Mettiamo da parte la protagonista, la giovane Elizabeth: le donne sono sole.
Donne suicide, donne che nascondono le bottiglie d'alcool nel passeggino dei figli o che sono dipendenti dai tranquillanti.
La via di Elizabeth, nonostante il suo grande talento, non sembra affatto diversa da quella di sua madre, della sua madre adottiva o delle compagne di scuola.
Insomma, quell'america anni '60 è una condanna a morte per lo spirito e il corpo di chi ha la sfortuna di nascere femmina.
" Un giorno rimarrai tutta sola" disse la madre di Beth: e lei resta sola... qualsiasi tentativo di chi le è vicino di aiutarla, affoga agonizzante nell'alcool o tra i tranquillanti.
Quella solitudine ricercata, quella condanna a morte termina di fronte alla grande bacheca del defunto guardiano Shaibel: colui che l'ha iniziata agli scacchi e ha seguito passo passo le sue vittorie.
Perché se sono gli uomini la condanna delle donne, sono anche gli uomini la loro salvezza: se da un lato abbiamo i padri di famiglia americani, aguzzini e traditori delle loro stesse mogli, chiuse in casa senza la possibilità di esprimere il loro talento (l'unica cosa che può davvero salvarle), dall'altro abbiamo una folla di "disadattati", maestri di scacchi che vivono in scantinati o ridotti a commessi di supermercato, custodi vecchi di orfanotrofi abbandonati nei loro sotterranei.
Sono questi che salvano Elizabeth: non i viaggi extralusso, non i vestiti e i trucchi (simbolo di quelle donne "vuote"), ma quelle menti geniali che, come lei, non sanno accettare quella forma predefinita dettata dalle regole sociali.
Il paradosso è che una degli aspetti più curati del film, riguarda proprio quella "bellezza", quel lusso, quei colori e forme, che nei fatti il film mira a distruggere (ho usato "film non a caso, le atmosfere sono più da cinema che da serie tv): la cura e la bellezza degli arredi, dei vestiti, delle acconciature, rappresentano quel superfluo barocco, il vortice che risucchia Beth e, di conseguenza, lo spettatore. E sembrano normali le frasi "adoro il tuo vestito, mi piace lo stile delle donne parigine" e non ci si rende conto che sarà quella vanitas vanitatum a portare Beth a un passo dall'autodistruzione.
Non c'è nessun intento catto-moralista, anzi Beth metterà alla porta le associazioni cristiane che promettono d'aiutarla in cambio di dichiarazioni di fede: un buon film non fa la morale, un buon film ci intratteniene, racconta una storia e, spesso, ci avvisa dei pericoli.
Tanto alla fine... è solo unn gioco.
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