. Un leader afroamericano ucciso dalle forze dell’ordine che diventa un simbolo: niente di più attuale.
Eppure, in pochi volevano produrre il film, nonostante metà del budget necessario fosse già pronto e messo a disposizione dalla società di Ryan Coogler (per l’appunto il regista di Black Panther) e nonostante lo stesso Coogler facesse da promotore della pellicola a Hollywood.
“Aver fatto così tanta fatica, con il regista di Black Panther a bordo, una storia simile e quasi metà del budget già pronto, la dice lunga sullo sforzo necessario a voler produrre storie davvero afroamericane a Hollywood”, è la maniera in cui la mette Charles King, uno dei molti produttori originali.
Il fatto è che raccontare le Pantere Nere non come nemici dello Stato, ma tutto il contrario, è una rivoluzione.
Il partito, il suo atteggiamento e soprattutto la scelta di usare la violenza sono sempre state viste al cinema come qualcosa di negativo, da cui prendere le distanze.
Judas and the Black Messiah ha ricevuto diverse nomination agli Oscar, tra cui gli attori non protagonisti, la canzone, la sceneggiatura, la fotografia e quella più importante al Miglior film. È il primo a produzione interamente afroamericana (cioè tra i cui produttori non ci sono bianchi) a ricevere quella candidatura in 93 anni di storia del premio. Non solo, ha anche battuto il record detenuto da Il colore viola per il maggior numero di afroamericani nominati. E quello era diretto da Steven Spielberg.
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