Allen fa cinquanta.... film e tra poco, il 6 maggio, mai stanco, festeggia questo importante anniversario con una nuova pellicola, quarta collaborazione consecutiva con il direttore della fotografia tre volte premio Oscar Vittorio Storaro.
Rifkins Festivalè uno "standard" nella produzione del regista, una classica commedia alleniana con protagonista un uomo alle prese con le nevrosi e le insicurezze di un matrimonio. Ma, come ogni film del cineasta, esula dal genere puramente didattico ed epurato dalla cinefilia tutta alleniana e dal rigido citazionismo didascalico, stupisce, si, ancora una volta. E non era facile.
Forse perché il protagonista Mort Rifkin (il bravo Wallace Shawn) un professore sessantenne di cinema di origini ebraiche dalle vagheggiate velleità letterarie, convinto controvoglia a tornare al festival di San Sebastian in Spagna da sua moglie, addetta all’ufficio stampa di un giovane regista di grido parigino, ha qualcosa che appartiene a tutti noi ovvero il dubbio e l'incertezza, una caratteristica tutta umana e per questo empatica.
Forse perché il timore di perdere il riferimento più importante della sua vita (e in fin dei conti della nostra), la donna con cui è sposato da oltre vent'anni, per una vagheggiata liaison col regista, instilla in Mort quel tarlo del dubbio che si svela nei sogni e nella buffa frequentazione con una dottoressa avvenente del luogo sposata, anche lei fedelissima, con un fedifrago pittore spagnolo. Insomma, il classico incontro/scontro di una coppia nel luogo di finzione e sogno in senso lato per eccellenza ovvero il cinema.
Cinema che Woody ama e non nasconde di citare nei sogni agitati del suo alter ego protagonista con ricercate sequenze in bianco e nero e classici senza tempo. Così le inquietudini esistenzialiste dei film “d’annata” che l’hanno nutrito e ispirato ritornano tramite Rifkin, nella famosa scena della palla di vetro di Quarto potere, nelle pedalate da nouvelle vague spensierate in bicicletta di Jules e Jim, nel bunueliano angelo sterminatore, passando per Fino all’ultimo respiro e il Settimo sigillo di Bergman con il cameo di Christoph Waltz che parodia la Morte.
Insomma, nettamente predominante, in questa successione di titoli, è il cinema europeo degli anni sessanta in cui Woody Allen si stava formando come stand-up comedian e come regista, leggero, sì ma al tempo stesso acuto osservatore dei nostri tempi.
Ed è proprio questa leggerezza alternata alla drammaticità di una crisi coniugale a rendere il film unico nel suo genere perché Allen ancora una volta riesce a trovare la giusta sapienza nell'equilibrio posato scenico senza l'eccesso di zelo o barocchismo della Ruota delle meraviglie coniugandolo a una fotografia sospesa di Un giorno di pioggia a New York, lucida malinconia.
Riflins festival,al contrario, grazie alla scelta drammaturgicamente precisa e ad una sceneggiatura snella contraddistinta da una leggerezza senile che ricorda un po' Hollywood ending con il gioco meta-cinematografico pirandelliano, si rimette in gioco in prima persona, ecco.
Un'originalità inesistente e a tratti assurda, lontana dall'essere un capolavoro ma celebrativa di un ritorno in sala. E scusate se è poco.
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