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Il medioevo era un'epoca perfetta governata da re imperfetti.
La prima commedia di Francesco Fanuele inizia col botto con una brillantezza asciutta dal retrogusto quasi monicelliano, rifacendosi quasi a un ideale donchisciottesco.
Un quarantenne autista romano, Giacomo, interpretato da Stefano Fresi viene convocato alla morte del padre, che aveva abbandonato figlio e madre 30 anni prima, da un bizzarro avvocato (Max Tortora) ai margini di una tenuta sulla via Salaria.
Nel rabbit hole, scopre che il padre nel testamento lo ha nominato erede di un regno para-medievale fondato da lui stesso per sfuggire agli affanni modernisti della nostra società veloce.
In questo mondo perduto, con persone avulse dalla realtà che hanno deciso di abbandonare gli agi della società attuale, in fuga da loro stessi e dalle proprie idiosincrasie, tutto vive ancora come una volta, nell'armonia tra i popoli, senza contaminazioni barbariche, basandosi sul lavoro manuale e il baratto. A metà tra il dubbio e l'assurdo di un ruolo di regnante in democrazia, il buon Stefano deciderà di assumersi la responsabilità che fu paterna e diventerà erede al trono di questo medieval regno non proprio privo di difetti a cominciare dalla misteriosa sorella (sempre che lo sia veramente) Lisa che trama nell'ombra per la corona.
I riferimenti di Non ci resta che piangere quanto piuttosto una vaga saudade di Brancaleone alle Crociate sono evidenti ed è un bene.
È da tanto che mancava un film di questo genere sulla scena del cinema italiano e Stefano Fresi nel ruolo del protagonista, è veramente capace di rappresentare in sé l'ideologia di un re assolutamente picaresco che rifiuta lo Ius primae noctis, ingenuo, sempliciotto oltre che solo.
Il senso de il regno sta tutto in questa parola ovvero nella solitudine odierna che ci priva di sicurezza e che nonostante la digitalizzazione che ci unisce sempre di più in un meltin pot di culture effimere che sembra averci allontanato dalla realtà a scapito di una pervicace incapacità comunicativa. Nella commedia che presto scivola nel dramma grottesco di Fanuele, questa vitalità vige nell'energia del senso dei rapporti perduti e nei consigli di un ciambellano di corte assai stravagante come Max Tortora, tra trame di potere che esistono ancora come oggi nei giochetti della politica.
Fanuele, inventandosi un linguaggio aulico, dai ricercati costumi e con una storia tutto sommato sensata che strizza l’occhio a Age e Scarpelli, pone l'accento sulla presa di consapevolezza e di autostima di un regnante goffo quanto magnanimo che imparerà maggiormente a prendere coscienza di se stesso per evitare l'anarchia comunicativa.
E chissà anche esistenziale della sua stessa vita pronta a cambiare.
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