Un piano sequenza ad altezza di bambino e un padre che tiene per mano suo figlio pronto a lasciarlo a qualcuno che saprà badare a lui quando non ci sarà più.
Questo in due righe il poetico, straziante film di Uberto Pasolini che già otto anni fa con Still Life, aveva analizzato, cinematograficamente parlando, l’ineluttabile distico vita-morte permeando di bellezza vagamente retrò, la pace dei sensi propria della triste meretrice e colmando i momenti precedenti all’evento, con affetto e leggerezza.
La storia tutto muta e trasforma eppure si ripete non più nell’Inghilterra sapientemente tracciata da Ken Loach con servizi sociali non sempre all’altezza delle aspettative, ma nell’Irlanda del Nord, nella Belfast di Joyce e Oscar Wilde. Tra campagne e cottage, si muove peripateticamente John (James Norton), un trentaquattrenne lavavetri gravemente malato, conscio della vicina fine, alla strenua ricerca, di una famiglia giusta cui affidare il figlioletto Michael, cresciuto senza madre, prima di abbandonare questo pianeta per sempre.
E ne vede di ogni: donne che avrebbero desiderato essere madri, famiglie multietniche allargate, altre che cercano in un figlio che non hanno mai avuto, una mera oggettivizzazione di un loro desiderio di puro egotico successo, per riempire il vuoto che hanno dentro oppure coppie ricche annoiate ma sentimentalmente anestetizzate; eppure la macchina da presa mai critica di Pasolini è sempre stemperata da note di malinconica dolcezza e calore umano, un inno alla fraternità comune.
Nowhere Special come suggerisce il sottotitolo, più che un’anamnesi di una malattia incurabile, il cui corpo di John, su scelta sapiente del regista, non viene mai martirizzato in scena o peggio ancora, tradotto in disfacimento inesorabile, è una storia d’amore potente e intima, esautorata da ogni retorica e capace di vincere il freddo e oscuro volto della meretrice.
Il film di Pasolini ci parla, in fondo, di vita: quella vissuta, quella condotta con dolcezza negli ultimi momenti condivisi con chi è stato maggiormente vicino, come Michael per John, capace di intuire facilmente la malattia del padre senza troppi giri di parole. Ecco il grande vantaggio e al tempo stesso, forse limite della pellicola per la sua dirompenza: la forza e al tempo stesso la dolcezza nel volto del bimbo che diverrà presto uomo, un uomo come il padre, strappato alla vita nel fiore della sua giovinezza eppure capace di guardare con innocenza e candore, curiosità e stupore ogni azione del padre, stoicamente avvinto a un destino segnato.
James Norton compie un gran lavoro di sottrazione, recita in una scenografia foriera di grigi funerali ma anzi capace di stigmatizzare la vita, con la coralità di una profonda nobilità d’animo, quella degli uomini, figlia di una fiducia verso il prossimo. E Pasolini ben lo sa.
Del resto, la vita non è fatta solo di labirinti pieni di gira volte e strettoie spigoli gomiti dove uno rischia di rimanere intrappolato, no. Ci sono anche i sentieri strade pianure,praterie e orizzonti illimitati da esplorare. Si tratta solo di non aver paura, di mettersi in cammino e non voltarsi mai verso il passato.
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