Ai confini del male

Un film di Vincenzo Alfieri. Con Edoardo Pesce, Massimo Popolizio, Roberta Caronia, Chiara Bassermann.
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Thriller, durata 101 min. - Italia 2021. - Vision Distribution MYMONETRO Ai confini del male * * 1/2 - - valutazione media: 2,55 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Thriller autoriale dalla struttura classica Valutazione 3 stelle su cinque

di MONFARDINI ILARIA


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mercoledì 22 maggio 2024

 “Se sparisce la figlia di un’ex prostituta non frega un cazzo a nessuno, invece se spariscono due ragazzi ricchi tutti perdono la testa”.
Oggi voglio parlarvi di un bel thriller, classe 2021, ambientato nella zona della Maremma tra Siena e Grosseto, Ai Confini del Male, del salernitano Vincenzo Alfieri, molto più conosciuto come attore che come regista, e che qui è alla sua terza prova dietro la macchina da presa dopo la commedia I Peggiori del 2017, in cui è anche attore, e il giallo Gli Uomini d’Oro del 2019. Con Ai Confini del Male Alfieri, che ne firma anche soggetto, sceneggiatura e montaggio, si avventura nei territori del thriller, e tira fuori un prodotto interessante e non convenzionale, con un buon cast ed un bel colpo di scena finale, prodotto da Fulvio e Federica Lucisano.
Due giovani, Adele e Luca, dopo aver partecipato ad un rave party ed aver assunto massicce dosi di droga ed alcol, vengono rapiti e rinchiusi in uno scantinato da un losco individuo incappucciato. In città iniziano subito le ricerche, guidate dal capitano dei carabinieri Giorgio Rio, padre di Luca, ed il tenente Fabio Meda, denominato Cane Pazzo a causa del suo temperamento irascibile ed irrequieto. Meda è solito frequentare prostitute, e così si imbatte in Nevena, ex prostituta bulgara che cerca di ricattarlo per farsi aiutare a ritrovare la figlia Irina, anch’essa sparita, ma della quale, essendo figlia di un’immigrata, pare non importare nulla a nessuno. Così Meda e Rio uniranno le loro forze per ritrovare i ragazzi scomparsi, arrivando ad indagare nell’ambito delle sette sataniche e delle perverse feste a base di droga e sesso violento che il conte Tancredi Bazzini tiene nella sua oscura e misteriosa Villa Labirinto, utilizzata anche come locale di incontri da cui il conte trae molto denaro. Tutto farebbe pensare che nel rapimento dei giovani sia invischiato anche il cosiddetto Orco di Velianova, assassino che dieci anni prima aveva rapito, torturato ed ucciso alcuni adolescenti, rimanendo impunito. Anch’egli, come l’odierno rapitore, aveva usato per sedare le sue vittime il Tritium, un farmaco antidepressivo illegale. Ma sarà davvero così? O la pista da seguire sarà un'altra?
La pellicola, liberamente ispirata al romanzo Il Confine di Giorgio Glaviano, che infatti firma soggetto e sceneggiatura insieme ad Alfieri ed a Fabrizio Bettelli, esce direttamente su Sky e purtroppo non ha avuto passaggi al cinema. L’incipit è molto bello, con immagini sincopate e disturbanti che vengono accompagnate da assordante musica techno come quella che viene mandata per ore ed ore ai rave party e sicuramente serve già per calarci nell’atmosfera che si vuole evocare. Per questo e per altri dettagli, come la ricerca di un figlio scomparso chissà dove da parte di un padre disperato, questo film mi ha ricordato la bella miniserie diretta da Alex Infascelli nel 2009 e mirabilmente interpretata da Fabrizio Bentivoglio Nel Nome del Male, dove però il mondo delle sette sataniche ha un ruolo più decisivo che qui. Se nella miniserie di Infascelli la provincia torinese nascondeva grossi ed inquietanti segreti legati all’adorazione del Maligno, qui i misteri sono di natura più ridotta ma a ben guardare lasciano ancora più sbigottiti e allucinati. Il marcio viene fuori dove meno lo si aspetta, ed è questo a rendere il film particolarmente gradevole ed avvincente.
Sicuramente l’elemento più interessante che caratterizza la pellicola è il rapporto altalenante tra i due carabinieri, molto ben resi ed interpretati dai bravissimi Massimo Popolizio ed Edoardo Pesce. Rio, integerrimo e attaccato visceralmente alla divisa, ha il volto del genovese Popolizio, che, oltre ad essere stato diretto da registi del calibro di Paolo e Vittorio Taviani, Michele Placido, Paolo Sorrentino, Paolo Genovese , Carlo Verdone, ed aver preso parte a svariate serie tv di successo, ha sulle spalle una carriera teatrale di tutto rispetto. Egli ci consegna il ritratto di un uomo apparentemente affranto dal dolore per la scomparsa del figlio, con cui tuttavia è sempre stato freddo e distaccato, che sembra vivere di cliché e luoghi comuni senza volersi togliere il paraocchi impostogli dalla divisa che indossa. Al suo fianco Meda, massiccio, duro e facile a menar le mani, truce e disperato al punto giusto, ha i tratti dell’attore romano Edoardo Pesce, vincitore del David di Donatello per la sua interpretazione dell’ex pugile Simone in Dogman (2018) di Matteo Garrone. Nello stesso anno in cui partecipa a Ai Confini del Male, Pesce prende parte ad un altro bellissimo film per la televisione, La Stanza, di Stefano Lodovichi, una torbida storia a tre tra realtà e fantasia. Il suo Meda è un carabiniere disilluso, che a differenza del collega non indossa mai la divisa, in cui non crede più da tempo, che è diventato duro ed apparentemente insensibile dopo aver perso moglie e figlio in un incidente stradale; “un antieroe che diventa eroe”, come lo definisce lo stesso regista. Il rapporto tra i due uomini inizierà con una reciproca diffidenza che diverrà addirittura allontanamento fino a un riavvicinamento quasi filiale che avverrà a causa di diversi episodi clou e che renderà maggiormente spiazzante l’insospettato finale. Altro attore degno di nota, anche lui proveniente dal teatro, è il milanese Paolo Mazzarelli, che interpreta il torbido Tancredi Bazzini. L’impostazione teatrale di Mazzarelli lo ha aiutato a rendere il personaggio subdolo ed inquietante quanto basta per proporcelo come uno dei possibili colpevoli. Il pugliese Nicola Rignanese interpreta invece un singolare giornalista, e la sua vena macchiettistica è rimarcata dallo spiccato accento del sud che però, insieme all’audio purtroppo non eccelso, non sempre rende facile comprendere ciò che sta dicendo. Tra le attrici spicca senz’altro la romana Chiara Bassermann, un diploma triennale all’Actors Studio di New York, che dà corpo ed anima ad una giovane ex prostituta bulgara che arriverà persino a ricattare le forze dell’ordine pur di riabbracciare la figlia avuta a soli 15 anni da un cliente. Davvero convincente e, perché no, a tratti anche commovente, come nel barlume di lieto fine che in una vicenda così cupa e fosca non stona affatto, sebbene io non sia un’estimatrice dell’happy ending a tutti i costi.
La sceneggiatura, ahimè, non sempre è coerente, ed a volte risulta fin troppo fantasiosa ed inverosimile se si considera che siamo nel campo del thriller poliziesco e non certo in quello del paranormale; si pecca di un eccesso di finzione, per così dire. Alcune deduzioni di Meda sono davvero impossibili da credere, e come sia arrivato alla perfetta ricostruzione del caso risulta un mistero. A volte strappa addirittura il sorriso involontario tanto è poco credibile, e questa, se vogliamo, è forse la pecca più macroscopica del film. Ma in fondo, probabilmente, la verosimiglianza non era lo scopo ultimo del regista, che invece racconta di essersi addentrato sui sentieri di una ostica domanda rivolta a se stesso “Cosa sarei disposto a fare per salvare la vita di una persona a me cara?”. E su questa domanda, solo all’apparenza semplice e lineare, ha costruito il suo microcosmo in cui la famiglia ha un ruolo centrale e preponderante, come spesso nei lavori di Alfieri.
E’ un thriller dalla struttura classica, Ai Confini del Male, con un ritmo particolarmente incalzante che non permette perdite di attenzione, una bella regia elegante e curata, a tratti direi autoriale, una trama comunque ben congegnata e colpi di scena piazzati al posto giusto nel momento giusto. Tutto ciò porta a chiudere un occhio, quindi, sulle falle della sceneggiatura, che, devo dire, si concentrano maggiormente nella parte conclusiva del film. Il thriller si sposa con il dramma familiare, ma anche con quello dell’immigrazione e dei diritti di cui spesso ancora oggi sono privi gli stranieri che risiedono nel nostro paese, anche quando hanno un lavoro e vivono onestamente. Spesso si critica la società dell’apparenza, dell’ostentazione, e lo si fa attraverso elementi forti e di spicco come la divisa delle forze dell’ordine o le belle ville patrizie, tutto all’apparenza candido e splendente ma sotto sotto torbido e marcio.
Bellissime le location, collocate nell’entroterra laziale, con grande importanza dell’elemento naturale, boschivo, che non ci viene presentato solo a se stante, ma anche le abitazioni sono quasi tutte immerse nel verde, con grandi finestroni dai quali gli alberi sembrano voler entrare all’interno ed avviluppare i protagonisti di questa intricata vicenda. Sia le scene in diurna che quelle in notturna sono tetre, e ben poco rassicuranti risultano le atmosfere anche in pieno giorno, sempre circonfuse di una sorta di nebbiolina inquietante e sinistra, che rende il tutto quasi sospeso nel nulla. Questo stile visivo, degno dei prodotti d’oltreoceano, ben evidenzia i modelli di riferimento del regista, che vanno da Denis Villeneuve a David Fincher, passando per Friedkin e De Palma. Giocando su un’introspezione psicologica di spessore, Alfieri ci consegna un intreccio che basa il suo pathos sulle pieghe delle personalità dei vari personaggi, mai banali ed alla fine, nonostante tutto, credibili e convincenti.
Due dettagli interessanti, prima di chiudere: la figura del cane, che spesso entra nella proprietà di Meda e che lui scaccia sempre in malo modo, elemento inquietante e destabilizzante anche a causa del sua abbaiare roco e fioco, che pare un presagio di sventura non facilmente interpretabile, alla fine si rivelerà invece un segnale caratterizzante un nuovo, benevolo inizio, con l’appunto, però, di tenere gli occhi sempre ben aperti e di fidarsi del prossimo solo fino ad un certo punto. Le ultime immagini della pellicola sono suggellate da un pezzo epocale, Burn, che i Cure composero per il capolavoro di Alex Proyas Il Corvo del 1994. Se lì le note di questa cupissima canzone accompagnavano la trasformazione del redivivo Eric Draven in vendicatore mascherato e la sua corsa sui tetti, qui accompagnano un’ultima, beffarda, presa di consapevolezza da parte del protagonista, e la convinzione di un altro di essere riuscito, con grande soddisfazione, a farla franca ancora una volta. Trasmette ansia, dolore, senso di smarrimento e di sconfitta interiore, di perdita, questa Burn, ed è questa l’ombra dell’ineluttabile che si proietta sul protagonista nel grande cimitero di marmo. In fondo, tutti siamo un po’ stanchi di come vanno le cose rispetto a come dovrebbero andare, no?
 

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