Claire Millaud [Juliette Binoche] – cinquantenne professoressa universitaria di letteratura, quindi a conoscenza di quell’universo di contenuti di cui si nutrono le storie letterarie — viene piantata dal marito, e si ritrova con due figli reali, un computer e alcuni cellulari. Ed un tran-tran di vita insignificante.
Se la fa con un ragazzotto, Ludo, interessato per l’appunto al proprio piacere sessuale, individuale. Claire ci sta, perché desidera. Perché quella bambina che è sempre viva in lei desidera toccare, desidera essere toccata. Desidera un contatto fisico che preluderebbe ad un contatto più completo, maturo. Al “prendersi cura dell’altro”.
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Claire Millaud [Juliette Binoche] – cinquantenne professoressa universitaria di letteratura, quindi a conoscenza di quell’universo di contenuti di cui si nutrono le storie letterarie — viene piantata dal marito, e si ritrova con due figli reali, un computer e alcuni cellulari. Ed un tran-tran di vita insignificante.
Se la fa con un ragazzotto, Ludo, interessato per l’appunto al proprio piacere sessuale, individuale. Claire ci sta, perché desidera. Perché quella bambina che è sempre viva in lei desidera toccare, desidera essere toccata. Desidera un contatto fisico che preluderebbe ad un contatto più completo, maturo. Al “prendersi cura dell’altro”. Non vuole essere abbandonata, come invece le è successo col marito, ma anche — di lì a breve — con il suo doppio, Ludo. Il quale sparisce e non si fa più trovare.
Allora lei per riacciuffarlo, crea una identità fittizia su FB. E qui scatena la sua hybris folle e tragica. Il suo doppio virtuale, l’avatar denominato Clara, aggancia però disgraziatamente il doppio sbagliato di Ludo. Vale a dire Alex, il suo collega. L’avatar Clara ha 24 anni, quasi 25. Claire, che ne diventa doppione, ne ha il doppio: una cinquantina. Fra i due — Clara ed Alex — si intesse la trama della seduzione a distanza, dico e non dico, ci incontriamo certo ma oggi non posso. Ti parlo, ma non mi vedi. Mi manifesto con foto e filmati, ma non sono io. Perché?
Perché nelle Finzioni con i doppi, piano narrativo e piano reale non si devono mai incontrare. Le immagini ed i volti devono rimanere come riflessi sugli specchi, la realtà deve viaggiare per conto proprio. Questa è la mimesi artistica. Ed anche il diktat della nostra civiltà, a partire dai Greci in poi.
Invece questo diamine di FB, inventato da civiltà aliene come tanti altri social network, andrebbe utilizzato unicamente da umani quadrupedi e pecorecci, che reclamano ciò che mai dovrebbe essere reclamato quando subentra invece il mito del doppio che è tabù: il contatto reale.
Nei nostri codici arcaici, negli archetipi che governano il mondo occidentale, quando i doppi si incontrano uno dei due deve necessariamente morire. Non c’è scampo. Non importa se siano reali o virtuali, in carne ed ossa o fittizi.
Prova ne sia che all’ennesimo abbandono per morte (reale o presunta, non importa!) anche di Alex, Clair non racconta più alla sua psicologa Caterine Bormans [Nicole Garcia] i fatti, ma li scrive. Entra cioè nel campo letterario anche lei. E — nel film — racconta il romanzo della sua finzione con Alex, nel quale immagina di realizzare quel contatto — e quell’amore carnale — mai avvenuto nella realtà. Immagina anche di rivelare ad Alex del suo avatar Clara, di cui il ragazzo si era follemente innamorato r di cui si era scordato in grazia della relazione fisica con il suo originale. Clair provoca e lascia che Alex scopra chi ci fosse dietro la fittizia identità di Clara. Ma quale dei due profili è Claire? Claire è una, divisa in due personaggi, in due “profili”. Uno dei due quindi deve necessariamente morire.
Il codice così rientra a malincuore e a fatica nei suoi binari.
Perché quando un essere civilizzato e stratificato, addirittura una professoressa di letteratura comparata, entra dentro un social, avviene il corto circuito, tutti i controlli vanno ai pazzi, lei stessa va a i pazzi, gli “utenti” vanno ai pazzi. Questo deve aver rapito l’immaginazione dell’ottimo Safy Nebbou, che ne firma una emozionata, caleidoscopica e ammirevole regia.
Accendiamo quindi il computer, ci connettiamo a FB, inseriamo la password e diventiamo istantaneamente tanti Re Lear. Ma ci dimentichiamo il monto del “matto” che, osservando il suo Re dare credito alle parole mendaci delle prime due figlie, e non riconoscendo la verità in quella reali e crude della terza, la minore — dice guidato da Shakespeare: “Non avresti dovuto diventare vecchio prima di diventare saggio”.
Che è anche il cuore della nostra tragedia attuale.
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