thomas
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martedì 22 giugno 2021
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"e'' questa la vera magia del cinema!"
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Se il Cinema aveva ancora qualcosa di nuovo da dire riguardo a se stesso, "Mank" lo ha detto. Quante volte il Cinema si è raccontato, ha svelato segreti di sè, ha (a volte per un attimo) scostato la splendida "coperta d'oro" che lo ricopre, per farsi intravedere nella sua cruda verità: "Viale del tramonto", "Effetto notte", "Bellissima", "Veronika Voss", "Ed Wood" ...
E quante volte, invece, nel raccontare la sua cruda verità, ha saputo celarla abilmente con la splendida "coperta d'oro": "Nuovo Cinema Paradiso", "La rosa purpurea del Cairo", "Hugo Cabret", "Chi ha incastrato Roger Rabbit" .
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Se il Cinema aveva ancora qualcosa di nuovo da dire riguardo a se stesso, "Mank" lo ha detto. Quante volte il Cinema si è raccontato, ha svelato segreti di sè, ha (a volte per un attimo) scostato la splendida "coperta d'oro" che lo ricopre, per farsi intravedere nella sua cruda verità: "Viale del tramonto", "Effetto notte", "Bellissima", "Veronika Voss", "Ed Wood" ...
E quante volte, invece, nel raccontare la sua cruda verità, ha saputo celarla abilmente con la splendida "coperta d'oro": "Nuovo Cinema Paradiso", "La rosa purpurea del Cairo", "Hugo Cabret", "Chi ha incastrato Roger Rabbit" ....
Il Cinema, quando racconta se stesso, ci dice che non è diverso dalle persone che noi incontriamo tutti i giorni, perchè è generato proprio da quelle persone, e come tutte le persone normali, ha i suoi difetti. Se avessimo il tempo di ascoltarlo, il Cinema, ci direbbe che però quei difetti lui li copre con una "coperta d'oro", denominata "magia": ed è proprio quella sua magia che ce lo fa amare per quello che in verità non è.
E' il suo sapersi celare dietro la magia lo rende di per sè magico, ma la realtà non è quella che lui ci fa vedere: è la "coperta d'oro" che ci abbaglia.
E così "Mank" ci dice che nel Cinema, come nella vita di tutti i giorni, non puoi permetterti di essere completamente libero, devi "saper stare nelle cose". Se sei un genio, potrai essere geniale nel rispetto dei ruoli di chi ti sta vicino, ma non potrai mai essere geniale a dispetto dei ruoli di chi ti sta vicino. Ma i veri geni non possono essere limitati, essi si rifiutano proprio di vedersi costruire attorno un pò alla volta una gabbia e, così facendo, per paradosso se ne costruiscono con le proprie mani una ancora più stretta.
"Mank" è un film stupendo, con una fotografia superlativa, interpreti eccellenti, scrittura frizzante, racconta la storia di Herman J. Mankiewicz, uno dei tanti personaggi realmente esistiti nella Holliwood dorata degli anni '30 e '40; sceneggiatore brillante, genio della parola, anche se "Mank" non fu premiato dalla vita, seppe tuttavia farle un regalo: la sceneggiatura di "Quarto potere", il più bel film, forse, della storia del Cinema.
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enrico riccardo montone
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domenica 6 dicembre 2020
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autobiografia del cinema
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Nell'era del bianco e nero, Mank si diverte letteralmente nel grigio. Diretto da David Fincher da una sceneggiatura di suo padre Jack, Mank è incentrato sulla realizzazione di Quarto potere (Citizen Kane) - un film spesso votato come tra i più grandi di tutti i tempi - prendendo il nome dall'uomo che potrebbe aver scritto quel film da solo ma con tutti i meriti andati a Orson Welles. Tuttavia, nonostante tutti i suoi ideali, principi, arguzia e disprezzo nei confronti di Hollywood, Herman Mankiewicz è un uomo che ha costruito il suo successo sugli stessi principi del mondo dello spettacolo e in qualche modo, nel torpore dato dall'acol, se ne rende conto.
Un barone dei giornali con giornali che prosperano negli scandali e una carriera prospera in virtù delle fluttuazioni politiche (William Hearst, interpretato da Charles Dance).
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Nell'era del bianco e nero, Mank si diverte letteralmente nel grigio. Diretto da David Fincher da una sceneggiatura di suo padre Jack, Mank è incentrato sulla realizzazione di Quarto potere (Citizen Kane) - un film spesso votato come tra i più grandi di tutti i tempi - prendendo il nome dall'uomo che potrebbe aver scritto quel film da solo ma con tutti i meriti andati a Orson Welles. Tuttavia, nonostante tutti i suoi ideali, principi, arguzia e disprezzo nei confronti di Hollywood, Herman Mankiewicz è un uomo che ha costruito il suo successo sugli stessi principi del mondo dello spettacolo e in qualche modo, nel torpore dato dall'acol, se ne rende conto.
Un barone dei giornali con giornali che prosperano negli scandali e una carriera prospera in virtù delle fluttuazioni politiche (William Hearst, interpretato da Charles Dance). Un proprietario di uno studio il cui unico dio è il denaro (Pelphrey, grande come Louis Meyer della MGM). Un'attrice ridotta nell'immaginario popolare a un'amante stupida, che può essere incredibilmente intelligente e onesta, con una Amanda Seyfried luminosa nei panni dell'amore di Hearst, Marion Davies). Una moglie sofferente il cui amore e devozione hanno tagliato la pelle spessa di Mank (Tuppence Middleton come Sara). E lo stesso Mank, autocommiserante, autodistruttivo, disperato e delizioso con un Gary Oldman in un'altra performance notevole. Welles, interpretato dall'attore britannico Tom Burke, è più una presenza che un personaggio reale, il prodigio dell'Est, l'outsider che minaccia di abbattere l'impalcatura su cui poggia l'esclusivo club di Hollywood.
Mank riesce a catturare la vita di Mankiewicz tra il 1933 e il 1940, quando gli Stati Uniti erano nel mezzo della Grande Depressione e osservava con disagio, ma da lontano, le nuvole che si addensavano della Seconda Guerra Mondiale. C'è un altro aspetto su cui Fincher fa bene a concentrarsi nel suo racconto della realizzazione di Quarto potere ovvero la candidatura del socialista Upton Sinclair come governatore della California, che vede la banda di orpelli contro di lui. Mentre Sinclair è ritratto come promotore di valori "anti-americani", con la MGM che presta la sua forza a una campagna che ai giorni d'oggi sarebbe definita come fake news, Mank è costretto a confrontarsi con i propri compromessi e le piccole bugie.
L'opera di Fincher rappresenta un lavoro astutamente investigativo e doloroso della psicologia storica speculativa e una visione della politica di Hollywood che brilla con un fervido cambiamento di riflettori sull'attualità degli eventi. È un film che lascia un'impressione particolare, con la sua visione della Hollywood classica così personale e appassionatamente conflittuale che ciò che accade sullo schermo sembra secondario rispetto a ciò che rivela della psicologia registica di Fincher, della sua visione degli affari e dell'arte dei film. La struttura narrativa tra flashback e presente ricorda vagamente Quarto potere, con la sua energia sofisticata e propulsiva che fa ricorso al bianco e nero appropriato per l'epoca. Anche se girato in digitale nel formato 2,35 ultra widescreen, le immagini del film hanno una qualità oscura e fumosa che a volte somiglia ai vecchi film, ricordandone anche l'immaginario. Lo stile è dunque al servizio del messaggio e anche i titoli di testa risultano essere un ibrido: sono presentati in un carattere retrò e in un formato che imita gli intertitoli classici (Netflix diventa "Netflix International Pictures"), ma i nomi degli attori sono integrati nello scenario come l'apertura estremamente moderna.
Sebbene il film prenda spunti non ufficiali dal racconto di Pauline Kael del 1971 sulla realizzazione di Quarto potere, il film di Fincher sembra fare riferimento al (difficile) tentativo di lavorare all'interno di un sistema che comporta il doversi imporre sia sulle fantasie che sulla realtà. Mank lotta per proteggersi sia attraverso un'intelligenza distaccata sia con il suo buon amico, l'alcol. Fincher omaggia il cinema dell'epoca pur riuscendo sempre a guardare avanti e a nascondere tra le pieghe del racconto il vero significato di tutto. In questo senso, la frase su come aggiornare Don Chisciotte è forse la più indicata: Mank indica William Hearst, ma in realtà è proprio lo stesso Mank il moderno Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento di Hollywood.
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enrico riccardo montone
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domenica 6 dicembre 2020
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autobiografia del cinema
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Nell'era del bianco e nero, Mank si diverte letteralmente nel grigio. Diretto da David Fincher da una sceneggiatura di suo padre Jack, Mank è incentrato sulla realizzazione di Quarto potere (Citizen Kane) - un film spesso votato come tra i più grandi di tutti i tempi - prendendo il nome dall'uomo che potrebbe aver scritto quel film da solo ma con tutti i meriti andati a Orson Welles. Tuttavia, nonostante tutti i suoi ideali, principi, arguzia e disprezzo nei confronti di Hollywood, Herman Mankiewicz è un uomo che ha costruito il suo successo sugli stessi principi del mondo dello spettacolo e in qualche modo, nel torpore dato dall'acol, se ne rende conto.
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Nell'era del bianco e nero, Mank si diverte letteralmente nel grigio. Diretto da David Fincher da una sceneggiatura di suo padre Jack, Mank è incentrato sulla realizzazione di Quarto potere (Citizen Kane) - un film spesso votato come tra i più grandi di tutti i tempi - prendendo il nome dall'uomo che potrebbe aver scritto quel film da solo ma con tutti i meriti andati a Orson Welles. Tuttavia, nonostante tutti i suoi ideali, principi, arguzia e disprezzo nei confronti di Hollywood, Herman Mankiewicz è un uomo che ha costruito il suo successo sugli stessi principi del mondo dello spettacolo e in qualche modo, nel torpore dato dall'acol, se ne rende conto.
Un barone dei giornali con giornali che prosperano negli scandali e una carriera prospera in virtù delle fluttuazioni politiche (William Hearst, interpretato da Charles Dance). Un proprietario di uno studio il cui unico dio è il denaro (Pelphrey, grande come Louis Meyer della MGM). Un'attrice ridotta nell'immaginario popolare a un'amante stupida, che può essere incredibilmente intelligente e onesta, con una Amanda Seyfried luminosa nei panni dell'amore di Hearst, Marion Davies). Una moglie sofferente il cui amore e devozione hanno tagliato la pelle spessa di Mank (Tuppence Middleton come Sara). E lo stesso Mank, autocommiserante, autodistruttivo, disperato e delizioso con un Gary Oldman in un'altra performance notevole. Welles, interpretato dall'attore britannico Tom Burke, è più una presenza che un personaggio reale, il prodigio dell'Est, l'outsider che minaccia di abbattere l'impalcatura su cui poggia l'esclusivo club di Hollywood.
Mank riesce a catturare la vita di Mankiewicz tra il 1933 e il 1940, quando gli Stati Uniti erano nel mezzo della Grande Depressione e osservava con disagio, ma da lontano, le nuvole che si addensavano della Seconda Guerra Mondiale. C'è un altro aspetto su cui Fincher fa bene a concentrarsi nel suo racconto della realizzazione di Quarto potere ovvero la candidatura del socialista Upton Sinclair come governatore della California, che vede la banda di orpelli contro di lui. Mentre Sinclair è ritratto come promotore di valori "anti-americani", con la MGM che presta la sua forza a una campagna che ai giorni d'oggi sarebbe definita come fake news, Mank è costretto a confrontarsi con i propri compromessi e le piccole bugie.
L'opera di Fincher rappresenta un lavoro astutamente investigativo e doloroso della psicologia storica speculativa e una visione della politica di Hollywood che brilla con un fervido cambiamento di riflettori sull'attualità degli eventi. È un film che lascia un'impressione particolare, con la sua visione della Hollywood classica così personale e appassionatamente conflittuale che ciò che accade sullo schermo sembra secondario rispetto a ciò che rivela della psicologia registica di Fincher, della sua visione degli affari e dell'arte dei film. La struttura narrativa tra flashback e presente ricorda vagamente Quarto potere, con la sua energia sofisticata e propulsiva che fa ricorso al bianco e nero appropriato per l'epoca. Anche se girato in digitale nel formato 2,35 ultra widescreen, le immagini del film hanno una qualità oscura e fumosa che a volte somiglia ai vecchi film, ricordandone anche l'immaginario. Lo stile è dunque al servizio del messaggio e anche i titoli di testa risultano essere un ibrido: sono presentati in un carattere retrò e in un formato che imita gli intertitoli classici (Netflix diventa "Netflix International Pictures"), ma i nomi degli attori sono integrati nello scenario come l'apertura estremamente moderna.
Sebbene il film prenda spunti non ufficiali dal racconto di Pauline Kael del 1971 sulla realizzazione di Quarto potere, il film di Fincher sembra fare riferimento al (difficile) tentativo di lavorare all'interno di un sistema che comporta il doversi imporre sia sulle fantasie che sulla realtà. Mank lotta per proteggersi sia attraverso un'intelligenza distaccata sia con il suo buon amico, l'alcol. Fincher omaggia il cinema dell'epoca pur riuscendo sempre a guardare avanti e a nascondere tra le pieghe del racconto il vero significato di tutto. In questo senso, la frase su come aggiornare Don Chisciotte è forse la più indicata: Mank indica William Hearst, ma in realtà è proprio lo stesso Mank il moderno Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento di Hollywood.
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luca scialo
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domenica 23 maggio 2021
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film ambizioso ma non del tutto riuscito
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Più che un biopic sul talento bruciato dall'alcol dello sceneggiatore anni '20 e '30, Herman Mankiewicz, o sulle origini del film considerato il capolavoro di sempre del Cinema mondiale, Quarto potere, questo film raffigura, nel bianco e nero tipico dell'epoca, la Hollywood che fu. Quella pre-età dell'oro post-guerra mondiale, dei primi film con l'audio, delle prime stelle. Quasi tutte provenienti dal teatro. Ma anche del Cinema che viveva le difficoltà economica della Grande depressione, e che si faceva con pochi soldi ma tanto talento. David Fincher va sempre apprezzato per il suo modo di mettersi in gioco con film ambiziosi, sebbene poi spesso non riesca a saltare l'asta che lui stesso ha piazzato molto in alto.
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Più che un biopic sul talento bruciato dall'alcol dello sceneggiatore anni '20 e '30, Herman Mankiewicz, o sulle origini del film considerato il capolavoro di sempre del Cinema mondiale, Quarto potere, questo film raffigura, nel bianco e nero tipico dell'epoca, la Hollywood che fu. Quella pre-età dell'oro post-guerra mondiale, dei primi film con l'audio, delle prime stelle. Quasi tutte provenienti dal teatro. Ma anche del Cinema che viveva le difficoltà economica della Grande depressione, e che si faceva con pochi soldi ma tanto talento. David Fincher va sempre apprezzato per il suo modo di mettersi in gioco con film ambiziosi, sebbene poi spesso non riesca a saltare l'asta che lui stesso ha piazzato molto in alto. Mank risulta alla fine molto, fin troppo dinamico per ciò che intende rappresentare. Forse anche un po' lungo, con frequenti divagazioni. Ottima l'interpretazione di Gary Oldman, forse l'aspetto più positivo insieme alla ricostruzione di un'epoca molto interessante dalla quale si può attingere spesso. Per tutti gli spunti che offre in termini di personaggi sui generis. Proprio come Mankiewicz, la cui vita è ben sintetizzata nella citazione finale.
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felicity
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lunedì 15 novembre 2021
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un film sul potere e la potenza delle storie
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Filmato in digitale, Mank è un film prodotto da una piattaforma ma che tende a ricostruire con fedeltà ossessiva l’esperienza cinematografica della golden age del cinema hollywoodiano grazie all’effetto fotografico della pellicola, alle inquadrature, al sonoro di Ren Klyce e alla colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross che omaggia il genio di Bernard Herrmann e il jazz.
Un film nostalgico di un’era eppure profondamente moderno nelle tematiche affrontate.
Perché a David Fincher non interessa poi molto sancire in via definitiva chi tra Mankiewicz e Welles sia l’autore di Quarto Potere quanto raccontare una storia di lotta per i (propri) diritti.
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Filmato in digitale, Mank è un film prodotto da una piattaforma ma che tende a ricostruire con fedeltà ossessiva l’esperienza cinematografica della golden age del cinema hollywoodiano grazie all’effetto fotografico della pellicola, alle inquadrature, al sonoro di Ren Klyce e alla colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross che omaggia il genio di Bernard Herrmann e il jazz.
Un film nostalgico di un’era eppure profondamente moderno nelle tematiche affrontate.
Perché a David Fincher non interessa poi molto sancire in via definitiva chi tra Mankiewicz e Welles sia l’autore di Quarto Potere quanto raccontare una storia di lotta per i (propri) diritti.
Mank è un film sul potere e su come possa essere esercitato a favore o a discapito di una parte. Alcuni flashback del film si concentrano sulle elezioni, nel 1934, per la corsa al Governatorato della California. Nel bel mezzo della Grande Depressione da un lato il candidato repubblicano Frank Merriam e dall’altro il democratico – etichettato in modo dispregiativo come socialista – Upton Sinclair. In mezzo a loro lo zampino di William Randolph Hearst che spinse i capi degli Studios a sabotare “il comunista” Sinclair creando filmanti di falsa propaganda nei loro teatri di posa.
E non è affatto difficile scorgere un parallelismo tra il 1934 e il 2020. Se ieri i filmati di attori che si fingevano comuni cittadini dichiaravano di votare il democratico Merriam per non dare l’America in pasto ai comunisti, oggi quella propaganda passa attraverso altri media sotto forma di fake news create per pilotare l’opinione pubblica. Se The Social Network raccontava la nascita di Facebook, potremmo azzardare che Mank ne racconta l’evoluzione in un film che racchiude tanti strati di lettura.
Il biopic dedicato ad un uomo che ha deciso di non restare nell’ombra, un omaggio al cinema e alle sue tante anime – magica, cinica, illusoria – il dietro le quinte del più grande film mai realizzato, una lettera d’amore ad un padre che non c’è più, un film politico. Mank è una Xanadu colma di storie e la sua Rosebud è il cinema con cui David Fincher gioca creando un cortocircuito tra passato e futuro di un’invenzione in continua evoluzione. Un film che rimarca la potenza delle storie. Come quella rimasta per trent’anni in un cassetto che oggi risuona potente come solo un classico riesce ad essere.
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vanessa zarastro
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sabato 5 dicembre 2020
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c''era davvero una volta hollywood?
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Quasi sempre quando un film parla di cinema è ben accetto dalla critica. Se poi parla di uno dei mostri sacri, ancora meglio! È il caso del film prodotto da Netflix dal titolo “Mank” - diminutivo che sta per Herman J. Mankiewicz (interpretato da Gary Oldman), sceneggiatore di “Quarto Potere” (“Citizen Kane” in originale) del 1941.
Il regista David Fincher, confeziona un raffinatissimo film in bianco e nero - una sorta di operazione vintage inusuale per la sua produzione - ambientato nel 1940 e si sofferma nel passaggio dal muto al sonoro per donare "onore e voce alla parola", come ha detto Mank al potente editore William Randolph Hearst (interpretato da Charles Dance).
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Quasi sempre quando un film parla di cinema è ben accetto dalla critica. Se poi parla di uno dei mostri sacri, ancora meglio! È il caso del film prodotto da Netflix dal titolo “Mank” - diminutivo che sta per Herman J. Mankiewicz (interpretato da Gary Oldman), sceneggiatore di “Quarto Potere” (“Citizen Kane” in originale) del 1941.
Il regista David Fincher, confeziona un raffinatissimo film in bianco e nero - una sorta di operazione vintage inusuale per la sua produzione - ambientato nel 1940 e si sofferma nel passaggio dal muto al sonoro per donare "onore e voce alla parola", come ha detto Mank al potente editore William Randolph Hearst (interpretato da Charles Dance). E sarà proprio lui con la sua amante Marion Davies (Amanda Seyfried) a ispirare il personaggio di Kane nel film “Quarto Potere”.
Mankiewicz è stato un intellettuale tagliente e sarcastico, non particolarmente amato all’epoca ma rispettato e, forse, temuto. Herman era il fratello maggiore del regista Joseph (“Eva contro Eva”, “Improvvisamente l’estate scorsa”, “Un americano tranquillo”, “Cleopatra” ecc.), ma di carattere e di comportamento molto diverso. Fu, purtroppo, un grande bevitore, infatti morì a soli 55 anni riuscendo però a non farsi schiacciare da Orson Welles, (interpretato da Tom Burke) all’epoca esordiente alla regia poco più che ventenne.
Il film di Fincher narra Mank, recluso in un ranch distante da Hollywood e costretto a letto con una gamba ingessata dopo un incidente di auto, che elaborò la sceneggiatura di “Quarto Potere” prendendo spunto anche dai bigliettini scritti di Orson Welles, coadiuvato da Rita Alexander (interpretata da Lily Collins) una giovane segretaria inglese, e da una infermiera tedesca. Il copione fu firmato da entrambi (Welles e Mankiewicz), e “Quarto Potere” ottenne l’Oscar per la migliore sceneggiatura nel 1942. Sulla collaborazione tra i due sono stati stesi fiumi di scritti e di interpretazioni varie che però non riguardano questo film.
Le vicende di “Mank” erano state scritte dal padre del regista, Jake Fincher, una trentina di anni prima e riproducono la Hollywood degli anni Trenta, con uno spaccato vivace e spumeggiante in una stagione fortunata. Sullo sfondo il contesto sociale e politico con la Grande Depressione che non è ancora diventata un ricordo, in California si discute la candidatura dello scrittore Upton Sinclair a Governatore mentre in Europa Hitler è in piena ascesa. Molti sono i personaggi famosi ritratti da Norma Shearer a Charlie Chaplin, da Joan Crawford a Clark Gable.
La ricostruzione è minuziosa e precisa, perfino Trent Reznor e Atticus Ross sono stati così accurati da comporre musica usando solo strumenti autentici d’epoca. Molto bella tra i molti flashback è la parte ambientata nel 1933, nel Castello Hearst alla festa del compleanno del produttore - e cofondatore Metro Goldwyin Mayer -, Louis B. Mayer (interpretato da Arliss Howard), pieno di VIP hollywoodiani e della corte di David O’ Selznick (interpretato da Toby Leonard Moore). Notevolmente attuale è la battuta: "Dobbiamo riportare il pubblico al cinema... come?" con la risposta pungente: "Proiettiamo i film in strada".
L’unico difetto del film, a mio avviso, che è parlato molto velocemente ed è talmente denso di battute che si fa fatica a stargli dietro.Gary Altman, inutile dirlo, è come al solito bravissimo e addirittura superbo nella sua interpretazione di un personaggio intelligente, sarcastico, non simpaticissimo - anche se denominato "l'uomo più divertente di New York" -, autodistruttivo e narcisista - ma lì in quel gruppo chi non lo era?
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