Bosnia Express

Un film di Massimo D'Orzi. Documentario, durata 70 min. - Italia 2021. - Cinecittà Luce uscita martedì 1 febbraio 2022. MYMONETRO Bosnia Express * * * - - valutazione media: 3,25 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

UN’ INTIMA OSSERVAZIONE TRA CRITICA E RECENSIONE DAL PUNTO DI VISTA DI UNA CITTADINA DI BOSNIA ED ERZEGOVINA

di Azra


Feedback: 100
domenica 10 luglio 2022

La calda ed accogliente voce del prologo, raccontando una legenda popolare, dà il benvenuto in un Paese altrettanto accogliente, ospitale e, a sua volta intessuto di leggende di varie origini. Questa voce “a momenti eccessivamente enfatica”, come dice Raffaella Giancristofaro, è tale, a mio avviso, per rispecchiare l’eccessiva enfasi dei cittadini di Bosnia ed Erzegovina nell’accogliere un ospite, un viaggiatore o uno straniero che è venuto a risolvere i problemi interni. Da sempre conosciuta per la sua ospitalità, da sempre intrisa di storia, di eventi che hanno segnato la storia mondiale, stuzzica il desiderio di ogni visitatore di tornarci, di sentirsi come a casa sua, di capire qualcosa di più su quel popolo tanto matto da uccidersi a vicenda. Di capire il perché di quella orribile guerra. Uno di quei visitatori e viaggiatori è sicuramente il regista Massimo d’Orzi, che vi torna anche se si era promesso di non tornarvi. Non si dà pace, vuole capire, cerca le risposte, si fa delle domande e ce le fa fare! Perché lui è riuscito ad entrare nel soul di quel Paese. Grazie a Massimo che continua a stuzzicare tanti, in primis noi che abbiamo visto Bosna Express, che ci lascia forse un po’ perplessi, ma con un’importante impronta e una grande scossa. Perché?
 
Perché colpisce la sua regolatezza nel dosare il tempo dedicato ad ognuna delle tre religioni principali, dando così il quadro della loro diffusione. È apprezzata la sua sobrietà nel rappresentare la loro esistenza e coesistenza da secoli, e nel raccontare la più diffusa – quella islamica – in chiave moderna.
Perché è maestosa la scena e la frase sulla religione dei Rom, dove in pochi attimi “scenografici” e con poche parole offre tutto un racconto sulla vita dei Rom, sulla loro integrazione e “mimetizzazione” in Bosnia ed Erzegovina, sul loro rispetto verso tutte le religioni.
Perché è matura e saggia la scelta di dare e non dare qualche schizzo che fa da contorno ad un complesso quadro politico, di far sentire la forte pulsazione delle arterie politiche che partono e conducono al cuore dei principali motivi della guerra.
Perché è lodevole la rappresentazione dei battiti del cuore artistico di Sarajevo .
 
E che dire delle due ragazze a Trieste? Non conosco il motivo per cui il regista le abbia scelte, né come le vedono gli altri. Riconosco solo il fortissimo impatto che suscitano e i messaggi che trasmettono, le urla silenti che emettono, le domande nude e crude che fanno con i loro movimenti e sguardi.
Le vedevo come due ragazze che, dopo aver vissuto e subìto gli orrori della guerra, sono riuscite a scappare ed eccole a Trieste. In libertà, ma imprigionate da ricordi, da vissuti, da paure, dall’impossibilità di non poter fare niente. Gli articoli di giornale ritagliati, come pezzi di un Paese che ritagliano e ridisegnano, come pezzi di corpi sacrificati in nome di chi? Di una religione o un Dio? No. Perché non esiste né religione né Dio che giustifichino la carneficina. Penso che il regista abbia capito da sempre che la religione non era il motivo di quella guerra. Forse una scusa, ma non il motivo.
 
E poi, la scelta della doccia: enorme.
Non ci sono né docce né piogge che riusciranno a lavare di dosso quel dolore, quel male che è stato fatto alle donne, sulle donne, ad un’intera popolazione. L’acqua che scorreva a dirotto mista alle lacrime di tante donne, continuerà a scorrere. Non riuscirà mai a lavare il sangue versato. Nutrirà la speranza che il passato rimanga non dimenticato, ma che rimanga il passato. Non il presente. Non il futuro.
La loro impossibilità di reagire, si contrapponeva in me all’incapacità di quelli che potevano e non hanno fatto niente, bensì osservavano. Punto.
 
Ho intravvisto i tatuaggi sulle ragazze. Li vedevo come un segno di ribellione. Perché? Da sempre per me rappresentano “un dolore voluto”. Lo scegli, decidi di farlo e lo fai. Ti rimane per sempre. E beh, non c’è problema, perché lo hai scelto tu! Ognuno deve essere libero di scegliere cosa vuole fare con il proprio corpo, se vuole lasciarsi un segno o no.
Guardavo le ragazze mentre facevano la doccia. I loro tatuaggi non si lavavano via, restavano, ma è giusto che sia così. È ingiusto che, su quei bei corpi nudi, rimanesse il dolore, i segni “poco visibili”, radicati dentro quei corpi e quelle menti, il dolore che solo gli sguardi delle ragazze potevano trasmettere.

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