ghisi
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giovedì 7 gennaio 2021
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vivere il lutto
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Kornél Mundruczó è un regista ungherese che gira film insieme alla compagna Kata Wéber
In qualità di sceneggiatrice. “Pieces of a Woman” è una pièce teatrale in due atti, che il regista ha trasformato in lungometraggio.
La vicenda - ispirata a un'esperienza simile vissuta da Wéber e Mundruczó - è ambientata a Boston durante un lungo inverno e presenta una splendida fotografia. Le atmosfere nordiche, fredde, nebbiose, con ghiaccio o neve, accompagnano il dramma che vive la protagonista interpretata magistralmente da Vanessa Kirby, che infatti, ci ha vinto la Coppa Volpi 2020 per la migliore interpretazione femminile.
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Kornél Mundruczó è un regista ungherese che gira film insieme alla compagna Kata Wéber
In qualità di sceneggiatrice. “Pieces of a Woman” è una pièce teatrale in due atti, che il regista ha trasformato in lungometraggio.
La vicenda - ispirata a un'esperienza simile vissuta da Wéber e Mundruczó - è ambientata a Boston durante un lungo inverno e presenta una splendida fotografia. Le atmosfere nordiche, fredde, nebbiose, con ghiaccio o neve, accompagnano il dramma che vive la protagonista interpretata magistralmente da Vanessa Kirby, che infatti, ci ha vinto la Coppa Volpi 2020 per la migliore interpretazione femminile.
Martha vive con il compagno Sean (un bravissimo Shia LaBeouf) sulla soglia della genitorialità. Nella stessa città vivono sia la madre, sia la sorella di lei. Lui è un manovale impegnato nella costruzione di un ponte sopra il Charles River, non particolarmente apprezzato dalla madre di Martha che non condivide gli amori proletari della figlia. Ha appena comprato una macchina nuova in previsione della nascita della figlia Yvette, che hanno deciso di far nascere in casa.
In un unico piano-sequenza di 23 minuti e che apre il film, è rappresentato il parto assistito dall’ostetrica Eva (Molly Parker). Ma qualcosa andrà storto e la bambina vivrà solo pochi minuti, troppo tardi sarà chiamata l’ambulanza per lei.
Il film narra così modi diversi di vivere un lutto. In una specie di ribaltamento delle parti è Martha, la madre, a chiudersi e a non mostrare emozioni, mentre Sean, il padre, si dispera e piange.
Martha sembrerebbe rimuovere l’accaduto e volersi staccare anche dal ricordo della bambina: disfa la stanza che aveva arredato amorevolmente, decide di donare il suo corpo all’Università per ricerche mediche e non vuole neanche affrontare la causa all’ostetrica.
Sean riprende a fumare e, purtroppo anche a bere, dopo tanti anni. Cerca anche di avere dei rapporti sessuali che possano riempire il suo vuoto affettivo. Alla fine, distrutto, partirà per andare a lavorare a Seattle.
La madre di Martha (una bravissima Ellen Burstyn) è un’ebrea sopravvissuta all’Olocausto, una donna combattiva con un alto senso di giustizia e di rivalsa. È invadente senza neanche rendersene conto, vuole provocare una reazione nella figlia e la spinge a reagire in modo e in tempi diversi da quelli individuali e soggettivi di Martha. Infatti le ci vorrà un anno per vincere quello strano torpore e assenza di emozioni in cui è avvolta.
L’atmosfera nordica del dramma, del lutto per i figli, dei sensi di colpa per non aver potuto evitare la tragedia, mi hanno ricordato “Manchester-by-the-Sea” di Kenneth Lonergan del 2016. Anche lì padre e madre hanno reagito in modi diametralmente diversi alla perdita.
Kornél Mundruczó è stato vincitore del premio Un Certain Regard del 2014 per il film “White God - Sinfonia per Hagen” considerato un grido di allarme nei confronti della crescente intolleranza verso la diversità, in Ungheria in particolare, ma e in tutta l’Europa in generale.
Prodotto da Martin Scorsese e presentato alla 77ma Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, “Pieces of a Woman” rivela una eccezionale prova attoriale di tutti gli artisti.
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eugenio
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venerdì 15 gennaio 2021
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la decostruzione di un dolore
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Rari sono i momenti in cui nei primi trenta minuti di un film si riesce a provare un’emozione così forte e Vanessa Kirby che interpreta una giovane puerpera, Martha, in Pieces of woman, ci mostra senza troppe mezze misure, il viaggio in caduta libera nel suo dolore incipiente. Eppure questa pellicola ci inganna: inizialmente, prevale la felicità, l’allegria dinanzi al parto imminente. E il lungo piano sequenza, drammaticamente angosciante, forse uno dei pochi della storia del cinema così intensi, riesce a sollevare sentimenti contrastanti, traducendo, come fossimo quasi noi i portatori “del travaglio” la gioia, la rottura delle acque, il parto in casa (scelta discutibile e soggettiva, certamente non ancorata ai prodromi del passato), l’arrivo di un’ostetrica, il tentativo raffazzonato di dare nuova vita in una vasca -stile morte di Marat con riferimenti quasi cristologici- che si specchiano inevitabilmente nella morte pochi istanti dopo la nascita.
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Rari sono i momenti in cui nei primi trenta minuti di un film si riesce a provare un’emozione così forte e Vanessa Kirby che interpreta una giovane puerpera, Martha, in Pieces of woman, ci mostra senza troppe mezze misure, il viaggio in caduta libera nel suo dolore incipiente. Eppure questa pellicola ci inganna: inizialmente, prevale la felicità, l’allegria dinanzi al parto imminente. E il lungo piano sequenza, drammaticamente angosciante, forse uno dei pochi della storia del cinema così intensi, riesce a sollevare sentimenti contrastanti, traducendo, come fossimo quasi noi i portatori “del travaglio” la gioia, la rottura delle acque, il parto in casa (scelta discutibile e soggettiva, certamente non ancorata ai prodromi del passato), l’arrivo di un’ostetrica, il tentativo raffazzonato di dare nuova vita in una vasca -stile morte di Marat con riferimenti quasi cristologici- che si specchiano inevitabilmente nella morte pochi istanti dopo la nascita.
Martha e il marito Sean (Shia LaBeouf) perdono il figlio nella Boston indifferente di oggi, nel dramma di una lotta casalinga, annegando nel loro dolore. E ci sembra in quel fluido piano sequenza, che si incolla quasi al volto dei protagonisti, di provare quasi il medesimo disagio della donna, di essere partecipi del tracollo della vita di coppia, di Martha e Sean, di una madre e un padre che non saranno più tali. La prima, quasi catatonica, pensosa annega nel ripeter vuoto di azioni un’esistenza instabile; il secondo, mentalità più pragmatica e prosaica (fa il costruttore di ponti) che con la madre di lei, ricca e cinica, spinge per un processo e una causa civile contro l’ostetrica, colpevole di non essere stata in grado di percepire la gravità di quei momenti chiamando l’ambulanza in tempo.
Il regista ungherese Kornél Mundruczó traduce col supporto alla sceneggiatura della compagna Kata Weber, un diario temporale di un’elaborazione di un lutto, rifacendosi alla sua esperienza privata e cercando nei lividi volti dei protagonisti di trovare una ragione a quanto di senso non c’è. E lo fa nella maniera più cruda e diretta possibile, non risparmiando la demonizzazione della pratica del parto in casa, la scelta struggente della lapide, la volontà di indugiare direttamente sui volti della coppia, i tentativi forzati di Sean di volerci riprovare, l’abbandono di lei, il contrasto con la madre, assai più cinica e lo sbando totale, figlio del dolore di cui sopra.
Crollo e dramma in Pieces of woman come il titolo originale mantenuto in italiano lascia presagire, ha il cuore e il volto di Martha, che di petto affronta e comprende come uscire dall’abisso della miseria sentimentale in cui è prostrata. Abile nelle inquadrature che si fanno stati d’animo, superfici lucide acquatiche in cui il liquido amniotico della vita aleggia con insistenza, Mundruczó realizza una pellicola di forte potenza emotiva, volutamente simbolica, che spazia con la semplice forza delle immagini ad un felice futuro.
Perché, come la luce e l’acqua sono capaci di restituire una nuova vita per le piante, così il perdono e il desiderio di porsi oltre i materici drammi che ci ossessionano e che spesso ci impediscono di condurre un’esistenza serena, rappresentano l’unica panacea per una guarigione dell’anima, ben superiore a gretti desideri di vendetta e meschine mediocrità per ricomporre la figura lucente di madre-grembo, da cui tutti noi deriviamo e da cui siamo amati.
Vincitore della coppia Volpi come migliore interpretazione femminile a Vanessa Kirby al Festival del Cinema di Venezia 2020.
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felicity
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venerdì 28 maggio 2021
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per chi vuole provare emozioni forti
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In Pieces of a Woman la prima mezz’ora è di quelle che prendono alla gola: girato con lunghi piani sequenza che l’interpretazione della Kirby rende assolutamente credibili, quell’incipit sarà l’antefatto del progressivo e inesorabile sgretolamento della coppia.
Ma un po’ anche del film, che inizia a inanellare una serie di elementi probabilmente reali che però finiscono per spostare il dramma della perdita verso il quadro di una famiglia e poi di una società capaci solo di egoismo: c’è la madre sopravvissuta all’Olocausto che vorrebbe la figlia determinata e combattiva come era stata lei, la cugina avvocatessa che ragiona solo in termini di cause e indennizzi, il marito schiacciato dalle sue origini proletarie e dalla sua mascolinità.
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In Pieces of a Woman la prima mezz’ora è di quelle che prendono alla gola: girato con lunghi piani sequenza che l’interpretazione della Kirby rende assolutamente credibili, quell’incipit sarà l’antefatto del progressivo e inesorabile sgretolamento della coppia.
Ma un po’ anche del film, che inizia a inanellare una serie di elementi probabilmente reali che però finiscono per spostare il dramma della perdita verso il quadro di una famiglia e poi di una società capaci solo di egoismo: c’è la madre sopravvissuta all’Olocausto che vorrebbe la figlia determinata e combattiva come era stata lei, la cugina avvocatessa che ragiona solo in termini di cause e indennizzi, il marito schiacciato dalle sue origini proletarie e dalla sua mascolinità.
E la depressione di Martha finisce per scivolare in secondo piano, come per ridimensionare quella splendida mezz’ora iniziale che per fortuna non si dimentica.
Il fatto che il regista ungherese Kornél Mundruczó presenti l’intera sequenza come fosse una ripresa continua di 24 minuti suona, sulla carta, come una mossa da virtuosi progettata per indurre una reazione scioccata. Eppure il regista non si lascia andare a esibizioni di abilità vuote e inutili; permettendo agli spettatori di sperimentare queste scelte sbagliate in tempo reale, stabilisce il legame con i personaggi e lascia che siano gli attori a dettare la caduta libera della scena dalla gioia alla tragedia.
Non è l’uso fluido della cinepresa a tirarci dentro, ma sono i grugniti e le grida animalesche di Kirby, la corsa maniacale e l’incoraggiamento tenero di LaBeouf, l’autorevole figura di Parker che lentamente diventa esitante, mentre la situazione sfugge al controllo di tutti.
Il piano sequenza non è tanto uno spettacolo in sé, quanto il palcoscenico per le performance.
Burstyn regala un’interpretazione pazzesca, quando il suo personaggio riapre una ferita vecchia di decenni. Ci sono dolcezza e dolore, grinta da sopravvissuti e garbo quasi implorante.
Pieces of a Woman, però, appartiene soprattutto alla donna sull’orlo del baratro che ne è il centro, e Vanessa Kirby regala al film “La Performance”. La sua Martha, così profondamente traumatizzata, è qualcosa di unico, un’immagine completa e a fuoco di qualcuno che sta cadendo a pezzi. È un fascio di nervi che cammina, parla, con gli occhi spalancati e vuoti: il senso di shock è la chiave della maggior parte delle scene di Kirby. È più una performance di recessione che di repressione, poiché Martha continua a ritirarsi in sé stessa o a trascinarsi intorpidita attraverso interazioni e routine. Quando si sfoga, di tanto in tanto, è come guardare dimenarsi una persona che sta annegando.
È uno straordinario esempio di come creare un approccio empatico all’agonia pezzo per pezzo, e senza mai vincere troppo facile. Ed è il tipo di performance che inquadra Kirby come attrice di prim’ordine e nuova star disposta ad aprirsi completamente per un ruolo.
Qui è un’àncora necessaria per la storia, in particolare quando la sceneggiatura di Wéber e le scelte concettuali di Mundruczó virano verso un territorio più instabile. C’è sicuramente un modo per raccontare il processo di guarigione, oltre alla pesante metafora visiva di un ponte che, man mano che passa il tempo, cresce fino a diventare una struttura solida.
Tante opere trattano dolore, angoscia e rinascita come poco più che un’opportunità per offrire grandi performance. Anche Pieces of a Woman ha alcuni di quei momenti. Ma quello che alimenta il film è un senso realissimo di ciò che accade sotto il melodramma: le piccole implosioni sotto la superficie. Si scorge appena l’impatto e non la demolizione, ma il danno fatto è sempre lì. E quando tutto è finito, si vede il duro lavoro di qualcuno che riesce, si spera, a tornare a stare bene.
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