Sto pensando di finirla qui |
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Un film di Charlie Kaufman.
Con Toni Collette, Jessie Buckley, Jesse Plemons, Jason Ralph.
continua»
Titolo originale I'm Thinking of Ending Things.
Drammatico,
- USA 2020.
MYMONETRO
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Viscere palustri della mentedi Pietro PassaroFeedback: 0 | altri commenti e recensioni di Pietro Passaro |
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domenica 15 maggio 2022 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Tra onirico e memoria, un Kaufman ormai completamente maturo abbraccia totalmente il surrealismo introspettivo, guidandoci, o meglio, facendoci perdere, nei meandri della psiche sua (?) di un inserviente, che vive costantemente nel limbo di ricordi e riflessioni. Un limbo che nello scorrere dei minuti dopo la visione della pellicola, diverrà il nostro, cercando di comprenderne il senso e l’intrinseco significato. Come già fatto da altri autori, forse più brillantemente, Kaufman, sia per forma che per contenuto, ci porta all’interno della mente di quello che è, a mio parere, l’unico protagonista della vicenda. Sono chiari gli indizi a riguardo, in quanto, nonostante possiamo ascoltare i pensieri della ragazza e quindi inconsciamente identificarci in lei, è la psiche di lui a venire pian piano scoperchiata, ed è effettivamente lui il centro focale d’indagine del film, o meglio entrambi. Perché, ricollegandoci a prima, se guardiamo il film nell’ottica un po’ alla Fight Club per cui entrambi i protagonisti siano due diverse personalità di quell’unico individuo (l’anziano inserviente), che interagiscono tra loro, scontrandosi, ci accorgiamo e diveniamo più consapevoli degli avvenimenti e della loro successione altrimenti dedalica. E quella che quindi poteva effettivamente essere la ragazza del giovanile bidello, nella confusione di un viaggio introspettivo, diviene quindi rappresentante del suo lato più sensibile, verso il quale lo spettatore, in quanto osservatore di un’opera d’arte, ha più affinità e che conosce con più facilità, dato che ne possiamo condividere i fugaci pensieri, sempre però interrotti dal lato più duro, grezzo ed emergente nella sua personalità, un po’ come fossero due novelli, ma ideali, Zampanò e Gelsomina; tutto questo non per sessismo e ghettizzazione del genere (la donna sensibile e il maschio rude), ma semplicemente in rispetto di simboli impressi nella memoria storica delle persone, quindi immediatamente riconoscibili da queste. Un utilizzo dunque dell’iconografia intelligente e moderno di cui tanto peccava il recente Siberia di Ferrara, avente lo stesso e identico umore, ma la forma di un altro, e più brutto, colore. Ecco quindi come la ritrosia del Tempo acquista maggior valore e più di una giustificazione, fino ad una totale e disarmante apertura sulla parte finale, dove si trascende il genere cinematografico, per raggiungere emblematicamente l’artificiosità e il costrutto fantastico, facendo uso del genere del musical, del live-action e di una scenografia e un trucco espressionista, più vicino all’idea che alla sua realistica rappresentazione. E il tutto, oltre che da una perfetta sceneggiatura (ma questo era ovvio), viene sorretto da un montaggio calibrato, che insieme alla regia, per una volta non protagonista ma coadiuvante del messaggio filmico, dilata e restringe (anche nella messa in scena) i tempi e il Tempo, costruendo tensione, rompendola e soprattutto fungendo da perfetto sottotesto a quello che vuol essere il significante dell’opera.
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