Il cattivo poeta

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Il cattivo poeta, il Gabriele D'Annunzio di Gianluca Jodice tra presagi e decadenza

di Manuela Caserta L'Espresso

La ricerca dell'esordio al cinema che segni l'inizio di un percorso d'autore è come cercare di prendere la giusta rincorsa che ti faccia saltare il primo ostacolo di una lunga maratona. Il cattivo poeta è l'opera prima di Gianluca Jodice, regista e sceneggiatore, con una lunga carriera iniziata nel ben lontano 1995 e numerosi riconoscimenti per le sue opere precedenti come per il corto La signorina Holibet e Ritratto di bambino. Arriva al biopic su Gabriele D'Annunzio, guidato dalla produzione di Matteo Rovere e Andrea Paris e coprodotto da Nicolas Anthomé, Ascent Film, Bathysphere e RAI Cinema. E seppure Rovere e Paris non abbiano più bisogno di presentazioni, una buona produzione dietro un esordio è una premessa ben poco scontata. Jodice sceglie di girare il ritratto del Vate nei suoi ultimi anni di vita, quando oramai la sua dissidenza verso la svolta imperialista e filogermanica del Fascismo era apertamente dichiarata, e costituiva vera e propria brace ardente per il regime. Ogni sua parola poteva compromettere la riuscita degli accordi con il Nazismo. Il film è girato in buona parte al Vittoriale di Gardone Riviera, il luogo dell'autoesilio per Gabriele D'Annunzio, una sorta di Olimpo dove viveva circondato da ammiratori, servitori e amanti fedeli. Il Gabriele D'annunzio di Sergio Castellitto è un poeta in fase decadente, che si concede poco agli ammiratori e alle manifestazioni pubbliche. Nelle prime scene del film il regista ne evidenzia il profilo edonistico, quello dell'irriducibile seduttore che non rinuncia a lunghe performance di piacere nemmeno a 75 anni. È un D'annunzio sospeso tra il carteggio delle sue opere, gli antidolorifici e la cocaina. E nonostante ciò, quello di Castellitto è un D'annunzio misurato e composto. Ciò che accade è narrazione fedele alla storia, alla quale il regista si affida come un sarto che abbia intenzione di confezionare un'opera perfetta, senza sbavature e volutamente senza eccessi. Rischiando anche di perdere un po' di guizzo. Il film segue lo sguardo del giovane Giovanni Comini, interpretato da Francesco Patanè, che nel 1936 viene promosso a federale di Brescia. Il Regime sembra credere nella gioventù, e negli occhi dei giovani gerarchi si intravede il candore ideale e il fuoco ardente dell'audacia. Comini viene presto convocato a Roma da Achille Starace (Fausto Russo Alesi), il numero due del Regime, che gli conferisce il delicato incarico di sorvegliare segretamente il poeta tanto amato dal Duce, perché la sua contrarietà alle ultime scelte politiche del Fascismo, non si riveli una facile suggestione per il popolo. Comini è di fatto un ragazzo senza la forza dell'autorevolezza, all'alba di un debutto professionale, nel quale ricopre un ruolo militare che crede sia un riconoscimento e invece non è altro che la posizione di una pedina da muovere all'interno di uno scacchiere molto pericoloso. Mussolini è sempre più orientato a stringere la mortale alleanza con Hitler e soffoca senza indugio qualunque voce contraria in merito. Il partito inizia una silente spedizione punitiva contro ogni sediziosa manifestazione. E qui la faccia e la capacità attoriale di Lino Musella, nei panni di un fascista picchiatore, dice tutto. Nell'interpretazione di Francesco Patané nel ruolo del federale Comini si intravede la sua formazione teatrale, si muove con vellutata cautela nel manifestare il dissidio che lentamente si apre nel suo personaggio, tra l'essere fedele alla sua missione e la fascinazione che subisce per il poeta. E la sceneggiatura ben scritta dallo stesso regista lo sostiene. Tutto nel film sembra essere accordato a un tacito suggerimento: cominciare piano per cominciare bene. Anche perché con un personaggio come Gabriele D'Annunzio sarebbe stato facile scivolare in eccentriche rappresentazioni su mito e leggenda. Luisa Baccara, Amelie Mazoyer e Emi sono le tre donne che assistono amorevolmente il Vate nella sua dimora. Luisa Baccara interpretata da una magistrale Elena Bucci, storicamente fu l'eterna musa e amante di D'annunzio. Una pianista eccezionale che conobbe il poeta in giovane età, e instaurò con lui una relazione che durò fino alla sua morte, rimanendo testimone resistente anche di tutti i suoi tradimenti. La Baccara fu un'amante fedele sulla quale però cadde qualche ombra a proposito di una sua possibile collaborazione segreta al servizio del fascismo, soprattutto dopo l'episodio del cosiddetto Volo dell'Arcangelo, ovvero la caduta misteriosa durante una sera d'Agosto, di D'Annunzio dalla finestra di una stanza del Vittoriale proprio mentre ascoltava al pianoforte la sua musa. Il regista Gianluca Jodice, sibillinamente, lascia traccia nel suo film delle suggestive ipotesi sul fatto che tra tutte le accorate infermiere del poeta, ci fosse qualche spia. L'affascinante Clotilde Courau ricopre invece il ruolo di Amelie, la seconda delle eterne amanti che nel film si dimostra insieme alla pianista Luisa Baccara vagamente preoccupata sulla presenza di Emi (Janina Rudenska), quale infermiera e giovane amante di D'Annunzio. Alla sceneggiatura non è mancata la supervisione dello storico Giordano Bruno Guerra, attuale direttore della Fondazione del Vittoriale. Una nota di merito va data ai costumi di Andra Cavalletto, alla fotografia di Daniele Ciprì per l'elegante composizione, come anche alla solenne scenografia di Tonino Zera dove ogni dettaglio simbolicamente dava voce alla gloria e al decadentismo di Gabriele D'annunzio, le musiche sono di Michele Braga.
da L'Espresso, 20 maggio 2021


di Manuela Caserta, 20 maggio 2021

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